
sabato 25/10/2025 • 06:00
La Legge di Bilancio 2026 bussa alle porte. Nell'ambito di una manovra che muove 18 miliardi di euro, sono diverse le disposizioni lambite nel testo bollinato del DDL: tra di esse, se da una parte notiamo l'innalzamento del valore del buono pasto, dall'altra parte non possiamo che rilevare l'assenza di misure sul fringe benefit.
Oramai ci sono poche costanti, ma la legge di bilancio è un porto sicuro.
Come ogni anno, ci avviciniamo alla manovra delle manovre, quel disposto normativo che segnerà il percorso economico del Paese, irto di ostacoli, emendamenti, discussioni e l'immancabile fiducia (chissà questa volta: parte il toto scommesse). Sembra di essere dal parrucchiere: potresti stravolgere la tua acconciatura, lasciandoti andare verso l'ignoto con coraggio e previsione degli eventi (per governare le mode) o rifugiarti in qualche “sforbiciatina” di sistema, che dia idea del “nuovo” anche se, concedetemelo, poco cambia.
Vediamo qualche possibile modifica disposta dal disegno di legge bollinato. Partiamo dai buoni pasto, scaliamo verso la detassazione dei premi di produttività e constatiamo un grande assente ovvero il fringe benefit.
Buoni pasto e possibile valore 2026
La disciplina del buono pasto è nota.
Come sappiamo, l'art. 51 c. 2 lett. c) TUIR dispone come non concorre alla formazione del reddito (e quindi secondo il principio di armonizzazione anche della retribuzione previdenziale) “le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all'importo complessivo giornaliero di euro 4, aumentato a euro 8 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica”.
Nei fatti, trattasi dunque di un documento che consente la fruizione, negli esercenti che lo ricevono, di pasti per un valore esente sino alle soglie di cui al citato comma 2 lettera c).
Sia chiaro, è ben possibile che il valore del buono sia superiore alle soglie di 4 o 8 euro, ferma restando l'imponibilità fiscale in capo al percipiente e previdenziale in capo anche all'azienda.
Disciplinato altresì dall'allegato II.176 D.Lgs. 36/2023, il buono pasto viene altresì definito come “il documento di legittimazione, anche in forma elettronica, avente le caratteristiche di cui all'articolo 4, che attribuisce, al titolare, ai sensi dell'articolo 2002 del codice civile, il diritto a ottenere il servizio sostitutivo di mensa per un importo pari al valore facciale del buono e, all'esercizio convenzionato, il mezzo per provare l'avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione”. La gestione del ticket è altresì stata oggetto di modifiche a cura dell'art. 37 L. 193/2024 che ha introdotto un tetto massimo del 5% sul valore nominale del buono come commissione massima che le imprese emittenti possono richiedere agli esercenti (in luogo di prassi che osavano arrivare tra il 15% e il 20%). Questo limite vale sia per i buoni cartacei che per quelli elettronici e include anche ogni eventuale servizio aggiuntivo fornito all'esercente (come ad esempio portali online, assistenza o report).
L'ipotesi di art. 5 del DDL Bilancio dispone come “All'articolo 51, comma 2, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le parole «euro 8» sono sostituite dalle seguenti: «euro 10».” Nei fatti andando ad aumentare il valore esente del buono elettronico.
Detassazione nel 2026: cosa potrebbe cambiare
La Manovra 2026 si estende anche alla c.d. detassazione dei premi di risultato di cui all'art. 1 c. 182 L. 182/2025.
Come noto, tale norma dispone che, salva espressa rinuncia scritta del prestatore di lavoro, possono essere soggetti ad un'imposta sostitutiva dell'IRPEF e delle addizionali regionali e comunali pari al 10%, entro il limite di importo complessivo di euro 3.000 lordi (con un upgrade ad euro 4.000 fino ad aprile 2017 e con una decontribuzione aziendale, oramai rarissima, a fronte del coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell'organizzazione del lavoro) i premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, misurabili e verificabili sulla base dei criteri definiti con il DM 25 marzo 2016, nonché le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell'impresa.
L'aliquota del 10% era già stata ridotta al 5% a cura dell'art. 1 c. 385 legge di bilancio del 2025 (L. 207/2024), in misura triennale per le annualità dal 2025 al 2027 compreso.
Ora il DDL Bilancio, all'art. 4 c. 3, dispone come “Ai premi e alle somme di cui all'articolo 1, comma 182, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, erogati negli anni 2026 e 2027, l'imposta sostitutiva sui premi di produttività ivi prevista è applicabile entro il limite di importo complessivo di 5.000 euro con l'aliquota ridotta all'1 per cento”.
Nei fatti, dunque, si intraprende un percorso di estrema valorizzazione del salario variabile derivante da contrattazione ex art. 51 D.Lgs. 81/2015, legato ad incrementi di produttività e/o reddittività (e non solo) empiricamente verificabili riferiti a premi di natura variabile (sia nell'an che nel quantum) consentendone la quasi totale esenzione (l'1% è quasi simbolico) con un aumento persino del plafond (da 3.000 a 5.000 euro) fermo restando il limite reddituale soggettivo dell'anno precedente, oramai stabile a 80.000 euro.
Tale disposizione, per quanto meritevole, potrebbe però porre il freno all'avanzare dei sistemi di welfare aziendale, soprattutto se in conversione al premio di risultato. Quale convenienza potrebbe dunque avere un lavoratore a convertire il classico premio di risultato se, nei fatti, lo stesso sarà assoggettato unicamente alla contribuzione previdenziale a carico del percipiente e ad un 1% simbolico?
D'altro canto l'azienda, che diversamente potrebbe avere una convenienza a puntare sui flexible benefit, dovrà dunque riflettere sulle proprie politiche retributive e/o sulle relazioni sindacali.
Grandi assenti i fringe benefit
Nonostante inizialmente si parlasse dell'innalzamento della soglia dei mitici fringe benefit (art. 51 c. 3 TUIR e art. 1 c. 390 L. 207/2024) sino a 4.000 euro per i lavoratori con figli a carico, nel testo bollinato non si rileva traccia di alcuna disposizione in tal senso.
Questa assenza, forse, può essere motivata da ragioni di bilancio, di opportunità o per un'altra piccola tematica legata alle autovetture ad uso promiscuo.
L'impatto, in effetti, di un aumento della soglia ad un massimo di 4.000 euro avrebbe potuto generare un'ondata di autoveicoli che, nonostante la revisione dei valori di fringe discesi dall'art. 1 c. 48 legge di bilancio 2025, risultassero esenti.
Probabilmente non ce lo possiamo permettere.
Ciò nondimeno, la seduta dal parrucchiere è finita. Spezzo una lancia a favore del sesso maschile. Non ci accorgiamo del taglio di capelli di nessuno.
Nemmeno su noi stessi.
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Maria Rosa Gheido
- Consulente del lavoro e dottore commercialistaRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione

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