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mercoledì 01/10/2025 • 06:00

Fisco DALLA CASSAZIONE

Crediti d'imposta e compensazione IVA: limitato il termine di accertamento

Il termine lungo di otto anni per l'accertamento fiscale si applica solo ai crediti d'imposta inesistenti, non a quelli semplicemente utilizzati in modo improprio. Lo ha stabilito la Cassazione con Ordinanza 27 settembre 2025 n. 26273.

di Andrea Carinci - Professore ordinario Università di Bologna e patrocinante in Cassazione

di Adriana Patumi - Dottoranda di ricerca in Scienze giuridiche presso Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

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  • Tempo di lettura 7 min.
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La Corte di cassazione, con l'ordinanza del 27 settembre 2025 n. 26273, ha affrontato il tema della compensazione di crediti d'imposta con debiti IVA, distinguendo tra “crediti inesistenti” e “crediti non spettanti” e chiarendo le conseguenze in termini di termini di accertamento e sanzioni.

Al centro della vicenda affrontata dalla Suprema Corte vi è l'utilizzo di un credito d'imposta maturato ai sensi dell'art. 8 L. 388/2000, riconosciuto a seguito di investimenti in aree svantaggiate, compensato dalla società contribuente con un presunto debito IVA in acconto. Tuttavia, la situazione di fatto era peculiare: la contribuente, al momento dell'operazione, vantava già un credito IVA di oltre 149.000 euro.

La posizione dell'Agenzia delle Entrate e la reazione della contribuente

L'Agenzia delle Entrate contestava l'operazione, emettendo un atto di recupero giustificato dalla circostanza che la compensazione fosse avvenuta in assenza di un effettivo debito IVA. Secondo l'Amministrazione finanziaria, il credito d'imposta sarebbe stato utilizzato in modo indebito, integrando così la fattispecie del credito inesistente e consentendo l'applicazione del termine “lungo” di otto anni per l'accertamento, previsto dall'art. 27 c. 16 DL 185/2008.

La società, di contro, ha difeso la propria posizione sostenendo l'esistenza del credito, il quale sarebbe stato semplicemente utilizzato in modo non conforme, con conseguente doverosa applicazione del termine ordinario di accertamento.

Il nodo giurisprudenziale: credito inesistente o non spettante?

Il cuore della questione ruota attorno alla distinzione tra credito d'imposta inesistente e credito d'imposta non spettante: una differenza apparentemente sottile, ma che comporta rilevantissime conseguenze pratiche, soprattutto per i termini di decadenza dell'attività di controllo dell'Amministrazione finanziaria e per il regime sanzionatorio delle relative violazioni.

La Suprema Corte, facendo propri i principi delle Sezioni Unite (Cass. SU 11 dicembre 2023 n. 34419), ha chiarito che il credito d'imposta è inesistente quando è frutto di una artificiosa rappresentazione, è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge o, pur essendo sorto, è già estinto al momento dell'utilizzo.

L'inesistenza deve essere tale da non poter essere riscontrata tramite i controlli automatizzati (artt. 36-bis e 36-ter DPR 600/73 e art. 54-bis DPR 633/72).

Se invece la mancanza è rilevabile in sede di controllo formale, si parla di credito non spettante e si applicano i termini ordinari per l'accertamento.

La Cassazione, pertanto, ha superato il precedente orientamento che non distingueva tra le due categorie, sancendo come il termine di otto anni si applichi solo ai crediti inesistenti non rilevabili dai controlli formali.

Il caso concreto: la sentenza della Cassazione

Nel caso di specie, la Corte ha stabilito:

  • che il credito d'imposta esisteva nei suoi presupposti costitutivi;
  • che il suo utilizzo per compensare un acconto IVA in presenza di un credito IVA preesistente integrava una “indebita utilizzazione”, non incidente però sull'esistenza del credito;
  • che l'errore risiedeva quindi nella spettanza della compensazione, non nell'esistenza stessa del credito.

Di conseguenza, la Corte ha ritenuto non applicabile il termine lungo di otto anni, ma quello ordinario, accogliendo il ricorso della società, cassando la sentenza della Commissione Tributaria Regionale e annullando l'atto impositivo.

Le imprese devono prestare la massima attenzione nell'utilizzo dei crediti d'imposta: l'utilizzo in compensazione è ammesso solo in caso di effettiva esistenza di un debito fiscale, e non per acconti o anticipazioni non corrispondenti a reali debiti tributari. Tuttavia, se il credito esiste, ma è solo mal utilizzato, non si applica il termine lungo per l'accertamento, ma quello ordinario.

La distinzione tra credito inesistente e non spettante è insomma chiara e operativa: solo il primo caso consente all'Amministrazione finanziaria di agire entro otto anni.

Le motivazioni della Corte: valorizzazione della certezza del diritto

La Corte di cassazione ha valorizzato la necessità di certezza del diritto e tutela dell'affidamento del contribuente. L'applicazione del termine di otto anni, con la conseguente estensione dei poteri accertativi dell'Amministrazione, è riservata ai soli casi in cui il credito è del tutto inesistente e non rilevabile con i controlli ordinari, cioè frutto di condotte fraudolente o di totale carenza dei presupposti.

Nei casi, invece, in cui il credito esiste, ma viene utilizzato in modo non corretto, il contribuente è comunque soggetto alle sanzioni ordinarie, ma beneficia di termini di accertamento più favorevoli.

La distinzione tra credito inesistente e non spettante non è soltanto una questione teorica, ma comporta implicazioni concrete di tutela per imprese e contribuenti, i quali, grazie anche alla giurisprudenza di legittimità, possono contare su regole chiare e trasparenti in caso di errori nella gestione dei crediti d'imposta.

Fonte: Cass. 27 settembre 2025 n. 26273

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