lunedì 26/05/2025 • 06:00
La Cassazione, con ordinanza 20 maggio 2025 n. 13369, ha confermato il principio di diritto secondo il quale, nel caso in cui emergano delle sopravvenienze attive all'esito di un giudizio, le stesse dovranno essere imputate non al periodo d'imposta durante il quale è intervenuto il giudicato, bensì in quello del deposito.
Dopo l'ordinanza n. 11917 del 6 maggio 2025, nella quale la Cassazione ha affermato per la prima volta che le sopravvenienze attive derivanti dal riconoscimento di un credito in sede giudiziale devono essere imputate al periodo di imposta in cui la relativa sentenza è stata depositata, la Suprema Corte ha nuovamente ribadito tale principio di diritto con l'ordinanza n. 13369 del 20 maggio 2025.
Le due pronunce, a ben vedere, sono strettamente collegate, poiché emesse l'una nei confronti di una società-madre e l'altra nei confronti di una società-figlia, in rapporto alla medesima vicenda processuale. Ci si riferisce, in particolare, alla dichiarazione da parte della partecipante di alcune sopravvenienze attive derivanti da un debito, poi accertato negativamente, gravante sulla stessa per interessi passivi vincolati a delle somme versate ad un istituto di credito a titolo di conto corrente bancario. Dopo avere ottenuto la sospensione parziale degli effetti della sentenza di primo grado che la condannava alla restituzione, la banca risultava soccombente anche in appello, in forza di una pronuncia depositata nel 2009 e sulla quale era poi sceso il giudicato nel corso del 2010. Ebbene, a fronte della decisione della società di imputare le sopravvenienze al periodo di imposta durante il quale la pronuncia era divenuta definitiva per intervenuto passaggio in giudicato, l'Agenzia delle Entrate procedeva ad accertamento, ritenendo che, al contrario, la certezza relativa alle nuove componenti positive di reddito fosse acquisita già l'anno prima, ossia con la pubblicazione della sentenza, che le aveva riconosciute.
La posizione della Cassazione
La questione giuridica sottoposta (per due volte) al vaglio della Suprema Corte, quindi, concerne l'esatta interpretazione dell'art. 109 c. 1 TUIR nel caso di sopravvenienze determinate da vicende “processuali”. Come noto, l'art. 109 dispone, in deroga ai criteri di imputazione temporale generale stabiliti per i redditi d'impresa, che le componenti positive e negative, nel caso in cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa la loro esistenza o determinabile in modo obiettivo il loro ammontare, devono essere imputate all'esercizio in cui si verificano tali condizioni. Ed è sostanzialmente questa la regola da applicare nel caso di sopravvenienza, non integrando questa una fattispecie che tratta di cessione di beni né di prestazioni di servizi, cui sono precipuamente dedicate le regole di imputazione dettate dall'art. 109. Ebbene, occorre allora domandarsi quando possa dirsi integrato il requisito della certezza nell'an e nel quantum, nell'ipotesi di crediti sopravvenuti riconosciuti con sentenza.
Come sopra anticipato, secondo la Cassazione l'elemento temporale rilevante è rappresentato dal deposito del provvedimento giurisdizionale, poiché soltanto in quel momento la posta attiva assume la connotazione di certezza nella sua esistenza ed obiettiva determinabilità richiesta dal TUIR. Ad avviso della Suprema Corte, l'eventualità di un possibile cambiamento di esito nel prosieguo del giudizio non muterebbe la conclusione, poiché in una simile eventualità si realizzerebbe una sopravvenienza passiva, rettificativa della prima appostazione, anch'essa idonea a concorrere alla formazione del reddito. La Suprema Corte stessa ha però avuto modo di temperare in parte la propria conclusione, specificando l'esclusione dal principio di diritto enunciato dei casi in cui ricorrano condizioni ostative al perseguimento del credito da parte del contribuente, come accade nel caso di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza.
La soluzione convince?
Probabilmente sì, perché in effetti la pubblicazione della sentenza determina il venir meno dell'incertezza, circa l'esistenza e consistenza della componente; e questo già al momento della pubblicazione della sentenza. Il passaggio in giudicato semplicemente consolida quella conclusione, perché evita che possa essere rivista ad esito di un ulteriore pronunciamento. Ma questo non toglie che, iscritta la sopravvenienza, con la pubblicazione, non possa poi esserne iscritta una seconda ad esito di un ulteriore grado di giudizio. Del resto, per l'imputazione del componente, tranne il caso delle perdite, non è richiesta alcuna certezza assoluta circa la consistenza del componente. Per cui è tollerata dal sistema anche una situazione che, pur certa nella determinazione della pretesa, è suscettibile di riforma.
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Ferdinando Broggi
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