giovedì 24/07/2025 • 06:00
La Corte di Cassazione, con la sentenza 3 luglio 2025 n. 18073, ha affermato che in caso di concomitanza tra Cassa Integrazione Guadagni e malattia, prevale il trattamento di integrazione salariale, che sostituisce l'indennità giornaliera di malattia e l'eventuale integrazione contrattuale.
Nel caso oggetto della sentenza n. 18073 del 3 luglio 2025 della Corte di Cassazione, un lavoratore, licenziato per superamento del periodo di comporto, impugnava il provvedimento giudizialmente.
La Corte d'appello territorialmente competente, con propria sentenza, rigettava il reclamo dallo stesso proposto avverso la sentenza di rigetto del proprio ricorso. In particolare, la Corte riteneva, tra le altre, che:
Il lavoratore soccombente proponeva ricorso per cassazione, censurando la decisione dei giudici di merito, a cui resisteva la società con controricorso.
Licenziamento per superamento del periodo di comporto e g.m.o.
La Corte di Cassazione, investita della causa, ritiene infondato il primo motivo di ricorso, ovvero l'eccepita violazione dell'art. 46 del DL 18/2020 in relazione all'art. 3 L. 604/1966 sulla natura e nozione del giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Ciò in quanto i giudici di merito non avevano assimilato il licenziamento in questione al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, disapplicando così il divieto di cui al predetto art. 46.
Secondo la Corte di Cassazione l'infondatezza dell'eccezione formulata si trae dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 12568/18, relativa alla non equiparabilità del licenziamento per superamento di periodo di comporto a quello per giustificato motivo oggettivo, nonché dall'orientamento giurisprudenziale formatosi in merito alla normativa c.d. emergenziale.
A tale ultimo proposito la Corte di Cassazione richiama la giurisprudenza secondo la quale “la nullità del licenziamento per g.m.o. stabilito in ragione del divieto introdotto nel periodo di emergenza Covid dall'art. 46 del d.l. n. 18/2020 non è estensibile all'ipotesi di recesso per superamento del periodo di comporto, in quanto soggetto alle regole dettate dall'art. 2110 c.c., prevalenti, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali” (cfr. Cass. n. 26634/2024).
Sul punto la Corte di Cassazione cita anche la sentenza n. 11429/2025 che ha ribadito la natura “speciale” della disposizione in esame, la cui ratio è stata quella di tutelare i lavoratori dalle ripercussioni negative sull'occupazione derivanti dal blocco o dalla riduzione dell'attività produttiva dovuta all'emergenza pandemica. Tant'è che proprio la sua natura eccezionale e finalizzata a uno specifico contesto ne esclude l'applicazione in via analogica all'ipotesi di giustificatezza del licenziamento del dirigente così come riconosciuto nell'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale per contrasto con l'art. 3 Cost. (cfr. Cass. n. 15030/2024).
Ad ogni modo, continua la Corte di Cassazione, la possibilità di licenziamento per superamento del periodo di comporto, anche nel periodo temporale interessato dal blocco dei licenziamenti, si ricava, in positivo, dalla previsione di non computabilità, ai suoi fini, del periodo trascorso in quarantena domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva (cfr. art. 26, primo comma D.L. 18/2020).
Prevalenza della CIG sulla malattia
La Corte di Cassazione passa poi ad affrontare, per quanto di precipuo interesse, l'altro motivo di impugnazione, ovvero la nullità della sentenza d'appello in relazione al principio della prevalenza della CIG sulla malattia.
In merito ad esso la Corte di Cassazione ritiene che vada confermato il principio di prevalenza della CIG sulla malattia alla luce di quanto disposto dall'art. 3 c. 7 D.Lgs. 148/2015 per il quale “il trattamento di integrazione salariale sostituisce in caso di malattia l'indennità giornaliera di malattia, nonché la eventuale integrazione contrattualmente prevista”.
Detta disposizione, evidenzia la Corte di Cassazione, ha un valore sistematico, la cui portata non incide solo sulla sola disciplina dell'indennizzo per malattia, come ipotizzato dalla Corte distrettuale. Essa incide anzitutto sul titolo dell'assenza in linea con la pronuncia n. 15747/2024 in cui si è affermato che “i periodi di integrazione salariale non possono essere computati ai fini del comporto, poiché quest'ultimo – in quanto limite temporale al potere del datore di lavoro di recedere dal rapporto in assenza della prestazione – presuppone l'attualità dell'obbligo lavorativo, incidendo concretamente sul sinallagma contrattuale. Al contrario, la fruizione del trattamento di cassa integrazione si configura come ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al lavoratore, rendendo pertanto irrilevante la concomitante condizione di malattia”.
In sostanza viene a trovare applicazione quanto statuito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 616/1987, che ha introdotto il concetto di conversione delle cause di sospensione del rapporto di lavoro, riconoscendo la possibilità di un mutamento del titolo giuridico dell'assenza.
Nel caso in esame, infatti, a decorrere dall'inizio della CIG, non era più applicabile il regime previsto per l'assenza per malattia: non solo era mutata la natura e l'entità dell'indennità corrisposta, ma era cambiato anche il titolo stesso dell'assenza. Di conseguenza, né il lavoratore era tenuto a comunicare lo stato di malattia e a trasmettere certificati medici, né trovava applicazione il regime dei controlli sanitari.
Ne consegue che la CIG, per tutto il periodo della sua durata, sostituisce integralmente il titolo giuridico dell'assenza del lavoratore.
In considerazione di quanto sopra esposto la Corte di Cassazione cassa la sentenza impugnata per i motivi accolti, rinviando la causa alla Corte d'appello in diversa composizione.
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