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giovedì 09/10/2025 • 06:00

Fisco DALLA CASSAZIONE

IMU su aree edificabili: prevale l'urbanistica sulla rendita catastale zero

L'IMU è dovuta sulle aree urbane anche se prive di rendita, a condizione che il Piano Regolatore le qualifichi come fabbricabili. Il principio cardine è la prevalenza della destinazione urbanistica sulla classificazione catastale. Respinta anche l'esenzione per pertinenzialità se l'asservimento non è oggettivamente irreversibile (Cass. 3 ottobre 2025 n. 26673).

di Barbara Bosso de Cardona - Notaio in Torino

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Piano Regolatore sulla rendita catastale zero

La Cass. 3 ottobre 2025 n. 26673 si è pronunciata circa l'applicazione dell'IMU sulle aree urbane che, pur non essendo formalmente edificabili o pur non avendo rendita catastale, conservano una potenzialità di sviluppo. Il contenzioso analizzato dalla Corte traeva origine dall'impugnazione di un provvedimento con cui un'Amministrazione Comunale aveva respinto l'istanza presentata da una Cooperativa Edilizia per il parziale rimborso dell'IMU versata in un anno precedente, relativa alla proprietà di un'area territoriale di vaste dimensioni (diverse migliaia di metri quadrati) sita in una frazione urbana. Quest'area era stata oggetto di un frazionamento catastale, che aveva portato alla creazione di un piccolo locale destinato a deposito e, conseguentemente, aveva lasciato la restante area classificata al Catasto Terreni in una Categoria Catastale Fittizia, specificamente la categoria Aree Urbane, la cui rendita risultava essere pari a zero.

La Cooperativa sosteneva che l'assenza di rendita e la classificazione in una categoria "fittizia" dovessero escludere la tassazione IMU, o che l'area dovesse essere considerata un'area non edificabile, assimilabile a terreno agricolo. Inoltre, si appellava alla natura pertinenziale dell'area rispetto al locale a deposito. Il Comune, al contrario, aveva confermato il proprio atto impositivo sostenendo che l’area, pur classificata in modo provvisorio, dovesse essere considerata un'area fabbricabile in base alla pianificazione urbanistica vigente.

Dopo che la Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione al contribuente, riconoscendo il diritto al rimborso in virtù del dato catastale della rendita nulla, il Comune proponeva ricorso per Cassazione. La Suprema Corte ha accolto le ragioni del Comune, stabilendo principi di diritto di fondamentale importanza.

La prevalenza del diritto urbanistico su quello catastale

Il fondamento della decisione risiede nella corretta interpretazione della nozione di "area fabbricabile" ai fini IMU. La normativa fiscale (che ricalca i precedenti criteri ICI) stabilisce che la base imponibile delle aree fabbricabili è costituita dal valore venale in comune commercio, determinato tenendo conto di elementi essenziali come l'indice di edificabilità e la destinazione d'uso consentita.

La Corte ha ribadito che, per costante e consolidata giurisprudenza, la potenziale edificabilità di un’area deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel Piano Regolatore Generale (PRG) adottato dal Comune, o in altri strumenti urbanistici vigenti. Questo significa che il dato urbanistico, espresso dalla pianificazione comunale, prevale sul dato catastale.

Il Catasto, in questa ottica, ha una funzione prevalentemente ricognitiva dei beni e dei redditi, ma non è il parametro determinante per stabilire la capacità edificatoria di un suolo. Un'area qualificata come edificabile nel PRG è tassabile come tale, a prescindere dal fatto che:

  • sia classificata in una categoria catastale fittizia o provvisoria;
  • non produca alcuna rendita catastale;

  • non siano stati ancora approvati gli strumenti urbanistici attuativi (come i piani di lottizzazione).

La Cassazione ha chiarito che il contribuente non può utilizzare la classificazione fittizia o la rendita zero per sottrarre l'area all'imposizione, nel momento in cui la sua potenziale destinazione d'uso è edificatoria. Un’area che abbia subito un frazionamento e un mutamento di destinazione, pur non essendo ancora un fabbricato (in assenza di opera coperta), non è più un terreno agricolo e deve essere qualificata fiscalmente come area fabbricabile, proprio in virtù della sua potenzialità urbanistica.

La natura fiscale della categoria aree urbane

La Suprema Corte ha fornito un chiarimento essenziale in merito alla natura delle aree censite nella Categoria Catastale Fittizia, spesso denominata Aree Urbane. Queste categorie, note anche come categorie provvisorie, sono state istituite per ragioni di identificazione e censimento catastale di porzioni di suolo che hanno perso la qualifica di terreni agricoli a seguito di interventi di natura edilizia o di urbanizzazione, ma che non hanno ancora completato il ciclo edificatorio. Esse non sono produttive di reddito catastale ma devono essere mappate e censite.

I Giudici hanno stabilito che un'area classificata in una Categoria Catastale Fittizia si trova all'interno di un perimetro urbano e, se il piano urbanistico ne consente l'edificazione, la sua base imponibile IMU deve essere calcolata sul suo valore venale come area fabbricabile. Il suo valore economico non deriva dalla rendita agricola (inesistente) o dalla rendita catastale (nulla), bensì dal diritto edificatorio insito nel suolo secondo la pianificazione comunale. L'area, avendo subito una trasformazione, non può essere assimilata a un terreno agricolo per usufruire delle agevolazioni previste per quest'ultima categoria.

Le rigorose condizioni del vincolo pertinenziale

Un altro punto dirimente nel contenzioso riguardava il tentativo della Cooperativa di far rientrare la vasta area territoriale nel concetto di pertinenza del piccolo locale a deposito. Riconoscere l'area come pertinenza avrebbe significato assoggettarla allo stesso regime fiscale del bene principale, escludendola dall'imposizione autonoma.

La Corte ha richiamato l'art. 817 c.c., ribadendo che la natura pertinenziale si realizza solo con la destinazione durevole a servizio od ornamento di un'altra cosa. Tuttavia, quando l'area rivendicata come pertinenza è urbanisticamente qualificata come edificabile, la giurisprudenza richiede un'applicazione particolarmente rigorosa del principio.

Perché l'area edificabile sia esclusa dalla tassazione autonoma, non basta il semplice requisito soggettivo (l'intenzione del proprietario di destinarla a servizio) né l'uso di fatto (come giardino o parcheggio). È necessario che sia dimostrato un vincolo pertinenziale oggettivo, stabile e durevole che ne escluda, in maniera definitiva e incontestabile, ogni potenziale edificatorio futuro.

In pratica, il contribuente deve provare che l'area sia stata oggettivamente e funzionalmente vincolata al fabbricato in modo irreversibile, precludendo di fatto e di diritto ogni possibilità di costruzione. Il vincolo deve tradursi in una rinuncia legale e materiale al diritto di costruire su quella porzione di suolo.

Nel caso specifico esaminato dalla Corte, l'area era di notevoli dimensioni, e l'asservimento a un locale di deposito di ridottissima metratura non era stato ritenuto sufficiente a stabilire quel vincolo oggettivo e irreversibile richiesto dalla legge per escludere il potenziale edificatorio dell'area. Non essendo stata fornita tale prova, la Corte ha respinto il ricorso del contribuente, confermando che l’area, in quanto potenzialmente fabbricabile, era soggetta a IMU, ribaltando così la decisione dei giudici di merito.

La sentenza della Suprema Corte ha quindi cassato la pronuncia precedentemente favorevole alla Cooperativa e, decidendo nel merito, ha rigettato il ricorso originario, confermando la legittimità dell'atto impositivo comunale. La decisione consolida la linea giurisprudenziale che attribuisce al Piano Urbanistico il ruolo primario nella determinazione della base imponibile IMU, disincentivando pratiche che tentano di minimizzare l'imposta sfruttando la classificazione catastale provvisoria.

Fonte: Cass. 3 ottobre 2025 n. 26673

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