
mercoledì 26/11/2025 • 06:00
La riforma del Testo Unico della Finanza (TUF) mira a semplificare la normativa per rendere il mercato dei capitali una leva di crescita in Italia. Gli obiettivi principali della riforma sono facilitare l'accesso ai mercati per le PMI, riducendo costi e oneri, e introdurre una soglia unica del 30% per l'Opa totalitaria.
Nel riflettere sul rapporto tra modernità e complessità è utile ritornare all’ammonimento di Henry David Thoreau. “La nostra vita - diceva il filosofo americano - viene logorata dai dettagli, semplificate!”. Guardando alle dinamiche che attraversano oggi i mercati globali, torna utile ragionare sulla necessità dell’essere umano di impegnare la stessa energia che utilizza per rendere “intricata” la propria esistenza nel tentativo di alleggerirla e renderla più lineare. È un invito che oggi risuona con particolare forza nel dibattito sullo sviluppo economico dell’Italia e, più in generale, dell’Europa.
Le economie mature, impegnate a recuperare dinamismo, hanno bisogno di strumenti capaci di sostenere l’innovazione e di offrire alle imprese nuove strade di finanziamento. Questo percorso, inevitabilmente, passa attraverso la capacità del mercato dei capitali di funzionare come leva di crescita. Tuttavia, perché il mercato possa svolgere pienamente questo ruolo, è necessario eliminare quelle sovrapposizioni normative che negli anni si sono accumulate e che ne limitano l’efficacia.
L’intervento di revisione del Testo unico della finanza nasce proprio dalla consapevolezza che il sistema attuale richiede una profonda riorganizzazione.
L’approccio della Commissione alla riforma
Prima di entrare nel merito dell’intervento, è utile chiarire l’approccio adottato dalla Commissione incaricata della riforma, composta da studiosi, tecnici e rappresentanti delle autorità di vigilanza. Non si è partiti con l’intenzione di ricostruire il Tuf dalle fondamenta, né di disconoscere quanto di positivo sia stato realizzato dal 1998 in avanti.
Piuttosto, l’attenzione è stata rivolta ai punti in cui l’esperienza ha mostrato rigidità, oneri eccessivi o procedure che finivano per sottrarre competitività alle imprese italiane.
Molti aspetti della normativa, infatti, hanno garantito negli anni un equilibrio efficace tra tutela degli investitori e buon funzionamento dei mercati. Cancellarli avrebbe significato rinunciare a una base solida su cui costruire i necessari aggiornamenti. È dunque prevalsa la logica di un intervento selettivo, mirato su ciò che davvero ostacolava la crescita, evitando la tentazione - sempre presente in ogni grande riforma - di archiviare indiscriminatamente il passato.
Il contesto rispetto al quale si interviene non è più quello di un quarto di secolo fa. All’epoca della nascita del Tuf (D.Lgs. 58/98), il legislatore poteva contare quasi su un foglio bianco. Oggi, invece, lo spazio d’azione è circoscritto da un articolato corpus di norme europee che disegnano il perimetro entro cui muoversi.
La riforma, dunque, non poteva e non può essere un esercizio di creatività autonoma che forse qualcuno auspicava e desidererebbe: si tratta piuttosto di un lavoro di adattamento, calibratura e reinterpretazione alla luce delle esigenze attuali.
Un mercato finanziario efficiente deve infatti dialogare con le regole comunitarie, e ogni innovazione deve integrarsi con esse senza produrre sovrapposizioni o contraddizioni.
È inevitabile che un intervento su un impianto normativo così complesso generi critiche o richieste di ulteriore audacia. Tuttavia, l’obiettivo non era quello di scrivere una riforma “perfetta” in astratto, bensì di introdurre regole capaci di funzionare nella realtà quotidiana di imprese, intermediari e investitori.
La vera ambizione è stata quella di predisporre un quadro sufficientemente flessibile da potersi adattare nel tempo e da favorire l’accesso ai mercati dei capitali come alternativa concreta al finanziamento bancario. Una riforma, per essere utile, non deve essere monumentale, ma efficace. Deve, cioè, lasciare spazio a successivi miglioramenti, anche attraverso il confronto in Parlamento, avviato da qualche giorno, e con tutti gli attori dell’ecosistema finanziario.
TUF e PMI
Venendo al cuore dell’intervento, il pilastro è rappresentato dalla volontà di creare condizioni più favorevoli affinché soprattutto le piccole e medie imprese considerino la quotazione e, più in generale, il capitale di rischio non come un percorso gravoso o rischioso, ma come un’opportunità di crescita.
Le norme introdotte mirano a ridurre costi e oneri amministrativi, offrendo maggiore libertà nelle scelte statutarie e nei modelli di governance, così che ogni impresa possa strutturarsi secondo le proprie esigenze, senza incappare in una cornice normativa rigida o penalizzante.
Una prospettiva che apre la strada a un rafforzamento del venture capital e del private equity, strumenti indispensabili per convogliare risorse verso l’economia reale e sostenere l’innovazione.
Opa totalitaria: soglia unica al 30%
Tra gli interventi più discussi c’è sicuramente l’introduzione di una soglia unica al 30% per l’obbligo di Opa totalitaria.
Passare da un sistema basato su due soglie a uno più lineare rappresenta un passo importante verso l’armonizzazione con gli altri Paesi europei. La logica sottostante non è quella di favorire questo o quel soggetto, ma di creare un ambiente più semplice e prevedibile, che riduca le asimmetrie e renda il mercato italiano più attraente per gli investitori internazionali.
Un aspetto che merita particolare attenzione è il metodo con cui la riforma è stata costruita. Non stiamo parlando di un percorso chiuso, elaborato nei corridoi di un ministero, ma di un processo che ha coinvolto realtà grandi e piccole, operatori con funzioni diverse e sensibilità talvolta distanti. La scelta di lavorare in modo trasparente e condiviso è stata fondamentale per mantenere un equilibrio tra obiettivi che non sono mai completamente sovrapponibili: la semplificazione da un lato, la tutela degli investitori e delle minoranze dall’altro. Il compromesso che ne è derivato è il frutto di un confronto ampio e non di un’imposizione verticale.
Alla fine, sarà il mercato a stabilire se si è stati sufficientemente determinati nel rimuovere gli ostacoli e nel creare un ambiente più “leggibile”.
Non è necessario che questa riforma rappresenti un punto d’arrivo definitivo: è già molto se potrà muovere nuove energie per consentire al sistema di tornare credibile, competitivo e capace di attrarre capitali.
In un Paese in cui la crescita procede con fatica, seppure in ripresa, anche un passo avanti ben calibrato può trasformarsi in un contributo significativo. Se la semplificazione riuscirà a generare un nuovo slancio, allora potremo dirci, tutti, meno logorati dai dettagli.
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