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martedì 25/11/2025 • 06:00

Lavoro DALLA CORTE D'APPELLO DI ROMA

Obbligo di fedeltà e non concorrenza: quando è davvero violato

La sentenza della Corte d'Appello di Roma 25 ottobre 2025 n. 337 offre una guida operativa su obbligo di fedeltà e patto di non concorrenza: quando i sospetti non bastano per il licenziamento, quali limiti rendono nullo il patto e come riscrivere le clausole a misura di impresa e lavoratore.

di Andrea Sticca - Avvocato in Roma e Venezia

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  • Tempo di lettura 8 min.
  • Ascolta la news 5:03
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L'obbligo di fedeltà dell'art. 2105 c.c. richiede che il lavoratore mantenga un comportamento leale, non divulghi informazioni sensibili e non svolga attività in concorrenza con l'impresa. La giurisprudenza, però, ha sempre chiarito che la violazione non può fondarsi su intuizioni, percezioni o sovrapposizioni di mercato: servono fatti specifici, verificabili e idonei a creare un danno o un rischio concreto per il datore.

La Corte d'Appello di Roma, con la decisione 25 ottobre 2025, n. 3372, ribadisce con forza questo principio.

Il caso

Nel caso esaminato, il datore aveva contestato al dipendente un generico conflitto di interessi per il ruolo di amministratore in un'altra società del settore. Tuttavia, la contestazione mancava di riferimenti a singoli episodi e non dimostrava alcuna attività concorrenziale effettiva. Anzi: l'unica attività emersa (noleggio mezzi) era nota al datore e funzionale al rapporto commerciale tra le due società.

Per i giudici, il conflitto non può essere costruito ex post: la conoscenza pregressa da parte dell'azienda neutralizza l'addebito, salvo nuove condotte lesive. Senza un fatto materiale provato, l'obbligo di fedeltà non è violato. Il principio è chiaro: il lavoratore può svolgere attività esterne o assumere incarichi paralleli, purché ciò non comporti un concreto pregiudizio alla società.

In questo senso, la Corte ricorda che la fedeltà è un dovere di equilibrio, non una rinuncia totale alla vita professionale extra-aziendale: ciò che rileva è la potenziale lesività, non la mera esistenza di interessi plurimi.

La Corte ha quindi ritenuto insussistente il fatto contestato, applicando correttamente la regola secondo cui la violazione deve poggiare su elementi oggettivi, non su impressioni o ricostruzioni ipotetiche. È un richiamo importante per i datori: prima di attivare un procedimento disciplinare per infedeltà occorre verificare, approfondire, raccogliere elementi concreti e solo dopo contestare, per evitare di esporre l'azienda al rischio di una reintegrazione e di un risarcimento significativo.

Contestazioni disciplinari: l'importanza della precisione

La sentenza dedica spazio alla qualità della contestazione disciplinare. Le formule generiche (“continua attività concorrenziale”, “situazioni di conflitto”) sono ritenute inidonee a permettere al lavoratore di difendersi e, soprattutto, non consentono al datore di soddisfare l'onere della prova in giudizio. Una contestazione vaga mina la legittimità dell'intero procedimento, impedendo al giudice di verificare la proporzionalità della sanzione.

Nel caso concreto, le dichiarazioni del teste aziendale erano vaghe, prive di date e riferimenti puntuali, e in contrasto con la documentazione contabile acquisita. Da qui la conclusione: senza elementi circostanziati, l'addebito non supera il vaglio giudiziale. La Corte richiama il datore alla necessità di costruire la contestazione su un impianto fattuale chiaro, ordinato e documentato, evitando formule stereotipate che finiscono per indebolire la credibilità della ricostruzione aziendale.

Una contestazione precisa è, quindi, condizione essenziale per sostenere un licenziamento fondato sull'infedeltà professionale. Il mero riferimento a un possibile conflitto è insufficiente se non accompagnato da un quadro probatorio coerente.

Patto di non concorrenza: i limiti invalicabili

Il patto di non concorrenza regolato dall'art. 2125 c.c. è valido solo se rispetta i requisiti di oggetto, durata, territorio e corrispettivo. La giurisprudenza (Cass. 26 novembre 1994, n. 10062; Cass. 1 marzo 2021, n. 5540) richiama il principio di proporzionalità: il divieto non può impedire al lavoratore di utilizzare le proprie competenze in modo compatibile con la continuità professionale.

La Corte d'Appello di Roma ha dichiarato nullo il patto esaminato perché:

  1. vietava attività in un settore amplissimo, comprendente perforazioni orizzontali, reti idriche, elettriche, energie rinnovabili;
  2. estendeva il divieto a clienti attuali, potenziali, passati e futuri;
  3. ampliava il territorio all'intera Italia e all'Europa;
  4. di fatto impediva al lavoratore ogni impiego coerente con la professionalità maturata.

Il corrispettivo (15.000 euro annui) non salvava la clausola: quando il sacrificio richiesto annulla la capacità reddituale del lavoratore, il patto è nullo, indipendentemente dall'importo riconosciuto. La Corte applica un principio consolidato: un patto che svuota la professionalità è incompatibile con l'art. 2125 c.c., anche se strutturalmente ben redatto.

Clausole forti e clausole deboli: sintesi operativa:

Profilo

Clausole forti

Clausole deboli

Obbligo di fedeltà

Fatti provati, date, documenti; rischio concreto e attuale

Riferimenti vaghi a “settori affini” o “conflitto potenziale”

Patto di non concorrenza

Divieti calibrati sul ruolo; territorio limitato; durata contenuta; corrispettivo proporzionato

Divieti totali su interi mercati; territorio illimitato; clienti “potenziali” indefiniti; compenso standard

Una bussola per le politiche HR

La sentenza n. 3372/2025 non è solo una corretta applicazione dei principi consolidati: offre una metodologia per costruire clausole solide ed evitare contenziosi. Riassumendo in una check-list:

  • mappare i ruoli che accedono a informazioni sensibili;
  • richiedere la disclosure preventiva su incarichi paralleli;
  • evitare modelli standardizzati di non concorrenza;
  • ancorare ogni contestazione a fatti documentati;
  • calibrare il corrispettivo in proporzione al reale sacrificio richiesto.

A ciò si aggiunge un ulteriore accorgimento operativo spesso trascurato: prevedere verifiche periodiche delle clausole contrattuali nei ruoli strategici, così da aggiornarle quando cambiano mansioni, responsabilità o perimetri di mercato. In questo modo si evita che clausole originariamente congrue diventino, nel tempo, sproporzionate o inutilizzabili.

La tutela dell'impresa non nasce dall'estensione massima del divieto, ma dalla sua precisione. Una clausola efficace non è quella che vieta tutto, ma quella che vieta esattamente ciò che serve, per il tempo necessario, nel mercato realmente presidiato dall'azienda.

Fonte: Corte d'Appello di Roma 25 ottobre 2025 n. 3372

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