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venerdì 20/06/2025 • 06:00

Lavoro DALLA CGUE

Obbligo vaccinale nei luoghi di lavoro e tutela dai rischi biologici

La CGUE, con sentenza 12 giugno 2025 (causa C‑219/24), ha chiarito che un l'obbligo vaccinale imposto dal datore di lavoro ai dipendenti esposti a un agente biologico può rientrare tra le misure di prevenzione adottabili, a condizione che sia fondato su una valutazione del rischio e rispetti il principio di proporzionalità.

di Marcello Buzzini - Avvocato in Milano - Studio Legale Failla & Partners

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  • Tempo di lettura 8 min.
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Il rinvio pregiudiziale su cui si è espressa la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) con la sentenza del 12 giugno 2025 (causa C-219/24) è stato proposto dal Riigikohus (Corte suprema dell'Estonia) nell'ambito di una controversia tra alcuni lavoratori – membri del personale operativo incaricato degli interventi di emergenza in seno alla Tallinna Kiirabi (servizio di ambulanze di Tallin) – e la Tallina linn (città di Tallinn), in qualità di datore di lavoro.

La normativa estone applicabile prevedeva la possibilità per il datore di lavoro di imporre ai propri dipendenti, in presenza di un rischio di esposizione ad agenti biologici come il virus SARS-CoV-2, l'obbligo di vaccinazione come condizione per la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Nel procedimento principale, i ricorrenti contestavano la compatibilità di tale previsione, tra gli altri, con l'art. 14 p.3 Dir CE 54/2000  (relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti biologici durante il lavoro), letto alla luce della Dir. CEE 391/89. In particolare, lavoratori domandavano se le disposizioni dell'Unione ostassero a una normativa che consenta al datore di lavoro, sulla base della valutazione dei rischi, di subordinare l'accesso al posto di lavoro o la prosecuzione dell'impiego alla somministrazione di un vaccino efficace.

Decisione della Corte

Nel rispondere alla questione pregiudiziale sollevata, la Corte procede anzitutto a interpretare la Dir. CEE 391/89, che enuncia i principi generali in materia di sicurezza e salute dei lavoratori. Ai sensi degli artt. 5, 6 e 9 della direttiva, il datore di lavoro è tenuto a valutare e prevenire i rischi per la salute e la sicurezza connessi all'ambiente di lavoro, adottando tutte le misure necessarie in base a criteri generali di prevenzione, tra cui l'eliminazione dei rischi ove possibile, la loro valutazione quando non evitabili e la programmazione coerente della prevenzione stessa.

Tuttavia, osserva la Corte, la direttiva non prevede alcuna disposizione specifica in materia di vaccinazione dei lavoratori. Da ciò discende che la normativa dell'Unione non chiarisce direttamente se gli Stati membri possano imporre un obbligo vaccinale, e tale valutazione deve quindi essere condotta alla luce di altre fonti rilevanti.

Successivamente, la Corte prende in esame l'art. 14 p. 1-3 della Dir. CE 54/2000, relativo alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall'esposizione ad agenti biologici, tra i quali – in forza dell'allegato III della direttiva – rientra anche il virus SARS-CoV-2. La disposizione impone al datore di lavoro, in presenza di un rischio per la sicurezza o la salute individuato tramite valutazione, di garantire un'adeguata sorveglianza sanitaria dei lavoratori, identificando, ove necessario, coloro per i quali si rendano opportune misure speciali di protezione. Tra queste misure, il terzo paragrafo prevede che, ove esistano vaccini efficaci, essi debbano essere messi a disposizione dei lavoratori, ma non impone loro alcun obbligo di sottoporsi alla vaccinazione.

Inoltre, il tenore letterale della disposizione lascia impregiudicata la possibilità per gli Stati membri di disciplinare diversamente tale aspetto. Anzi, la direttiva stessa – attraverso l'art. 1 p. 3 – consente agli Stati di adottare o mantenere disposizioni più severe in materia di protezione della salute dei lavoratori. Tale facoltà normativa trova ulteriore conferma nell'art. 153 p. 4 TFUE, che attribuisce agli Stati membri un margine di autonomia in materia di diritto del lavoro e sicurezza sociale, purché nel rispetto dei principi generali del diritto dell'Unione.

Infine, la Corte affronta la questione della compatibilità dell'obbligo vaccinale con i diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. In particolare, l'art. 3 p. 1 e l'art. 31 p. 1 riconoscono, rispettivamente, il diritto all'integrità fisica e mentale e il diritto di ogni lavoratore a condizioni di lavoro che rispettino la sua salute, la sua sicurezza e la sua dignità. La Corte ricorda che, ai sensi dell'art. 51 p. 1 della Carta, tali disposizioni si applicano agli Stati membri esclusivamente quando questi danno attuazione al diritto dell'Unione.

Secondo una costante giurisprudenza, i diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento dell'Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell'Unione, ma non al di fuori di esse. Essi non sono pertanto invocabili rispetto a una normativa nazionale quando le disposizioni dell'Unione relative al settore interessato non impongano obblighi specifici agli Stati membri in relazione alla situazione di cui trattasi. In simili casi, la normativa nazionale si colloca al di fuori dell'ambito di applicazione della Carta e non può essere valutata alla luce delle sue disposizioni.

Nel caso in esame, la Corte rileva che l'obbligo vaccinale previsto dalla normativa estone non rientra nell'ambito di applicazione delle direttive Dir. CEE 391/89 e Dir. CE 54/2000. Esso non costituisce dunque una «attuazione del diritto dell'Unione» ai sensi dell'art. 51 p. 1 della Carta. Ne consegue che tale disposizione nazionale non può essere valutata alla luce degli artt. 3 p. 1 e 31 p. 1 della Carta.

In conclusione, la Corte dichiara che le direttive Dir. CEE 391/89 e Dir. CE 54/2000 non ostano a una normativa nazionale che preveda, per determinate categorie di lavoratori esposte ad agenti biologici, un obbligo di vaccinazione come condizione per l'esercizio dell'attività lavorativa, purché tale misura sia conforme ai principi di proporzionalità e al rispetto dei diritti fondamentali sanciti dal diritto dell'Unione.

Fonte: Sentenza CGUE 12 giugno 2025 (C-219/24)

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