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giovedì 29/05/2025 • 06:00

Lavoro CCNL E ACCORDI INDIVIDUALI

Lavoro agile e flessibilità: le chiavi per il lavoro del futuro

Il ricorso allo smart working, quale forma di lavoro ibrido e/o flessibile, risulta essere in graduale aumento nelle imprese italiane: il merito è degli accordi individuali che, insieme alla contrattazione collettiva, hanno specificato le modalità di attuazione della prestazione lavorativa, affrontando temi come il work-life balance ed il diritto alla disconnessione.

di Emiliana Maria Dal Bon - Equity Partner NexumStp

di Angela Bruno - Avvocato - NexumStp

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  • Tempo di lettura 3 min.
  • Ascolta la news 5:03
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Negli ultimi anni, il mondo del lavoro ha subito una significativa trasformazione, spinta dall'evoluzione tecnologica e dalle esigenze di conciliazione tra vita professionale e vita privata. In questo contesto, si sono, dunque, diffuse diverse tipologie di lavoro c.d. ibrido, caratterizzate da un luogo e/o un tempo di lavoro non rigorosamente standardizzati.

Tra le tipologie di lavoro ibrido, lo smart working (o lavoro agile) ha senz'altro un ruolo preminente per essere teso ad incrementare la competitività e ad agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

L'accordo individuale

Il lavoro agile, disciplinato dalla L. 81/2017 e dal protocollo nazionale del 7 dicembre 2021, non è una tipologia di contratto, bensì una modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato che, per definizione, prevede l'alternanza tra il lavoro da remoto ed il lavoro all'interno dei locali aziendali, in assenza di precisi vincoli di orario, fermi i limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Presupposto di legittimità del lavoro agile è, tra le altre cose, l'esistenza di un accordo individuale scritto tra il datore di lavoro ed il lavoratore. L'accordo - a tempo determinato o indeterminato - deve, tra le altre cose, disciplinare l'esecuzione della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali, l'esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro, i tempi di riposo del lavoratore, nonché le misure tecnico-organizzative necessarie a garantire la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche. Nella prassi, è, tuttavia, molto frequente che il datore di lavoro decida di adottare un regolamento aziendale riepilogativo della disciplina di dettaglio in materia di smart working, a cui l'accordo individuale si limiterà, quindi, a fare integrale riferimento.

I dati sul lavoro agile in Italia

I dati raccolti dall'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano mostrano che lo smart working è tutt'altro che in declino. Ed infatti, sebbene dal 31 marzo 2024 sia venuto meno l'obbligo del datore di lavoro di consentire il lavoro agile a specifiche categorie di lavoratori (come ai lavoratori con figli di età inferiore a 14 anni ed ai lavoratori c.d. “fragili”), il numero di lavoratori da remoto nel 2024 è rimasto sostanzialmente stabile a 3,55 milioni rispetto ai 3,58 milioni di lavoratori nel 2023.

Lo smart working è cresciuto nelle grandi imprese, coinvolgendo quasi 2 milioni di lavoratori, con il 96% delle grandi organizzazioni che hanno, ad oggi, consolidato progetti virtuosi in materia di smart working. I numeri sono, invece, calati nelle PMI, passando dai 570mila lavoratori nel 2023 a 520mila lavoratori nel 2024, e sono rimasti sostanzialmente stabili nelle microimprese (625mila nel 2024 e 620mila nel 2023) e nella PA (500mila nel 2024 e 515mila nel 2023). Per il 2025, si prevede una crescita che porterebbe a toccare 3,75 milioni di lavoratori. A far evolvere le iniziative, in termini di persone coinvolte o di policy implementate, saranno soprattutto le grandi imprese (35%) seguite dalle PA (23%) e dalle PMI (9%).

Secondo i dati dell'Osservatorio, gli smart worker italiani possono lavorare da remoto in media 9 giorni al mese nelle grandi imprese, 7 giorni al mese nella PA e 6,6 giorni al mese nelle PMI. Ben pochi rinuncerebbero allo smart working: il 73% dei lavoratori che se ne avvale si opporrebbe se la propria azienda eliminasse questa tipologia di lavoro. Ed ancora, tra i lavoratori tornati a lavorare in presenza al 100% dopo aver lavorato da remoto, soltanto il 19% l'ha fatto per scelta personale; il 23% dei medesimi lavoratori ha mansioni che, per natura, non possono essere svolte da remoto, mentre per la grande maggioranza degli stessi lavoratori (58%), la decisione di tornare a lavorare in presenza è stata presa dall'azienda.

La contrattazione collettiva

In questo contesto, la contrattazione collettiva sta assumendo un ruolo fondamentale avendo, in molti casi, già integrato e specificato le modalità di attuazione del lavoro agile. A titolo di esempio:

  • il CCNL per il personale non dirigente di Poste Italiane prevede politiche aziendali di work-life balance che includono lo smart working come strumento per migliorare la qualità della vita dei dipendenti;
  • il CCNL per i dipendenti delle piccole e medie imprese metalmeccaniche e di installazione di impianti sottolinea l'importanza di facilitare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovere la flessibilità e aumentare la responsabilizzazione dei lavoratori verso il raggiungimento dei risultati tramite il lavoro agile;
  • il CCNL per gli studi professionali riconosce il diritto alla disconnessione e promuove il telelavoro come modalità di lavoro flessibile, sottolineando l'importanza di linee guida che impediscano effetti pregiudizievoli sulla salute e sulla qualità della vita dei lavoratori.

Il ruolo della contrattazione collettiva è, peraltro, centrale nell'A.C. 2067 presentato alla Camera il 1° ottobre 2024, recante disposizioni per favorire la stipulazione di contratti collettivi volti alla riduzione dell'orario di lavoro. E infatti il disegno di legge, attualmente in discussione alla Camera:

  • favorisce la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali “volti alla definizione di modelli organizzativi che comportino una progressiva riduzione dell'orario normale di lavoro fino a 32 ore settimanali, a parità di salario, anche nella forma di turni distribuiti su quattro giorni settimanali”;
  • prevede, nei primi 3 anni dall'entrata in vigore della legge, l'esonero contributivo in favore dei datori di lavoro, con riferimento ai rapporti di lavoro a cui si applicano i contratti collettivi di cui al punto precedente;
  • incrementa la dotazione del Fondo Nuove Competenze per sostenere la sottoscrizione di contratti collettivi che prevedano una riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario. Per accedere al Fondo Nuove Competenze è, infatti, già oggi richiesta la sottoscrizione di accordi collettivi di rimodulazione dell'orario di lavoro finalizzati a percorsi formativi di accrescimento delle competenze dei lavoratori e recanti, tra le altre cose, l'indicazione del numero di lavoratori coinvolti, del numero di ore destinate alla formazione e dei percorsi di verifica delle competenze acquisite. Trattasi di un'opportunità strategica per le imprese che possono investire nella formazione dei propri dipendenti in ambiti come la transizione digitale ed ecologica, rafforzando la competitività nel mercato del lavoro e motivando il personale.

Conclusioni

Il lavoro ibrido, e il lavoro agile in particolare, è destinato ad assumere, nel tempo, un ruolo sempre più centrale; ma pone anche sfide significative, tra le quali: garantire ai lavoratori l'accesso a strumenti adeguati e a tutele certe in termini di sicurezza sul lavoro e di protezione dei dati personali; e promuovere una cultura organizzativa che valorizzi la fiducia e la responsabilizzazione dei lavoratori.

In particolare, è necessario che le modalità di lavoro agile siano supportate da un quadro normativo idoneo a tutelare i diritti dei lavoratori e a promuovere l'innovazione organizzativa; e che le aziende ed i lavoratori collaborino per sviluppare politiche e strumenti che consentano di implementare adeguatamente forme di lavoro ibrido, affrontando le sfide e beneficiando delle indiscusse opportunità.

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