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venerdì 29/08/2025 • 06:00

Lavoro IPOTESI IN DISCUSSIONE

Quota 103 e Opzione donna: analisi di un insuccesso

Pensione anticipata flessibile e pensionamento con ricalcolo contributivo per le lavoratrici: le due misure, introdotte nel 2019, potrebbero non essere confermate nella nuova legge di bilancio: non per la loro eccessiva dispendiosità, ma a causa delle pochissime adesioni riscontrate da parte dei lavoratori.

di Noemi Secci - Consulente del lavoro - Direttore tecnico-scientifico di PrevidAge

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  • Tempo di lettura 8 min.
  • Ascolta la news 5:03
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Addio alla pensione quota 103 ed all'opzione donna? Sembrerebbe di sì, almeno a giudicare dalle ultime proposte rese note in materia di pensioni, che dovrebbero essere attuate con la Manovra 2026.

Tra i trattamenti pensionistici sperimentali previsti per il prossimo anno, difatti, non figurano né la pensione anticipata flessibile cd. Quota 103 (art. 14 c.1 DL 4/2019, come modificato, da ultimo, dalla L. 207/2024), né la pensione anticipata con Opzione donna (art. 16 DL 4/2019, anch'essa prorogata più volte, di cui l'ultima ad opera della L. 207/2024).

Il motivo della probabile cancellazione delle due misure non risiede, però, nella loro eccessiva dispendiosità per le casse pubbliche, ma, al contrario, nella scarsa adesione da parte dei lavoratori: secondo quanto emerge dal Monitoraggio Inps sui flussi di pensionamento, difatti, le domande di opzione donna nel primo semestre del 2025 sono state appena 1.134, in calo ulteriore rispetto al 2024, durante il quale ne sono state presentate 3.590. Ancora peggio la Quota 103, con sole 1.153 domande presentate lo scorso anno.

Ma come mai queste prestazioni pensionistiche, pur consentendo un anticipo nell'uscita dal lavoro rispetto alle pensioni anticipate e di vecchiaia “Fornero” (art. 24 DL 201/2011), sono risultate così poco “appetibili”?

Per comprendere le ragioni dello scarso gradimento, è necessario ricordare i requisiti richiesti per ottenere i trattamenti.

Opzione donna: una pensione anticipata (e penalizzata) per poche

Ad oggi, per accedere all'opzione donna bisogna soddisfare le seguenti condizioni:

  • aver compiuto 61 anni di età entro il 31 dicembre 2024 (60 anni con un figlio, 59 con più figli);
  • entro la stessa data, possedere almeno 35 anni di contributi nella medesima forma assicurativa (non è ammesso il cumulo, salvo quello interno all'Assicurazione generale obbligatoria Inps, ad es. tra i versamenti accreditati nel Fondo pensione lavoratori dipendenti e nelle gestioni artigiani, commercianti e CD/CM, in base a L. 613/1966 e L. 233/1990); per le lavoratrici del settore privato, nei 35 anni non possono essere considerati i periodi di disoccupazione, malattia e infortunio (art. 22 c. 1 L. 153/1969);
  • appartenere alle categorie tutelate delle caregiver, delle invalide dal 74% o delle lavoratrici o licenziate da imprese per le quali è aperto un tavolo ministeriale di gestione della crisi.

La pensione è liquidata dopo 12 mesi (18 mesi per chi possiede contributi da lavoro autonomo) con ricalcolo interamente contributivo.

Le ragioni dei numeri esigui dei pensionamenti con opzione donna sono dunque facilmente comprensibili: oltre alla scarsa appetibilità connessa al calcolo contributo della pensione, normalmente penalizzante, il totale delle domande risulta basso soprattutto a causa della ristretta platea di destinatarie.

Quota 103: la pensione anticipata non tanto flessibile

La pensione anticipata flessibile cd. Quota 103 è il risultato di una lunga evoluzione: dalla Quota 100, terminata nel 2021, che prevedeva l'accesso al pensionamento senza penalizzazioni con 62 anni di età e 38 di contributi, si è passati nel 2022 alla Quota 102, con il medesimo requisito contributivo ma il requisito anagrafico inasprito a 64 anni; è stata poi introdotta la Quota 103 nel 2023, che nella sua prima versione prevedeva, come oggi, 62 anni di età e 41 anni di contributi, ma nessun ricalcolo contributivo, solo un tetto massimo, sino ai 67 anni, pari a 5 volte il trattamento minimo (per il 2025, 3.017 euro mensili).

Comune a tutte le pensioni elencate anche il divieto di lavorare sino all'età per la pensione di vecchiaia (oggi 67 anni), salvo lavoro autonomo occasionale, nonché l'applicazione di una finestra di 3 mesi, 6 per i dipendenti pubblici.

Tutto è “precipitato” in occasione della proroga della Quota 103 per il 2024, con l'introduzione del calcolo interamente contributivo, l'allungamento delle finestre a 7 mesi (9 mesi per i dipendenti pubblici) e l'abbassamento del tetto d'importo a 4 volte il trattamento minimo (2.413,60 euro al mese per il 2025). Ad oggi, con l'ulteriore proroga disposta dalla Manovra 2025, le limitazioni permangono.

Risultano dunque chiari i motivi per i quali i lavoratori “snobbano” il pensionamento anticipato flessibile: penalizzazioni plurime nell'importo dell'assegno, requisiti non troppo ridotti rispetto a quelli previsti per la pensione anticipata Fornero (art. 24 c. 10 DL 201/2011: 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 1 anno in meno per le donne, finestra di 3 mesi), impossibilità, sino alla vecchiaia, di svolgere un'eventuale nuova attività.

Non solo: l'introduzione ed il rafforzamento del cd. Bonus Giorgetti (art. 1 c. 161 L. 207/2024), precedentemente noto come Bonus Maroni, costituisce un ulteriore importante incentivo al trattenimento in servizio, offrendo un ingente surplus in busta paga ai dipendenti che maturano i requisiti per Quota 103 ma decidono di non pensionarsi. Il beneficio consiste infatti nella possibilità di rinunciare all'accredito della quota di contribuzione IVS a proprio carico (generalmente pari al 9,19%), ricevendo quindi un aumento esentasse corrispondente sullo stipendio.

Flessibilità nel 2026: le nuove ipotesi in discussione
Alla luce del sostanziale insuccesso di Quota 103 e Opzione donna, le proposte per la Manovra 2026 si concentrano su forme diverse di anticipo pensionistico, con l'obiettivo dichiarato di offrire flessibilità in uscita, pur nei limiti delle risorse disponibili. Tra le ipotesi allo studio vi è l'estensione, a tutti i lavoratori e non solo a quelli privi di contributi anteriori al 1996, della pensione anticipata a 64 anni di età con almeno 20 anni di contribuzione effettiva (oggi accessibile ai “vecchi iscritti” soltanto mediante il computo nella gestione separata di cui all'art. 3 DM 282/1996). Parallelamente, si discute di una “quota 41” generalizzata, non più limitata ai lavoratori precoci appartenenti a categorie tutelate (art. 1 c. 199 ss. L. 232/2016), ma resa disponibile a chiunque abbia maturato 41 anni di versamenti, eventualmente con penalizzazioni sull'importo dell'assegno commisurate all'Isee.

Quel che è certo è che il margine di manovra per nuove misure strutturali resta ridotto: i vincoli di bilancio impongono prudenza, ma la crescente domanda sociale di strumenti di flessibilità nell'uscita dal lavoro non potrà essere ignorata.

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Francesca Bicicchi

- Consulente del Lavoro in Roma e Bologna

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