venerdì 19/09/2025 • 06:00
Recenti iniziative di astensione collettiva, anche in settori strategici, hanno riacceso il dibattito giuridico sugli scioperi politici e di solidarietà: pur legittimi secondo la Consulta, la L. 146/1990 e le decisioni dei giudici ordinari ne hanno talvolta delimitato l'agibilità, soprattutto nei servizi pubblici essenziali.
Negli ultimi mesi diverse notizie hanno riportato l'attenzione su una tipologia di conflitto collettivo che ciclicamente riemerge: lo sciopero politico e di solidarietà. Non si tratta delle classiche astensioni finalizzate a rivendicare aumenti retributivi o migliori condizioni contrattuali, ma di iniziative che mirano a sostenere cause più ampie: dal richiamo al ripudio della guerra sancito dall'art. 11 della Costituzione, alla solidarietà con altre categorie di lavoratori, fino alla protesta contro decisioni legislative o di governo.
L'apertura della Corte costituzionale
Un passaggio fondamentale nell'evoluzione del diritto di sciopero in Italia è rappresentato senza ombra di dubbio dalla sentenza n. 290 del 1974 della Corte Costituzionale. Con essa la Consulta dichiarò l'illegittimità dell'art. 503 c.p., che puniva lo sciopero politico, chiarendo che l'astensione collettiva dal lavoro non può essere sanzionata penalmente quando non persegua finalità eversive, cioè non sia finalizzata al sovvertimento dell'ordinamento democratico o all'impedimento del libero esercizio dei poteri sovrani. Da quel momento lo sciopero per fini non contrattuali ha trovato riconoscimento come forma di libertà costituzionalmente protetta.
La Corte Costituzionale, in quell'occasione, sottolineò come lo sciopero politico, pur non rientrando pienamente nell'art. 40 Cost. in quanto non connesso immediatamente alla tutela di interessi economici e professionali, dovesse collocarsi nel più ampio orizzonte delle libertà collettive garantite dagli artt. 2 e 3 Cost., in particolare come modalità di partecipazione alla vita democratica e di pressione sociale per la rimozione degli ostacoli che limitano l'eguaglianza sostanziale.
La giurisprudenza successiva
A questo primo passo della Consulta hanno fatto seguito ulteriori chiarimenti. Con la sentenza n. 165 del 1983, la Corte costituzionale ha ribadito che rientrano nell'art. 40 Cost. anche gli scioperi privi di finalità strettamente economiche, confermando la piena cittadinanza dello sciopero politico nell'ordinamento, salvo che l'esercizio del diritto di sciopero “…non sia diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ad ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità dello Stato”.
Su questa linea si colloca la giurisprudenza della Cassazione, che dapprima (anni '80-'90) aveva tracciato una distinzione tra sciopero “politico puro” e sciopero “politico-economico”, riconoscendo solo a quest'ultimo tutela in quanto legato a condizioni lavorative.
Con la sentenza Cass. 21 agosto 2004, n. 16515, però, la Suprema Corte ha compiuto un passo ulteriore, ritenendo lecito e legittimo non solo penalmente, ma anche civilmente, uno sciopero indetto contro l'intervento militare in Kosovo, qualificandolo come espressione di libertà collettiva e strumento di partecipazione democratica (secondo un pregresso orientamento, invece, lo sciopero politico era considerato lecito penalmente ma non civilmente; il lavoratore dunque andava esente da sanzioni penali, ma restava civilmente responsabile per la mancata prestazione lavorativa).
Da ciò discende che il datore di lavoro non può considerare l'assenza dei lavoratori come ingiustificata né adottare sanzioni disciplinari, pena la configurazione di una condotta antisindacale. Del resto, come è stato osservato in giurisprudenza, sarebbe illogico e contraddittorio predicare affermare l'agibilità dell'astensione collettiva anche in caso di sciopero politico o politico-economico puro e, contestualmente, affermarne il carattere illecito, seppure sotto il solo profilo civile.
Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali: il maggior rigore della giurisprudenza
Il quadro, tuttavia, cambia sensibilmente quando entrano in gioco i servizi pubblici essenziali. In questo caso, infatti, entra in gioco la L. 146/1990, che impone regole procedurali stringenti, che hanno lo scopo di garantire un bilanciamento attento con diritti fondamentali dei cittadini.
In questo campo, la giurisprudenza ha mostrato di muoversi con particolare severità: emblematico è il caso deciso dal Tribunale di Roma nel 2020 (Trib. Roma, sent. n. 7237/2020), relativo allo sciopero generale proclamato senza preavviso da USB in piena emergenza Covid. Invocando l'art. 2 c. 7 L. 146/1990, del testo normativo, il sindacato aveva sostenuto che la pandemia costituisse un “grave evento lesivo dell'incolumità e della sicurezza dei lavoratori” tale da rendere non necessario il rispetto del termine di preavviso previsto dalla regolamentazione di settore. Questa prospettiva, però, non è stata avallata dalla sentenza, che ha escluso che un'emergenza sanitaria di carattere generale potesse automaticamente giustificare la deroga, precisando che la norma richiede circostanze specifiche e documentabili, come episodi concreti di pericolo immediato.
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Roberta Cristaldi
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