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martedì 26/08/2025 • 06:00

Impresa Dalla Cassazione

La responsabilità dei soci che autorizzano un illecito

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 22169 del 1° agosto 2025, ha affermato che anche i soci titolari di quote di minoranza all'interno della compagine di una S.r.l. sono responsabili dei danni procurati alla società e ai creditori sociali, nel caso in cui consentano all'organo amministrativo la prosecuzione della gestione sociale.

di Paola Sabatino - Dottore commercialista

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  • Tempo di lettura 3 min.
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L'art. 2476 c. 8 c.c. testualmente recita “Sono, altresì, solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”. 

La norma, come si può ben desumere, pone un'eccezione alla regola generale di cui all'art. 2462 c. 1 c.c., correlando la responsabilità dei soci al fatto che gli stessi abbiano deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi, prevedendo, così, che la responsabilità sussista in conseguenza di una condotta commissiva a cui abbia fatto seguito il compimento di un determinato atto indotto, avente ad oggetto la gestione della società, ad opera degli amministratori.

Ne deriva, quindi, che la condotta di decisione e/o autorizzazione sia in qualche modo formalizzata, cosicché essa può desumersi tanto dal compimento di atti formali, quanto da manifestazioni di volontà dei soci che abbiano, anche in via di mero fatto, direttamente dato impulso o, comunque, influenzato l'attività degli amministratori a compiere atti di gestione dannosi per la compagine.

Il caso

In precedenza, la Suprema Corte, in un caso analogo deciso con l'Ordinanza n. 22169, hanno affermato che “Ciò che si richiede, quindi, sia pure non soltanto nelle sedi ufficialmente deputate alla manifestazione di volontà dei soci, è una effettiva influenza sull'attività gestoria, in uno dei modi che la legge stessa menziona, in quanto al socio possa imputarsi il coinvolgimento diretto nell'assunzione di scelte gestorie pregiudizievoli” (cfr. Cass. 19191/2023).

Pertanto, non rientrano nell'ambito applicativo della norma le condotte che sono per legge inderogabilmente riservate agli stessi soci ed esulano dalla competenza decisoria degli amministratori, a meno che l'ingerenza dei soci non si eserciti determinando gli amministratori al compimento dei conseguenti atti esecutivi. L'intenzionale decisione richiesta dalla norma, a parere dei Giudici, non può essere intesa come dolo di danno, nel senso che, l'intenzionalità dei soci, deve essere riferita al danno che sia derivato dall'atto indotto dai soci e compiuto dagli amministratori.

Nel caso di specie, la Corte afferma che quanto sopra evidenziato, non possa essere condivisibile, sia per motivi lessicali, sia perché si verrebbe a creare un'irragionevole divaricazione fra la responsabilità del socio che risponderebbe solo se abbia previsto e voluto il danno quale conseguenza dell'atto indotto, e quella dell'amministratore che è, invece, responsabile del danno che arreca, a prescindere dal fatto che si sia prefigurato o meno le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla sua condotta.

I Giudicanti sostengono che la norma dev'essere intesa nel senso che l'intenzionalità del socio abbia direttamente ad oggetto l'atto compiuto dagli amministratori nella consapevolezza della sua antigiuridicità, cosicché questi diviene responsabile del danno arrecato dall'atto compiuto dagli amministratori, in ragione del fatto che lo abbia deciso o autorizzato con l'intenzione di orientare in quei termini il loro operato. Vi è perciò, nella decisione assunta dalla Corte, un concorso determinante nella prosecuzione della gestione sociale, attraverso una condotta complessiva nel cui ambito la mancata adozione di una delibera di messa in liquidazione costituiva solo un aspetto, nel preciso intento di cedere la loro partecipazione prima che la società venisse posta in liquidazione.

Affermano, infine, i Giudici che il comportamento dei soci, alla luce delle ricostruzioni fattuali, fosse volto a dare continuità alla gestione dell'impresa, senza che ne ricorressero i presupposti, determinando così la produzione del danno. Non si può, quindi, escludere la responsabilità dei soci, per il solo fatto che gli stessi fossero titolari di quote di minoranza all'interno della compagine.

Invero, se assume rilievo ai fini dell'applicazione della norma in discorso la condotta commissiva dei soci a cui abbia fatto seguito il compimento, da parte degli amministratori, di un determinato atto indotto, avente ad oggetto la gestione della società, allora la responsabilità dev'essere attribuita a tutti coloro che abbiano aderito e contribuito a questa condotta, a prescindere dal “peso” della loro partecipazione nell'ambito societario.

Osservazioni

Con l'Ordinanza n. 22169, la Suprema Corte ha nuovamente confermato il principio secondo il quale la responsabilità del socio di una S.r.l. prevista dall'art. 2476 c. 8 c.c. presuppone che abbia intenzionalmente deciso o autorizzato atti dannosi per la società, per i soci o per i terzi.

Le espressioni “decidere” e “autorizzare” assumono valore in considerazione della specifica disciplina normativa riferita dal Codice Civile alle S.r.l. e tale responsabilità sussiste anche nell'ipotesi in cui, in assenza di un conferimento formale al socio di potere gestorio, questi abbia di fatto “concorso” nell'operazione intrapresa dall'amministratore. Per quanto riguarda, invece, il termine “intenzionalmente” richiesto sempre nel citato art. 2476 c.c., si riscontra un limite alla responsabilità dei soci, in quanto occorre che si provi il dolo degli stessi, i quali dovrebbero aver previsto e voluto l'atto dannoso per la società.

Fonte: Cass. 22169/2025

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