
venerdì 07/11/2025 • 06:00
Riguardo alla quota di credito falcidiata (non ammessa al passivo) in una liquidazione giudiziale, derivante da un precedente concordato preventivo, è possibile emettere la nota di variazione IVA in diminuzione dalla data in cui il decreto di formazione ed esecutività dello stato passivo diventa definitivo (Risp. AE 3 novembre 2025 n. 276).
Il caso
In punto di fatto l'istante ha riferito di vantare un credito nei confronti di una società per la fornitura di merce per la quale erano state emesse e registrate le relative fatture. La ditta debitrice era stata ammessa al concordato preventivo omologato dal Tribunale, che prevedeva il pagamento del 10% del credito in favore dei creditori chirografari.
Il Tribunale, successivamente, dichiarava l'apertura della liquidazione giudiziale della debitrice, senza avere preventivamente dichiarato la risoluzione del precedente concordato preventivo, a causa dell'intervenuta scadenza del termine annuale di cui all'art. 186 LF.
Nell'ambito della procedura liquidatoria, l'istante ha presentato domanda di ammissione al passivo per l'intero credito, accolta in parte dal Giudice Delegato che lo ha ridotto secondo la percentuale stabilita dal precedente piano di concordato.
A fronte di tale riduzione, l'istante ha ritenuto che il proprio credito fosse stato dichiarato formalmente estinto per la parte coperta dalla falcidia concordataria, con conseguente definitivo venir meno di qualsivoglia obbligo giuridico del debitore verso l'istante, limitatamente a tale porzione di credito (il 90%).
Di conseguenza ha ritenuto (rich. Risp. AE 126/2024) che la nota di variazione in diminuzione andasse emessa, ex art. 26 DPR 633/72, nella formulazione antecedente le modifiche apportate con l'art. 18 c. 1 lett. a) DL 73/2021 (c.d. Decreto Sostegni bis, solo con riferimento alle procedure concorsuali avviate dal 26 maggio 2021, data di entrata in vigore del decreto, per effetto del c. 2 dell'art. 18 cit.), dato che la procedura di liquidazione giudiziale (fallimento), apertasi nel 2024, era la trasformazione del concordato preventivo iniziato nel 2015.
Tuttavia, proseguiva sostenendo che, con riferimento al credito coperto dalla falcidia concordataria del 90% e per effetto dei chiarimenti resi nella Circ. AE 77/2000, la nota di variazione sarebbe stata inibita dalla circostanza che il credito non risultava formalmente ammesso al passivo fallimentare.
Riteneva comunque sussistente la certezza giuridica dell'infruttuosità della procedura di liquidazione giudiziale, data l'estinzione della parte di credito coperta dalla falcidia concordataria (90%), che ha causato la non ammissione al passivo, e quindi chiedeva chiarimenti circa il recupero dell'IVA incorporata nella parte di credito esclusa dalla procedura concorsuale ed il termine entro il quale emettere la relativa nota di variazione.
L'emissione della nota di variazione
L'art. 26 del decreto IVA è stato modificato dal Decreto Sostegni bis su citato, con l'introduzione, tra l'altro, dei c. 3-bis e 10-bis, al fine di allineare la normativa interna alle indicazioni espresse dalla Corte UE in C-246/16 (emessa su rinvio italiano, v. anche Cass. 25896/2020), per la quale uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell'imposta sul valore aggiunto all'infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni (v. Risp. AE 234/2025 e Circ. AE 20/2021).
In particolare il c. 3-bis, lett. a), stabilisce che in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario/committente assoggettato ad una procedura concorsuale, il cedente/prestatore, per quanto qui di interesse, può emettere una nota di credito, con conseguente detrazione dell'imposta non incassata (per il termine ad quem v. C-152-02, C-533/16, C-518/14, p. 37, C-101/16, p. 36, C-518/14, p. 35, e Risp. AE 119/2021), a partire dalla data in cui il primo è assoggettato alla predetta procedura concorsuale (si ricorda, per inciso, che in C-146/19 la Corte UE ha riconosciuto, in taluni casi, la riduzione della base imponibile IVA anche in ipotesi di mancata insinuazione al passivo fallimentare da parte del creditore).
Il c. 10-bis definisce, invece, il momento a partire dal quale il debitore può ritenersi assoggettato alle predette procedure, ossia: la sentenza dichiarativa del fallimento; il provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa; il decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo; il decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Ai sensi poi del primo periodo del c. 5 dell'art. 26 DPR 633/72, ove il cedente/prestatore operi la variazione in diminuzione, il cessionario/committente che abbia già registrato l'operazione ai sensi dell'art. 25, deve registrare la variazione a norma dell'art. 23 o 24.
In base all'ultimo periodo del c. 5 citato, aggiunto dall'art. 18, c. 1, lett. c), del Decreto Sostegni-bis, l'obbligo di registrare la nota di variazione non si applica nel caso di procedure concorsuali di cui al c. 3-bis, lett. a), ed il curatore o commissario che riceve la nota non è tenuto ad annotare la corrispondente variazione in aumento né al versamento dell'IVA, che resta a carico dell'Erario (v. Circ. AE 20/2021, par. 4 e Circ. AE 12/2016, par. 13.1).
Il momento di emissione della nota di variazione
Al fine di individuare tale momento, nel caso di impresa assoggettata a una procedura di concordato preventivo aperta prima del 26 maggio 2021 e che successivamente è stata convertita in fallimento, occorre stabilire quale formulazione dell'art. 26 del decreto IVA sia applicabile (se ante o post 26 maggio 2021), in virtù del principio della consecutio tra procedure concorsuali (v. Risp. AE 126/2024).
Al riguardo si è già espressa la Cassazione con Ord. 24056/2021 (v. anche Cass. 8970/2019), secondo la quale la dichiarazione di fallimento seguìta al concordato preventivo attua non un fenomeno di mera successione cronologica, ma di "consecuzione di procedimenti", che, pur formalmente distinti, sul piano funzionale finiscono per essere strettamente collegati, nel fine del rispetto della regola della par condicio, avendo le due procedure a presupposto un analogo fenomeno economico; si opera, in tal modo, una considerazione unitaria della procedura di concordato preventivo, cui sia succeduta quella di fallimento, pur nella formale distinzione dei procedimenti (v. anche Risp. AE 234/2025).
Tale principio ha valore sistematico, in quanto caratterizzato dall'esigenza di salvaguardia dell'interesse superiore di concreta attuazione della par condício credítorum, anche contro eventuali espedienti tesi a vanificarla.
La c.d. consecuzione fra le procedure concorsuali implica che esse siano originate da un medesimo unico presupposto, costituito dallo stato d'insolvenza e si sostanzia nella considerazione unitaria della procedura di concordato preventivo (c.d. unicità di causa, così Cass. 15724/2019), cui è succeduta quella di fallimento, con retrodatazione del termine iniziale del periodo sospetto (lasso temporale a cui rapportare gli atti pregiudizievoli ai creditori) per la revocatoria fallimentare (v. Cass. 6045/2016 e Cass. 17844/2002).
Nel caso in commento, avendo il giudice delegato riscontrato che la procedura di liquidazione giudiziale deriva dall'insolvenza della debitrice senza che l'accordo sia mai stato risolto, sarà applicabile l'art. 26 del decreto IVA ante riforma e, con riguardo all'importo del credito ammesso al passivo, l'istante dovrà attendere che sia definitivamente accertata l'infruttuosità della procedura in esame (v. anche Circ. AE 77/2000 e Risp. AE 102/2022).
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Giovanni Iaselli
- Avvocato - Partner DLA PiperMaria Teresa Madera
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