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mercoledì 08/10/2025 • 06:00

Speciali RETRIBUZIONE

Fringe benefit e autovetture nell’era della trasparenza retributiva

La legge di bilancio 2025 ha, da un lato, stabilizzato il regime dei fringe benefit e, dall'altro, modificato il valore fiscale forfettario degli autoveicoli ad uso promiscuo: ma la necessità di promuovere politiche retributive non discriminatorie e trasparenti, come da Dir. UE 270/2023, come si concilierà con la concessione di tali benefit?

di Dario Ceccato - Founder Ceccato Tormen & Partners

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  • Tempo di lettura 4 min.
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Il necessario rispetto della Dir. UE 970/2023 (cd. Direttiva Pay trasparency), che il legislatore italiano è obbligato a recepire entro il 7 giugno 2026, ci impone una valutazione di sistemi e strumenti retributivi ordinari in una chiave di lettura diversa, strategica e non rimessa unicamente al corretto utilizzo degli stessi secondo normativa locale.

La concessione di fringe benefit nei limiti di 1.000 o 2.000 euro all'anno (esenti sia da contributi che da imposte) non potrà più essere vista come un mero rispetto di condizionalità normative interne (ovvero prestare attenzione alle soglie di esenzione o farsi rilasciare delle dichiarazioni) ma dovrà, per forza, considerare se la concessione a Tizio di tali benefit sia o possa impattare sul dato relativo alla diseguaglianza delle retribuzioni da mappare per lavoratori di pari valore.

Lo stesso vale per la concessione di autoveicoli ad uso promiscuo. Ferme restando le policy aziendali che potrebbero prevedere il riconoscimento dell'autoveicolo per determinati ruoli, un eventuale godimento di un mezzo in favore di un dipendente per “ingaggiarlo”, laddove altri non hanno la stessa fortuna, potrà creare problemi?

Proviamo a capirlo.

I fringe benefit ed il comma 390

Come sappiamo, il comma 390 e seguenti della legge di bilancio 2025 (L. 207/2024) ha stabilizzato, per un bel triennio, la concessione di beni (e qualche rimborso) nei limiti individuali di 2.000 euro per chi ha figli a carico.

La norma è chiara: traslando quanto già previsto ai commi 16 e 17 della L. 213/2023, l'attuale norma dispone “in deroga a quanto previsto dall'articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non concorrono a formare il reddito, entro il limite complessivo di 1.000 euro, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell'energia elettrica e del gas naturale, delle spese per la locazione dell'abitazione principale o per gli interessi sul mutuo relativo all'abitazione principale. Il limite di cui al primo periodo è elevato a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti e i figli adottivi, affiliati o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 12, comma 2, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. I datori di lavoro provvedono all'attuazione del presente comma previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti”. A questo si aggiunge il comma successivo il quale chiede una dichiarazione a firma del beneficiario nel caso di figli a carico.

Al di là delle tematiche del disposto in trattazione (la necessità di una comunicazione alle rappresentanze sindacali unitarie appare ancora avvolta dal mistero), sappiamo che il presupposto normativo è rilevabile all'art. 51 c.  3 TUIR e che, a vedere bene, parliamo di un sistema retributivo, non di welfare.

Quello che comunemente (e talvolta impropriamente) viene definito “welfare” trova le sue radici normative nell'art. 51 c. 2 TUIR, non nel comma 3 (o 4, come vedremo).

È per questo che la concessione di fringe benefit in favore di Tizio ma non di Caio, colleghi con lo stesso livello, qualifica ed esperienza, non è ritenuta da un punto di vista fiscale e previdenziale ostativa dei benefici a loro concessi.

Diversamente, o siamo nell'alveo delle categorie omogenee o collettività, oppure un sistema di welfare non riuscirebbe ad ottenere i benefici tanto attesi.

Il valore degli autoveicoli

Per non parlare di autoveicoli in uso promiscuo.

In questa sede tralasciamo l'annosa questione rimessa al nuovo metodo di calcolo del benefit aziendale di cui al comma 48 della legge di bilancio 2025. Non parliamo dei vari tentativi di approvare un emendamento (solo la legge di conversione del decreto bollette ce l'ha fatta) che istituisca una clausola di salvaguardia al 30 giugno 2025 per i veicoli ordinati prima del 31 dicembre 2024. Tralasciamo la circolare dell'Agenzia delle Entrate del 10 luglio, con cui è stata espressa la mancata volontà di disciplinare il concetto di “valore quasi normale” nel caso di concessione di autoveicoli immatricolati prima del 31 dicembre 2024 ma concessi post 1° luglio 2025. Passiamo sopra con l'asfaltatrice agli interpelli in materia di optional (interpello n°233/2025) e facciamo anche finta di niente in merito a quella ostile ed insensata negazione della ricarica elettrica domestica rimborsabile al pari dei veicoli ad idrocarburi.

Dato che il valore fiscale dell'autoveicolo è disciplinato dall'art. 51 c. 4 TUIR, e preso atto che il suddetto disposto ci indica come calcolare il valore del comma 3 (per quanto derogato dalla legge di bilancio), siamo sempre alle solite.

Concedere un'autovettura in uso promiscuo può essere considerata retribuzione e, quindi, da un punto di vista fiscale e previdenziale, la forfettizzazione non è pregiudicata dalla consegna delle chiavi alla collega e non a me.

L'art. 3 della Direttiva Pay trasparency

Ma come si possono concedere questi benefit alla luce della Dir. UE 970/2023?

Per prima cosa, dobbiamo ricordare come questa direttiva ha l'obiettivo di dare piena attuazione al principio di parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra uomini e donne attraverso la trasparenza retributiva. Non si tratta di principi innovativi ma, chiaramente, l'evidenza fattuale porta a ritenere (dati granitici alla mano) come l'equivalenza retributiva di genere sia molto lontana.

Ora, l'art. 3 della direttiva definisce «retribuzione» “il salario o lo stipendio normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore (componenti complementari o variabili) a motivo dell'impiego di quest'ultimo”.

Dunque, anche la retribuzione in natura. Quella retribuzione che, fiscalmente e non, abbiamo imparato ad erogare senza tener conto di categorie o collettività ma (forse perché ci faceva anche comodo) un po' come vogliamo, quale gratificazione o meno del lavoro svolto.

Sarà dunque possibile procedere in modo “allegro” individualizzando il benefit? Ovvero concedendo senza tenere conto di un processo o sistema che garantisca una giusta ripartizione tra generi? O tali concessioni aumenteranno quella disparità salariale, potenzialmente portandola al di là del limite del 5% introdotto dalla direttiva?

Non vorremmo arrivare ad essere censurati di un utilizzo discriminatorio dei ticket. 

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