
mercoledì 12/11/2025 • 13:39
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con sentenza 11 novembre 2025 (causa C-19/23), si è pronunciata sulla validità della Dir. UE 2041/2022 relativa ai salari minimi adeguati nell'Unione europea, annullando solo le disposizioni che imponevano criteri obbligatori per la determinazione dei salari legali.
redazione Memento
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) ha emesso, in data 11 novembre 2025, la propria sentenza nella causa C-19/23, proposta dal Regno di Danimarca contro il Parlamento e il Consiglio dell'UE. In particolare, la CGUE si è pronunciata sulla validità della Direttiva relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea (Dir. UE 2022/2041), confermando la validità di gran parte della Direttiva e respingendo la tesi principale della Danimarca secondo cui l'atto legislativo violerebbe la ripartizione delle competenze tra l'Unione e gli Stati membri, interferendo direttamente nella determinazione delle retribuzioni e nel diritto di associazione, ambiti che i Trattati escludono dalla competenza UE.
Confermata la competenza dell'Unione
La Corte ha ritenuto che l'Unione Europea avesse la competenza per adottare la direttiva sulla base dell'art. 153 TFUE, poiché il suo obiettivo principale non è l'armonizzazione del livello dei salari, bensì il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori, in particolare attraverso la promozione della contrattazione collettiva e l'adozione di un quadro comune per la fissazione di salari minimi adeguati.
Annullamento parziale solo di norme minori
Tuttavia, la CGUE ha accolto parzialmente il ricorso, annullando una norma specifica relativa ai criteri che gli Stati membri, in cui sono previsti salari minimi legali, devono seguire per la loro determinazione.
La Corte ha stabilito che tali criteri esulavano dagli obiettivi perseguiti dalla direttiva, in quanto troppo prescrittivi e interferenti con l'autonomia degli Stati membri.
Contesto del contenzioso
Il ricorso danese era motivato dalla sua forte tradizione di determinazione dei salari esclusivamente tramite contrattazione collettiva, senza un salario minimo legale. La Danimarca riteneva che la Direttiva imponesse, di fatto, obblighi che minavano il suo modello di relazioni industriali.
Conclusioni
La sentenza della CGUE rappresenta un punto di svolta, legittimando l'intervento dell'Unione Europea in un campo tradizionalmente riservato alla sovranità nazionale e alla contrattazione collettiva. Pur avendo accolto solo un'esigua parte del ricorso, l'annullamento della norma eccessivamente prescrittiva segna un limite: l'UE può e deve fissare un quadro comune per la dignità salariale, ma deve rispettare l'autonomia degli Stati membri nel definire i meccanismi interni.
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Mario Cassaro
- Consulente del lavoro - Giornalista pubblicistaRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione

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