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venerdì 18/07/2025 • 14:58

Lavoro DALLA CORTE COSTITUZIONALE

Impugnazione del licenziamento: termini differiti se il lavoratore è incapace di intendere

La Corte Costituzionale, con sentenza 18 luglio 2025 n. 111, ha dichiarato parzialmente illegittima la norma relativa all’impugnazione del licenziamento nella parte in cui non prevede che se, al momento della ricezione del licenziamento, il lavoratore versi in condizione di incapacità di intendere o di volere, non operi l’onere della previa impugnazione e il licenziamento possa essere impugnato entro 240 giorni dalla ricezione.

a cura di

redazione Memento

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  • Tempo di lettura 6 min.
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L'articolo 6, primo comma, L. 604/66 (Norme sui licenziamenti individuali) è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che, se al momento della ricezione della comunicazione del licenziamento o in pendenza del termine di 60 giorni previsto per la sua impugnazione, anche in via stragiudiziale, il lavoratore versi in condizione di incapacità di intendere o di volere, non opera l'onere della previa impugnazione, anche stragiudiziale, e il licenziamento può essere impugnato entro il complessivo termine di decadenza di 240 giorni dalla ricezione della sua comunicazione.

È quanto ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza numero 111, depositata il 18 luglio 2025, accogliendo la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle Sezioni unite civili della Corte di cassazione.

Il caso di specie

Una lavoratrice alla quale era stato intimato il licenziamento disciplinare, e che si era trovata, al momento della ricezione del recesso datoriale, in uno stato depressivo di tale gravità da dover essere sottoposta a un trattamento sanitario obbligatorio, non aveva per tale ragione esperito l'impugnazione stragiudiziale entro il termine prescritto, ma solo dopo aver recuperato la pienezza delle sue facoltà intellettive e volitive.

La decisione della Corte

La Corte ha osservato che l'onere della previa impugnazione, anche stragiudiziale, previsto, a pena di decadenza, dalla disposizione censurata, può tradursi in un ostacolo all'accesso alla tutela giurisdizionale nel caso in cui, al momento della ricezione della comunicazione del licenziamento, o comunque in pendenza del termine di 60 giorni previsto per la sua impugnazione, anche stragiudiziale, il lavoratore non sia in grado di comprendere il significato dell'atto datoriale né di determinarsi in merito alle iniziative da assumere.

La Corte ha, pertanto, ritenuto che la disposizione censurata esibisca una manifesta irragionevolezza, ponendosi in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione e violando, al contempo, il diritto al lavoro (art. 4, primo comma, Cost.) e alla sua tutela (art. 35, primo comma, Cost.), anche in sede giurisdizionale (art. 24, primo comma, Cost.).

Tuttavia, la Corte Costituzionale fissa la decorrenza del termine per l'impugnazione stragiudiziale dalla data della ricezione del licenziamento e non da quella del riacquisto, da parte dell'interessato, della piena capacità di intendere e di volere: la Corte ha, quindi, ricondotto a legittimità la norma dichiarata incostituzionale escludendo, per il lavoratore incapace di intendere e di volere, l'operatività dell'onere della previa contestazione stragiudiziale entro il termine prescritto, pur mantenendo fermo lo sbarramento finale costituito dal termine massimo complessivo per l'impugnazione giudiziale, pari a 240 giorni, dato dalla somma del termine per la contestazione stragiudiziale (fissato in 60 giorni) e del successivo termine per il deposito del ricorso, anche cautelare, o per la comunicazione della richiesta di tentativo di conciliazione o di arbitrato (stabilito in 180 giorni).

Fonte: C.Cost 18 luglio 2025 n. 111

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