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giovedì 26/06/2025 • 06:00

Fisco DALLA CASSAZIONE

IVA: escluso lo scorporo dai ricavi presunti in caso di indagini bancarie

In merito alla contestazione di maggiori imponibili non dichiarati all'Erario per mezzo di un accertamento bancario analitico-induttivo, la Cassazione ha escluso che i ricavi presunti possano ritenersi comprensivi anche dell'IVA. I giudici di merito avevano negato lo scorporo dell'IVA dall'ammontare delle operazioni finanziarie (Cass. 18 giugno 2025 n. 16471).

di Gabriele Damascelli - Avvocato

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L'eccezione relativa all'obbligo di scorporo dei costi e dell'IVA

Con il secondo motivo di ricorso, accolto dalla Corte nell'ordinanza, il ricorrente eccepiva la violazione, da parte dei verificatori, dell'art. 32 c. 1 n. 2 e DPR 600/73 e dell'art. 39 c. 1 lett. d) c. 2 e c. 3 DPR 600/73, sostenendo l'illegittimità della sentenza della CTR per aver rigettato l'eccezione di parte privata di dover riconoscere e scorporare dai maggiori compensi accertati le spese e i costi correlati, da determinarsi forfetariamente (Cass. 18 giugno 2025 n. 16471).

La CTR statuiva sul punto l'infondatezza della doglianza del ricorrente finalizzata a dedurre i costi in modo forfettario, ritenuta legittima solo in presenza di un accertamento induttivo ai sensi dell'art. 39 c. 2 DPR 600/73, essendo altresì onere del contribuente dimostrare che i dati desumibili dalle movimentazioni bancarie non riguardano operazioni imponibili e non appare lecito presumere che in ogni caso a ricavi occulti corrispondano necessariamente costi occulti, in uno all'IVA, in quanto tale imposta non è stata versata dal contribuente.

La CTR di fatto escludeva la deduzione delle spese e dei costi correlati, sostenendo la sua legittimità solo nell'ipotesi di accertamento induttivo puro ex art. 39 c. 2 DPR 600/73, ma non anche nell'ipotesi di accertamento analitico o analitico-induttivo eseguito sulla scorta di indagini bancarie, nel qual caso sarebbe invece onere del contribuente fornire la prova dell'esistenza di costi deducibili afferenti ai maggiori compensi risultanti dalle movimentazioni bancarie, e non si potrebbe procedere ad un loro riconoscimento forfetario in misura percentuale.

In merito all'IVA, poi, il ricorrente denunciava, con il terzo motivo, la violazione degli artt. 13 e 15 DPR 633/72, per avere la CTR erroneamente escluso che dall'ammontare complessivo dei versamenti risultanti dai conti correnti bancari del contribuente dovesse essere scorporata l'IVA, in quanto tale imposta non era stata versata dal contribuente.

La soluzione della Corte

Le conclusioni dei giudici di merito, sul secondo motivo di ricorso, si pongono in contrasto con la giurisprudenza della Cassazione, la quale ha richiamato le conclusioni della Corte Costituzionale nel precedente del 31 gennaio 2023, n. 10, ove è stato affermato che, anche in caso di accertamento analitico-induttivo sulla base delle movimentazioni bancarie (che si fondi cioè sulla presunzione ex art. 32 c. 1 n. 2 DPR 600/73 di compensi non dichiarati scaturenti da movimentazioni bancarie non giustificate), è necessario riconoscere e dedurre in misura percentuale forfetaria i costi presunti correlati.

La Cassazione, quindi, in vicende analoghe, ha concluso per l'erroneità di un'interpretazione di legge che escluda il riconoscimento, in mancanza di idonea documentazione, di un'incidenza percentuale di costi presunti a fronte di maggiori ricavi, non potendo la presunzione individuata dall'art. 32 c. 1 n. 2 DPR 600/73, in materia di indagini bancarie, precludere la possibilità di dedurre in misura percentuale forfetaria i costi correlati ai versamenti accertati (Cass. n. 5586/2023 e Cass. n. 18653/2023).

Quanto all'IVA, invece, per la Cassazione i versamenti sui conti bancari, ai sensi dell'art. 32 c. 1 n. 2 DPR 600/73 e dell'art. 51 c. 2 n. 2 DPR 633/72, si devono presumere riferiti alla sua attività economica, quali ricavi, spettando all'interessato fornire la prova contraria che gli stessi non si riferiscono ad operazioni imponibili (rich. Cass. n. 25043/2024).

Nel caso in cui, quindi, a causa della mancata emissione della fattura venga contestato il mancato assoggettamento ad IVA delle operazioni realizzate e non fatturate, è corretta la conclusione dei giudici di merito che hanno escluso da IVA i ricavi presunti, concludendo quindi che l'imposta (in quel caso al 20%) non andasse scorporata dall'ammontare delle operazioni finanziarie, in quanto tale imposta non era stata versata dal contribuente, in assenza di prova contraria da parte di quest'ultimo.

Su tali conclusioni si innestano le argomentazioni, non richiamate né sviluppate nell'ordinanza in epigrafe, rese dalla Corte UE in C-521/19 (richiamata dalla nostra giurisprudenza di merito a sostegno dello scorporo dell'IVA in cause analoghe), laddove si ricorda che la determinazione della base imponibile di un'operazione tra soggetti passivi, non rientra tra gli strumenti a disposizione degli Stati membri.

La Corte UE, brevemente, in un caso simile a quello odierno, ha affermato che il fatto che un soggetto passivo non abbia osservato l'obbligo di fatturazione non può ostare al principio di base della suddetta direttiva, il quale risiede nel fatto che il sistema dell'IVA mira a gravare unicamente sul consumatore finale.

In tali circostanze, il risultato di un'operazione occultata all'amministrazione tributaria da parte di soggetti passivi dell'IVA deve essere considerato comprensivo dell'IVA che ha gravato su detta operazione.

Ha concluso dichiarando che la Dir. IVA 2006/112 va interpretata nel senso che, qualora un soggetto passivo dell'IVA, commettendo un'evasione, non abbia né indicato l'esistenza dell'operazione all'amministrazione tributaria, né emesso fattura, né fatto figurare in una dichiarazione a titolo delle imposte dirette i redditi ottenuti in occasione di tale operazione, la ricostruzione, nell'ambito dell'ispezione di una simile dichiarazione, degli importi versati e percepiti durante l'operazione in questione da parte dell'amministrazione tributaria interessata deve essere intesa come un prezzo già comprensivo dell'IVA, a meno che, secondo il diritto nazionale, i soggetti passivi abbiano la possibilità di ripercuotere e detrarre successivamente l'IVA in questione, nonostante l'evasione.

Ciò che accade nel nostro ordinamento interno con l'art. 60 c. 7 DPR 633/72, che consente al contribuente di rivalersi dell'IVA relativa ad avvisi di accertamento o di rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi (quindi di controparti individuate) soltanto a seguito del pagamento dell'IVA o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi, con conseguente e correlato diritto del cessionario o del committente di esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l'imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa, al fine del rispetto della neutralità dell'IVA.

Fonte: Cass.18 giugno 2025 n. 16471

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