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mercoledì 22/10/2025 • 06:00

Fisco CONTRATTI

Locazione commerciale: aspetti critici tra diritto e fisco

La locazione commerciale resta uno dei contratti più diffusi e delicati nell'ambito delle transazioni immobiliari. La sua regolazione giuridica si sviluppa lungo un doppio binario: da un lato il diritto civile, con le sue regole inderogabili e i margini di autonomia contrattuale; dall'altro il diritto tributario, che disciplina l'imposizione dei redditi derivanti dalla locazione e le dinamiche IVA.

di Emiliano Covino - Avvocato cassazionista, Professore aggiunto Unitus, Ricercatore Tor Vergata

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La disciplina della locazione commerciale risente dell'assenza di una riforma organica. L'impianto normativo resta ancorato alla Legge Equo Canone del 1978, con solo parziali aggiornamenti. In più, la prassi contrattuale ha assunto nel tempo forme sempre più articolate, con clausole di manleva, garanzie autonome, canoni variabili e forme ibride di concessione d'uso che sfuggono alla tradizionale tipologia codicistica.

L'equilibrio economico: canone, aggiornamenti e cd. covid clause

Il canone di locazione è liberamente determinato dalle parti, ma soggetto a revisione ISTAT annuale (di solito al 75% dell'indice).

Negli ultimi anni, la prassi contrattuale ha registrato l'inserimento di "covid clause" e clausole di forza maggiore per gestire situazioni di emergenza, come lockdown o limitazioni normative.

La giurisprudenza più recente (Cass. 2553/2023) ha ammesso, in contesti eccezionali come le restrizioni da Covid-19, la sospensione o rinegoziazione del canone, richiamando il principio di buona fede e l'art. 1467 c.c. Tuttavia, l'applicazione pratica resta al necessario intervento delle parti caso per caso.

Dal punto di vista civilistico, le principali criticità si concentrano sulla durata minima legale (6+6 anni), la facoltà di recesso anticipato, e le clausole di adeguamento del canone, spesso fonte di contenziosi, soprattutto in fase di rinnovo o di rinegoziazione forzata per mutate condizioni di mercato. Cresce l'attenzione anche sulle clausole di esclusiva, divieto di concorrenza e destinazione d'uso, che possono limitare la libertà imprenditoriale e richiedono una redazione tecnica molto attenta.

Durata, recesso e clausole pattizie

Sul tale versante processual-civilistico, i principali contenziosi si concentrano sulla durata legale minima (6+6 anni) prevista dall'art. 27 L. 392/78, salvo alcune eccezioni per particolari attività (es. stagionali). Il locatore può opporsi al rinnovo solo per specifici motivi, mentre il conduttore ha diritto al recesso anticipato per gravi motivi, con preavviso di almeno sei mesi. Sebbene sia ammessa la pattuizione di durate più lunghe, resta inammissibile, salvo casi particolari, la stipula di contratti di durata inferiore, anche sotto forma di contratti atipici, pena la loro riconduzione alla disciplina legale ordinaria.

Altre clausole frequentemente oggetto di controversia sono quelle legate all' “adeguamento ISTAT del canone”, nella prassi è frequente il superamento di tale limite o l'inserimento di clausole di revisione “a scaletta” o “a soglie crescenti”, che possono essere ritenute vessatorie se non adeguatamente negoziate e approvate per iscritto.

Molto importanti sono anche le regole contrattuali circa le modalità di recesso anticipato convenzionale e le clausole risolutive espresse. Anche la facoltà di recesso anticipato del conduttore, prevista dalla stessa norma “per gravi motivi” e spesso anche pattuita ad nutum, rappresenta un altro punto di frizione: è frequente che il locatore si opponga al recesso, contestandone la legittimità o pretendendo penali. Tali clausole, se mal redatte o troppo generiche, rischiano di comprimere eccessivamente la libertà imprenditoriale delle parti o generare incertezze interpretative. È quindi essenziale che vengano formulate con precisione tecnica e calibrate sul caso concreto, per evitare problemi di validità o di squilibrio contrattuale.

Inoltre, assumono rilevanza crescente le clausole che regolano l'uso esclusivo dell'immobile per specifiche attività (clausole di destinazione d'uso), quelle di divieto di concorrenza e le pattuizioni relative agli oneri di manutenzione straordinaria, spesso fonte di squilibrio contrattuale.

Risulta spesso fonte di controversia civile anche il riconoscimento dell'indennità di fine locazione in caso di disdetta anticipato da parte del proprietario (“indennità da avviamento”), su cui soffermeremo qui di seguito.

Tutte le questioni sopra sposte confermano la necessaria attenzione che si deve porre nella redazione del contratto di locazione commerciale, non affidandosi semplicemente a modelli prestampati o format generici reperibili facilmente su Internet.

Questioni tributarie e regime generale

Dal punto di vista fiscale, il contratto di locazione commerciale soggiace al regime ordinario del reddito d'impresa, ai fini IRPEF/IRES, con tassazione del reddito da locazione in base ai canoni effettivamente percepiti. Secondo l'ordinaria disciplina IVA, quando il locatore agisce nell'ambito di attività d'impresa il relativo canone è soggetto all'imposta sui consumi.

La regola generale prevede l'imponibilità IVA, salvo opzione per l'esenzione in determinati casi (immobili strumentali locati a soggetti privi di detrazione d'imposta). Questo genera spesso profili di incertezza, soprattutto quando l'inquilino esercita un'attività mista o ha diritto solo parziale alla detrazione dell'IVA. Sul tema, più in generale, occorre fare rinvio alle circolari dell'Agenzia delle Entrate (ad es. Circ. 8/E/2020 e Circ. 26/E/2011).

Dal lato del conduttore, il canone rappresenta un costo deducibile, salvo l'ipotesi di immobili patrimonializzati. Per i soggetti IRPEF in contabilità semplificata, si applica il principio di cassa.

Dal lato del locatore, il canone è ordinariamente imponibile ai fini IRPEF/IRES, con tassazione progressiva o proporzionale. Rilevano anche:

  • IVA o registro: la locazione può essere esente o imponibile IVA, a seconda dell'opzione (art. 10 n. 8 DPR 633/72);
  • IMU: il locatore è soggetto passivo, salvo i casi di esenzione (es. immobili storici, uso sociale);
  • Registro: obbligo di registrazione annuale con versamento dell'imposta (1% se soggetto ad IVA, 2% se esente).

Ulteriori criticità riguardano:

  • il trattamento fiscale delle indennità di avviamento, riconosciute al conduttore in caso di cessazione del contratto per volontà del locatore, riconosciuta al conduttore ai sensi dell'art. 34 L. 392/1978 nel caso in cui il locatore rifiuti il rinnovo del contratto alla prima scadenza. Da un punto di vista civilistico, si tratta di un indennizzo obbligatorio, dovuto ogniqualvolta il locale sia adibito ad attività aperta al pubblico e la cessazione non dipenda da inadempimento dell'inquilino. Dal punto di vista fiscale, invece, per il locatore, la somma pagata rappresenta un costo deducibile, se l'immobile è strumentale all'attività d'impresa.
  • la distinzione tra oneri accessori (utenze, manutenzioni, spese condominiali) e canone puro, ai fini sia della base imponibile sia della deducibilità. Ai fini delle imposte dirette, il canone costituisce reddito fondiario per il locatore e costo deducibile per l'impresa conduttrice (art. 95 TUIR, se immobile strumentale). Gli oneri accessori, se documentati, possono anch'essi essere dedotti come costi d'esercizio nella misura in cui siano inerenti all'attività e regolarmente contabilizzati, come stabilito anche dall'art. 109 TUIR.

Cedolare secca, esclusa ma spesso invocata

La cedolare secca è – stando alla interpretazione dominate - inapplicabile alle locazioni commerciali con una delle due parti in veste di impresa o professionista. L'art. 3 D.Lgs. 23/2011 ne ha previsto l'applicazione solo per alcune locazioni a uso diverso da abitazione stipulate nel 2019 e solo a condizioni limitate (persone fisiche e immobili in cat. C/1 fino a 600 mq, senza impresa come conduttore).

Attualmente, quindi, non vi sono margini di applicazione della cedolare secca nel comparto commerciale, ma il tema resta di interesse nelle ipotesi in cui un privato non imprenditore dia in locazione un locale residenziale a un soggetto IVA. Tuttavia, anche in questi casi, l'Agenzia delle Entrate ha espresso posizioni restrittive, e la giurisprudenza civile e tributaria non è sempre uniforme.

Ci sono delle aperture della giurisprudenza di legittimità (come la  sent. Cass. 12395/2022, sebbene non rappresentante di un indirizzo univoco) che, valorizzando la natura della locazione di immobili residenziali da parte di privati, ha ritenuto  applicabile questa imposta sostitutiva anche all'utilizzatore diverso da consumatore finale. Quindi, il conduttore soggetto IVA non esclude, secondo questo orientamento meno rigoroso, l'adozione della cedolare secca per locazioni commerciali di immobili residenziali, quando il proprietario che affitta sia un privato.

In definitiva, la locazione commerciale rimane uno strumento centrale nella gestione degli immobili strumentali, ma anche un terreno ad alta complessità, dove gli aspetti contrattuali e tributari vanno affrontati in modo integrato e con attenzione ai rischi potenziali.

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