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mercoledì 24/09/2025 • 06:00

Impresa Dalla Cassazione

Confisca aziendale: responsabilità e limiti dell’amministratore giudiziario

La Corte di Cassazione, con Sent. 16 settembre 2025 n. 25279, ha evidenziato come la responsabilità dell'amministratore giudiziario sia strettamente connessa sia alla corretta gestione documentale che all'evoluzione normativa, ribadendo il principio della non retroattività delle norme più favorevoli.

di Paola Sabatino - Dottore commercialista

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  • Tempo di lettura 8 min.
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È necessario ricordare che la confisca consiste in una misura ablativa che prevede il trasferimento coattivo dei beni dal condannato allo Stato. La confisca non è una pena accessoria, ma un provvedimento volto a privare il soggetto condannato di beni considerati illeciti o il cui possesso non può essere giustificato. Tale misura può essere disposta sia in sede penale (come misura di sicurezza) sia nell'ambito delle misure di prevenzione, secondo quanto previsto dal Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011).

Si evidenzia che nell'ordinamento italiano vi sono diverse tipologie di confisca, ossia:

  • confisca penale (facoltativa e obbligatoria);
  • confisca per equivalente;
  • confisca allargata o estesa;
  • confisca di prevenzione;
  • confisca amministrativa;
  • confisca speciale (es. reati societari, tributari, ecc.).

Le tipologie sopra menzionate possono coesistere o succedersi, a seconda della fattispecie concreta e delle norme di riferimento.

La misura in questione è disposta dal giudice con la sentenza di condanna o nel corso del processo. Tuttavia, deve rispettare alcune garanzie fondamentali, tra cui:

  • proporzionalità: la confisca deve essere proporzionata al reato commesso;
  • tutela dei terzi: i beni di proprietà di terzi estranei al reato non possono essere confiscati, a meno che non vi sia prova di un loro coinvolgimento.

Confisca del complesso aziendale

La confisca del complesso aziendale è una misura di prevenzione patrimoniale che comporta l'acquisizione coattiva da parte dello Stato di un'azienda o di una pluralità di beni organizzati per l'esercizio di un'attività economica, in presenza di presupposti di pericolosità sociale o di provenienza illecita dei beni.

I presupposti per la confisca sono:

  • la pericolosità sociale qualificata del soggetto (es. assoggettato a procedimento di prevenzione);
  • il collegamento dei beni o dell'azienda a condotte illecite o a reati di particolare gravità;
  • l'impossibilità per il soggetto di giustificare la legittima provenienza dei beni.

La confisca viene normalmente preceduta dal sequestro preventivo, finalizzato a sottrarre la disponibilità dei beni e impedire il rischio di dispersione.

Con la confisca definitiva, lo Stato acquista la titolarità del complesso aziendale. La gestione viene, pertanto, affidata a un amministratore giudiziario, il quale ha il compito di conservare e valorizzare l'azienda fino al provvedimento definitivo.

L'amministratore giudiziario deve attenersi alle direttive del giudice e operare nell'interesse pubblico, ma anche nella salvaguardia del valore aziendale e dei diritti dei terzi.

Responsabilità dell'amministratore giudiziario

Come chiarito dalla Cassazione con la sentenza n. 25279/2025 in commento, l'amministratore giudiziario risponde dei danni causati dalla propria gestione nei confronti del titolare dell'azienda, specialmente nel caso in cui la confisca venga successivamente revocata e i beni restituiti.

Il caso trae spunto dal sequestro e dalla confisca di un'azienda affidata in gestione a un amministratore giudiziario. A seguito della revoca della confisca e la restituzione dei beni, il titolare ha denunciato danni derivanti dalla gestione dell'amministratore giudiziario, agendo per il relativo risarcimento. L'amministratore ha chiesto contestualmente la manleva del Ministero della Giustizia, in caso di condanna. Il Tribunale di Palermo ha parzialmente accolto la domanda risarcitoria, rigettando, invece, la richiesta di manleva. In appello, la Corte ha confermato la soccombenza dell'amministratore, rigettando la domanda nei confronti del Ministero, ritenendo su quest'ultima formato il giudicato.

L'amministratore giudiziario ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a nove motivi di censura.

La decisione della Corte

La Corte afferma che nel patrimonio della società immobiliare confiscata vi era un cespite, tra gli altri, destinato alla locazione commerciale. Dunque, doveva ritenersi bene strumentale all'attività dell'impresa, e fiscalmente dichiarato come tale e di conseguenza dovevano essere pagate le relative imposte. Di contro, il custode non ha tenuto conto di tale natura, ed ha esposto la società ad un maggiore aggravio fiscale dovuto all'originario omesso pagamento della imposta. I giudici hanno osservato che, anche se è vero che il custode non ha ricevuto le scritture contabili, egli aveva l'obbligo di qualificare il bene in base agli altri elementi disponibili. E tali elementi indicavano, per l'appunto, la natura strumentale del cespite.

La Suprema Corte chiarisce che, prima dell'entrata in vigore dell'art. 35-bis D.Lgs. 159/2011 (Codice Antimafia), la responsabilità dell'amministratore giudiziario era valutata secondo le regole ordinarie, quindi anche per colpa lieve. La norma che limita la responsabilità a dolo o colpa grave non è retroattiva, salvo esplicita previsione legislativa. Non sussiste, pertanto, violazione del principio di uguaglianza, poiché la retroattività delle norme più favorevoli è eccezionale.

Ed ancora, la tenuta di un solo conto per più aziende, a parere dei Giudici, in assenza di obblighi normativi specifici per il periodo di riferimento, non può di per sé fondare una responsabilità risarcitoria, se non è dimostrato il nesso causale con il danno lamentato.

Con riguardo al danno per la mancata percezione dei canoni ceduti, nella sentenza in commento, la Corte ha affermato che non può essere riconosciuto il risarcimento al titolare che abbia già ceduto il credito relativo ai canoni di locazione.

La Corte, infine, ha evidenziato che i pagamenti autorizzati dal giudice non possono essere considerati indebiti o causativi di danno per la società, e su tale eccezione, se sollevata in primo grado, il giudice d'appello doveva, comunque, pronunciarsi anche d'ufficio. Ciò in quanto l'eccezione relativa alla legittimità dei pagamenti è un'eccezione in senso lato poiché contesta il rapporto stesso.

La Cassazione, nell'accogliere parzialmente i motivi del ricorso, ha cassato la sentenza impugnata rinviando la decisione alla Corte d'Appello di Palermo in diversa composizione.

Osservazioni

L'art. 35 c. 5 D.Lgs. 159/2011 qualifica espressamente l'amministratore giudiziario come pubblico ufficiale, attribuendogli il compito di provvedere alla gestione, custodia e conservazione dei beni sequestrati sotto la direzione del giudice delegato. Tale qualifica comporta specifici obblighi di diligenza nell'adempimento dei compiti del proprio ufficio.

Il successivo art. 35-bis del medesimo Decreto, disciplina la responsabilità nella gestione, prevedendo che l'amministratore giudiziario sia esente da responsabilità civile per gli atti di gestione compiuti nel periodo di efficacia del provvedimento di sequestro, salvi i casi di dolo o colpa grave.

Sul punto, la sentenza n. 25279/2025 rimarca come la responsabilità dell'amministratore giudiziario sia strettamente connessa sia alla corretta gestione documentale che all'evoluzione normativa, e ribadisce il principio della non retroattività delle norme più favorevoli. Inoltre, la Cassazione richiama l'attenzione su una rigorosa distinzione tra responsabilità effettiva e danno realmente subito dal proprietario, anche in relazione a cessioni di crediti o pagamenti autorizzati dal giudice della procedura.

Fonte: Cass. 16 settembre 2025 n. 25279

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