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martedì 16/09/2025 • 06:00

Impresa Moda

Armani: identità del marchio e strategie di passaggio generazionale

Il momento del passaggio generazionale , o comunque della cessazione dell'attività del fondatore , rappresenta il banco di prova più arduo per un marchio patronimico . Proponiamo alcune riflessioni sul tema, a seguito della recente scomparsa di Giorgio Armani .

di Gilberto Cavagna di Gualdana - Avvocato, BIPART studio legale, diritto della proprietà intellettuale e dell’arte

di Maria Giulia Contatore - Avvocato, BIPART studio legale, diritto della proprietà intellettuale e dell’arte

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Il lascito di Giorgio Armani è enorme, per la straordinaria creatività espressa, per l'influenza esercitata nel mondo della moda e degli accessori, per il prestigio e il ruolo di ambasciatore dell'eccellenza italiana nel panorama internazionale. Il patrimonio costruito e l'avviamento generato costituiscono un'eredità di valore inestimabile.

La sua recente scomparsa porta in primo piano una questione cruciale per il settore della moda e del lusso, che intreccia profili di diritto industriale, commerciale e civile: la gestione dell'identità di un marchio indissolubilmente legato alla figura del suo fondatore e le strategie necessarie per garantirne un efficace passaggio generazionale. Il nome "Armani" non è solo un segno distintivo, ma un "marchio patronimico", che nel tempo ha acquisito un'autonoma e potente identità, la cui sopravvivenza e valorizzazione rappresentano una sfida strategica complessa.

L'identità del marchio e la tutela del nome patronimico

Il Codice della Proprietà Industriale (“CPI”) e la normativa europea offrono una tutela specifica per i nomi di persona utilizzati come marchi. L'art. 8 c. 2 CPI stabilisce che i nomi di persona diversi da quello di chi chiede la registrazione possono essere registrati come marchi, a condizione che il loro uso non sia tale da ledere la fama, il credito o il decoro di chi ha diritto a portare tali nomi. Qualora il nome sia notorio, come nel caso di "Armani", la registrazione o l'uso come marchio è consentito esclusivamente all'avente diritto o con il suo consenso. Tale previsione riconosce il valore intrinseco che un nome può assumere, trasformandosi da mero dato anagrafico a segno distintivo di un'impresa e dei suoi prodotti.

La tutela non si limita al nome, ma si estende anche al ritratto. L'art. 8 c. 1 CPI vieta la registrazione di ritratti di persone senza il loro consenso, in coerenza con il più ampio diritto all'immagine e all'identità personale che impedisce l'utilizzo dell'immagine altrui a fini commerciali e pubblicitari senza il consenso del soggetto ritratto.

Un marchio patronimico come "Armani" ha acquisito, con il tempo e l'uso, un carattere distintivo eccezionale, non solo intrinseco ma anche derivante dalla notorietà maturata sul mercato. La giurisprudenza, sia nazionale che unionale, riconosce che i marchi dotati di un'elevata rinomanza beneficiano di una protezione più ampia rispetto ai marchi con un carattere distintivo ordinario. Questa protezione rafforzata si manifesta nella possibilità, per il titolare, di opporsi non solo a marchi identici o simili per prodotti identici e/o affini, che genererebbero un rischio di confusione per il pubblico (art. 12, c 1 lett. d CPI), ma anche a marchi utilizzati per prodotti e/o servizi non affini, quando il marchio anteriore goda nell'unione Europea, o nello Stato, di rinomanza e l'uso di quello successivo possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi (art. 12 c. 1 lett. e CPI). Le numerose azioni legali intraprese dalla Giorgio Armani S.p.A. per difendere i propri marchi da tentativi di contraffazione o associazione indebita testimoniano la costante vigilanza necessaria per preservare l'unicità e il valore del brand.

Il diritto al nome, tuttavia, non è assoluto. L'art. 21 CPI tempera l'esclusiva del titolare del marchio, consentendo a terzi di usare il proprio nome nell'attività economica, purché tale uso sia conforme ai principi della correttezza professionale. Questo bilanciamento esprime l'esigenza del legislatore di contemperare la tutela del marchio con la libertà di iniziativa economica.

La transizione generazionale e la sopravvivenza del marchio

Il momento del passaggio generazionale, o comunque della cessazione dell'attività del fondatore, rappresenta il banco di prova più arduo per un marchio patronimico. La questione centrale riguarda la possibilità di trasferire o concedere in licenza il marchio senza perdere la sua essenza e senza ingannare il pubblico circa la sua origine, la qualità e i valori che esso incarna.

L'art. 2573 c.c. disciplina il trasferimento del marchio, stabilendo che esso può essere ceduto o concesso in licenza per la totalità o per una parte dei prodotti e/o servizi per i quali è stato registrato, ma introducendo un limite fondamentale: "purché in ogni caso dal trasferimento o dalla licenza non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico".

Nel caso di un marchio come "Armani", i "caratteri essenziali" sono intimamente legati alla visione creativa, allo stile, alla qualità e al prestigio associati alla persona del fondatore. Il pubblico si aspetta che un prodotto "Armani" rifletta un universo valoriale coerente, che abbraccia estetica, qualità manifatturiera e posizionamento nel mercato del lusso. Un passaggio di proprietà o di gestione che tradisse queste aspettative rischierebbe di costituire un inganno giuridicamente rilevante e di compromettere con conseguenze potenzialmente devastanti per il valore del marchio.

La sfida per gli eredi o i successori non è dunque solo giuridica, ma soprattutto strategica e operativa: garantire la continuità sostanziale con l'eredità del fondatore, pur assicurando l'innovazione necessaria a mantenere la rilevanza del marchio sul mercato nel tempo. Questo può avvenire attraverso la nomina di un direttore creativo capace di interpretare e far evolvere lo stile originario o attraverso la creazione di una fondazione che vigili sulla coerenza dell'immagine e dei valori del brand, fungendo da garante della sua identità; come nel caso di “Armani” e della Fondazione Giorgio Armani, il cui statuto prevede che essa operi per salvaguardare l'integrità dell'azienda, promuovere la coerenza stilistica e valoriale del marchio e garantire che le decisioni strategiche e creative rimangano fedeli alla visione originaria, offrendo così un modello concreto di successione che non tradisce l'essenza del marchio patronimico.

L'autonomia del marchio patronimico come chiave per la successione

La vera chiave per una successione di successo risiede nel grado di autonomia che il marchio ha saputo acquisire rispetto alla persona fisica del suo fondatore. Nel corso dei decenni, "Armani" ha cessato di essere soltanto il cognome di uno stilista per diventare un segno autonomo, un'icona globale. Il pubblico, oggi, non acquista più (o non solo) un prodotto di Giorgio Armani, ma un prodotto "Armani", percependo il marchio stesso come garante di origine, qualità e appartenenza a un determinato universo valoriale.

Tale evoluzione è riconosciuta anche in sede giuridica. In settori come quello vinicolo, e per analogia in quello della moda, è prassi comune che i prodotti siano commercializzati con il nome del produttore, e il pubblico giunge a percepire quel nome come un marchio a tutti gli effetti. Il nome patronimico si "spersonalizza", acquisendo vita propria e un significato che trascende la biografia del fondatore, trasformandosi in un patrimonio immateriale dotato di autonoma forza distintiva e attrattiva.

La giurisprudenza ha, inoltre, riconosciuto che, per i marchi celebri, la prova dell'uso effettivo – necessaria per evitarne la decadenza – può essere valutata in un contesto più ampio, valorizzando anche d'ufficio la conoscenza diffusa del marchio da parte del pubblico e la sua costante presenza sul mercato. La notorietà del segno, consolidata attraverso decenni di investimenti, campagne pubblicitarie e una capillare distribuzione commerciale, contribuisce a conferirgli un carattere autonomo e durevole, capace di sopravvivere al fondatore e di mantenere intatta la propria forza distintiva.

La documentazione generalmente rilevata in giudizio evidenzia una presenza costante del marchio sul mercato attraverso un'ampia gamma di prodotti – borse, orologi, jeans, magliette, capi di abbigliamento femminile, maschile, sportivo e junior – destinati a consolidare, nell'apprezzamento e nella memoria del pubblico, l'associazione del segno a un universo creativo e stilistico ben definito. Tale utilizzo, accompagnato da un'evoluzione coerente delle iniziative promozionali, costituisce un indice di “uso effettivo” idoneo a confermare la vitalità del marchio e a scongiurarne la decadenza.

Questa autonomia costituisce la più grande e solida garanzia di sopravvivenza del marchio. Quando il segno diviene esso stesso sinonimo di uno stile, qualità e prestigio, la successione non rappresenta più un tentativo di sostituire una figura insostituibile, ma piuttosto un processo di gestione consapevole di un patrimonio immateriale consolidato. Il rischio principale da scongiurare è quello di un'associazione indebita che possa generare confusione nel pubblico, inducendolo a credere che esista un collegamento economico o creativo che in realtà non c'è più, o che è mutato.

In conclusione, la scomparsa di un fondatore iconico come Giorgio Armani non segna necessariamente l'epilogo del marchio che porta il suo nome. L'ordinamento giuridico offre strumenti idonei a consentire una transizione 0rdinata (art. 2573 c.c.) e a garantire la continua protezione del segno (artt. 8 e 12 CPI [). La vera sfida, tuttavia, risiede nella capacità dei successori di custodire e valorizzare l'enorme patrimonio di identità, stile e prestigio che il marchio ha saputo accumulare, dimostrando che l'essenza di "Armani" può sopravvivere al suo creatore proprio perché, nel corso della sua storia, è diventata un'entità autonoma e universalmente riconosciuta.

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