
sabato 20/09/2025 • 06:00
Da quando il trattamento delle malattie nel lavoro pubblico e in quello privato è stato equiparato (L. 183/2010), l'art. 55-septies del D.Lgs. 165/2001 sembra riconoscere la presenza di malattia anche nei casi di visite terapeutiche, prestazioni specialistiche o esami diagnostici: ma è davvero così?
Sono passati quasi quindici anni da quando la L. 183/2010 (il Collegato Lavoro del tempo) muoveva da una volontà chiara ed inequivocabile. L'art. 25 della predetta norma voleva “assicurare un quadro completo delle assenze per malattia nei settori pubblico e privato, nonché un efficace sistema di controllo delle stesse” e pertanto “a decorrere dal 10 gennaio 2010, in tutti i casi di assenza per malattia dei dipendenti di datori di lavoro privati, per il rilascio e la trasmissione della attestazione di malattia si applicano le disposizioni di cui all'articolo 55-septies del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.
Tralasciando il come una norma del mese di novembre 2010 potesse decorrere dal 10 gennaio 2010, la scelta fu quella di estendere la disposizione vigente nel diritto pubblico anche al diritto privato per quanto al “rilascio e trasmissione dell'attestazione di malattia”.
Proviamo a ripercorrere, dunque, le regole della certificazione attestante eventi morbosi, per capire casi specifici ed i classici dubbi esistenziali.
L'art. 55-septies e le sue modificazioni
Il citato art. 55-septies D.Lgs. 165/2001 esordisce chiaramente al comma 1 precisando: “Nell'ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare l'assenza viene giustificata esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale”.
Al tempo si era dunque messa la parola fine alla certificazione di malattia “bianca” ovvero non proveniente da medici del servizio sanitario, lasciando tale evenienza come una “eccezione” e confinandola:
Queste disposizioni riguardano, in ogni caso, il medico che sottoscrive il certificato. Non il “come” venga redatto lo stesso.
Ad affrontare l'argomento ci pensa il comma 2, che precisa: “In tutti i casi di assenza per malattia la certificazione medica è inviata per via telematica, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che la rilascia, all'Istituto nazionale della previdenza sociale, secondo le modalità stabilite per la trasmissione telematica dei certificati medici nel settore privato dalla normativa vigente, e in particolare dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto dall'articolo 50, comma 5-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, introdotto dall'articolo 1, comma 810, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dal predetto Istituto è immediatamente resa disponibile, con le medesime modalità, all'amministrazione interessata”.
Nasce così il certificato telematico che, al tempo, qualche grattacapo lo aveva anche riservato al malcapitato interprete. Oggi, con l'affinarsi delle procedure, il procedimento appare più fluido e gestibile.
Le regole tecniche di emissione e trasmissione della certificazione di malattia non hanno, in ogni caso, mai visto mutare un trittico esistenziale che non possiamo dimenticare:
Primo comandamento. Ti ammali? Hai l'obbligo di avvisare prontamente il datore di lavoro.
Secondo comandamento. L'evento morboso, una volta denunciato tempestivamente, va certificato. Se dal punto di vista tecnico oggi sappiamo quali sono le caratteristiche fisiche del certificato, non dobbiamo dimenticarci quanto precisa l'INPS con circolare 147/1996 in tema di decorrenza della malattia. Invero:
Terzo comandamento. Reperibilità durante la malattia.
L'introduzione del comma 5-ter: malattie e visite terapeutiche?
Le cose si fanno interessanti quando viene introdotto il comma 5-ter all'art. 55 septies, a cura del DL 98/2011, convertito con modificazioni dalla L. 111/2011.
Il citato comma 5-ter precisa: “Nel caso in cui l'assenza per malattia abbia luogo per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all'orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmessa da questi ultimi mediante posta elettronica”.
Tale articolo potrebbe condurre al dolce pensiero secondo il quale l'espletamento di una visita specialistica (l'oculista, ad esempio) debba classificarsi come malattia e, pertanto, consentirebbe al lavoratore dell'impiego privato di non dover attingere a permessi specifici (se vi sono previsti al ccnl o da accordi aziendali / regolamenti) o generalistici (in carenza dei primi).
La realtà è però diversa. Il disposto in parola richiama la casistica in ordine alla quale la malattia “insorga” all'interno del trattamento terapeutico o della prestazione specialistica o diagnostica.
Tornando all'esempio dell'oculista: se lo stesso, per effettuare il giusto controllo, utilizzasse le classiche gocce di atropina su un paziente che di lavoro fa l'autista, e quest'ultimo non riuscisse più a distinguere i TIR dai pali della luce (circostanza non adatta allo svolgimento delle proprie mansioni lavorative), allora forse potrebbe essere sopraggiunto un evento morboso che, se quel medico certificasse come malattia, legittimerebbe un certificato medico non del servizio sanitario nazionale.
Il tutto dipenderà dal medico. Documenti che attestano l'effettuazione della visita non serviranno dunque a nulla, visto che non sanciranno la presenza di una malattia.
Fra poco sono 15 anni. Teniamo viva la memoria.
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Francesco Geria
- Consulente del lavoro in Vicenza - Studio LabortreRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione

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