martedì 29/04/2025 • 06:00
Ai fini della validità del patto di non concorrenza occorre prima verificare che il corrispettivo sia determinato o determinabile e poi che esso non sia meramente simbolico né manifestamente iniquo o sproporzionato rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno. A ricordarlo è la Cassazione con le ordinanze n. 9256 e 9258 dell'8 aprile 2025.
Nei casi in esame, un istituto di credito si è rivolto all'autorità giudiziaria, lamentando la violazione di due patti di non concorrenza della durata (in entrambi i casi) di 20 mesi, da parte di due distinti private banker dimissionari, per lo svolgimento di attività concorrenziale a favore di altri e chiedendo che venissero condannati, tra l'altro, alla restituzione dei compensi erogati in costanza di rapporto.
Il corrispettivo per l'obbligazione assunta era stato determinato:
In entrambi i casi i giudici di merito hanno ritenuto i patti di non concorrenza nulli per indeterminatezza dei corrispettivi e, quindi, incongruità dei medesimi, essendo collegati all'effettiva durata del rapporto di lavoro.
La Corte di Cassazione è stata investita delle due cause.
Il patto di non concorrenza
Il patto di non concorrenza, disciplinato dall'art. 2105 c.c., è il patto con cui si limita lo svolgimento dell'attività del dipendente per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.
Per essere valido, il patto deve risultare da atto scritto, prevedere un corrispettivo a favore del dipendente ed essere contenuto entro determinati limiti di oggetto, tempo e luogo.
La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Qualora venga pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata.
Il patto di non concorrenza - sottolinea la Corte di Cassazione - costituisce una fattispecie negoziale autonoma, dotata di una causa distinta; si tratta, infatti, di un contratto a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive, in virtù del quale:
Il rapporto di lavoro si riduce a mera occasione di stipula del patto di non concorrenza, essendo quest'ultimo destinato a regolare i rapporti fra le parti, per definizione, proprio a partire da un momento successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.
Il corrispettivo del patto di non concorrenza
Il corrispettivo del patto di non concorrenza costituisce il compenso per l'autonoma obbligazione di “non facere” assunta dal lavoratore. A tal fine è irrilevante il momento in cui lo stesso viene erogato, se in costanza di rapporto di lavoro oppure al termine o dopo la cessazione di questo (cfr. Cass. 16489/2009). Definendosi i rispettivi obblighi al momento della sottoscrizione, la sua congruità va valutata ex ante, ossia alla luce del tenore delle clausole e non per quanto poi in concreto possa accadere.
La Corte di Cassazione, nelle due ordinanze in commento, ricorda che ai fini della validità del patto di non concorrenza, con riferimento al corrispettivo, sono necessarie due verifiche.
Innanzitutto, occorre verificare che esso - in quanto elemento distinto dalla retribuzione – soddisfi i requisiti in generale previsti dall'art. 1346 c.c. per l'oggetto della prestazione, ovvero che sia determinato o determinabile.
Una volta accertata la sua determinatezza o determinabilità, occorre verificare, ai sensi dell'art. 2125 c.c., che il corrispettivo non sia meramente simbolico né manifestamente iniquo o sproporzionato rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno. Questa “rigorosa” valutazione prescinde dall'utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato; un'eventuale sproporzione economica tra le prestazioni comporta, comunque, la nullità dell'intero patto (cfr. Cass. 5540/2021; Cass. 9790/2020).
Ad avviso della Corte di Cassazione, i due vizi di nullità astrattamente configurabili in relazione al corrispettivo operano giuridicamente su piani diversi. In sostanza, occorre valutare distintamente la questione della:
Sul punto la Corte di Cassazione sottolinea che (i) la variabilità del corrispettivo rispetto alla durata del rapporto di lavoro non significa che lo stesso non sia determinabile in base a parametri oggettivi e (ii) una sovrapposizione delle cause di nullità genera incertezza sull'iter logico seguito dal giudicante, la quale preclude un effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento seguito.
La Corte cassa così le sentenze impugnate e rinvia alla Corte d'Appello in diversa compensazione.
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Giuseppe Gentile
- Avvocato e Professore di diritto del lavoro Università di Napoli Federico IIRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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