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martedì 25/02/2025 • 06:00

Impresa Responsabilità amministrativa degli enti

Codici di comportamento 231: linee guida del Ministero della Giustizia

Il Ministero della Giustizia, individuato dall'art. 6 c. 3 D.Lgs. 231/2001 quale soggetto preposto all'approvazione dei codici di comportamento, ha elaborato un vademecum avente ad oggetto la prassi ministeriale in materia di validazione dei codici di comportamento e il loro contenuto.

di Carlo De Luca - Dottore Commercialista

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Premessa

Il Ministero della Giustizia è coinvolto dal D.Lgs. 231/2001, in qualità di autorità preposta all'approvazione dei codici di comportamento che, secondo il testo di legge (art. 6), possono essere “redatti dalle associazioni rappresentative degli enti”, al fine di orientare gli associati nel procedimento di adozione dei modelli di organizzazione e gestione.

In particolare, a termini dell'art. 6 c. 3 D.Lgs. 231/2001, “I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al c. 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati”.

Le disposizioni regolamentari

In attuazione delle disposizioni regolamentari di cui all'art. 85 D.Lgs. 231/2001, pertanto, è stato adottato il DM 26 giugno 2003 n. 201 “Regolamento recante disposizioni regolamentari relative al procedimento di accertamento dell'illecito amministrativo delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, al fine di definire il “procedimento di controllo” volto all'approvazione o meno dei codici di comportamento comunicati, al Ministero, dalle associazioni rappresentative degli enti.

Finalità e destinatari del documento

Il Ministero della Giustizia ha pubblicato, lo scorso 10 febbraio 2025, i “Criteri guida per la redazione di codici di comportamento delle associazioni rappresentative degli enti”, un documento che ha una duplice finalità: da un lato, ha lo scopo di informare le associazioni rappresentative degli enti in merito ai criteri guida che orientano l'esame dei codici di comportamento comunicati al Ministero della giustizia ai sensi del predetto art. 6 c.3; dall'altra parte, il documento si propone di delineare un quadro metodologico per la predisposizione e/o l'aggiornamento dei codici di comportamento da parte delle associazioni medesime.

Nello specifico i criteri guida emanati dal Ministero hanno l'obiettivo di:

  • assicurare la conformità normativa, garantendo che i codici siano allineati al D.Lgs. 231/2001;
  • promuovere l'adozione di modelli organizzativi efficaci, favorendo la creazione di procedure idonee a prevenire la commissione di reati;
  • facilitare l'approvazione ministeriale, fornendo linee che agevolino le associazioni nella predisposizione di codici rapidamente valutabili e approvabili.

Valutazione di idoneità del modello

Con riferimento alla funzione rivestita, nel contesto della valutazione di idoneità del modello da parte del giudice, dai codici di comportamento delle associazioni rappresentative degli enti, è fondamentale precisare che i giudici di legittimità hanno ribadito che tali codici non costituiscono una regola organizzativa esclusiva ed esaustiva e che il modello organizzativo deve essere quanto più singolare possibile. I giudici hanno tuttavia sottolineato come la procedura ex art. 6 c. 3 del decreto sia funzionale da un lato a fissare, attraverso le c.d. linee guida, parametri orientativi per le imprese nella costruzione del modello organizzativo, dall'altro a temperare la discrezionalità del giudice nella valutazione dell'idoneità del modello stesso.

È bene sottolineare che, in ogni caso, la procedura di approvazione non interferisce con la valutazione di idoneità del singolo modello organizzativo, che rimane di esclusiva competenza del giudice. In altri termini, la conformità di un modello di organizzazione e gestione alle prescrizioni di codici di comportamento che abbia ricevuto l'approvazione del Ministero della giustizia non può mai assicurare il positivo esito dello scrutinio giudiziale e l'esonero da responsabilità per l'ente.

Struttura del documento

Il documento si articola in due parti:

  1. nella prima parte, si ripercorrono le caratteristiche di fondo del D.Lgs. 231/2001 nonchè la procedura di approvazione dei codici di comportamento e il ruolo del Ministero della giustizia;
  2. la seconda parte del documento è, invece, dedicata all'individuazione dei criteri guida che orientano l'esame dei codici di comportamento da parte del Ministero della giustizia e alla condivisione di indicazioni generali relative alla struttura e alle componenti che detti codici dovrebbero presentare.

Principi e criteri per l'esame dei codici di comportamento

I codici di comportamento debbono avere un contenuto pratico-descrittivo: è quindi essenziale che questo delinei chiaramente il settore commerciale e/o l'ambito di operatività degli enti rappresentati; correlativamente, il codice di comportamento dovrebbe declinare, in base allo specifico settore interessato e alle peculiarità dei processi decisionali e finanziari tipici di tale ambito operativo, tutti gli elementi fondamentali del modello organizzativo, o che configurano il presupposto dell'adozione del medesimo, quali ad esempio l'individuazione delle attività a rischio-reato, i protocolli da adottare sia per l'adozione e attuazione delle decisioni dell'ente, sia per la gestione delle risorse finanziarie, onde ridurre il rischio entro limiti di tollerabilità che evitano la responsabilità dell'ente.

Pertanto, i principali criteri da rispettare sono:

  • l'efficacia, cioè la capacità di orientare il comportamento degli associati attraverso la predisposizione di linee guida chiare e realmente implementabili, nell'ottica di prevenzione dei rischi reato; dai codici di comportamento adottati dalle associazioni rappresentative, i singoli aderenti debbono poter ricavare strumenti concreti da poter impiegare nel contesto della propria attività di prevenzione e gestione del rischio;
  • la specificità: è essenziale che tale codice delinei il settore commerciale e/o l'ambito di operatività dei soggetti associati; l'obiettivo perseguito dai codici di comportamento deve essere quello di evitare la riproduzione di modelli di organizzazione caratterizzati da genericità e, quindi, non in grado di reggere al vaglio giudiziario;
  • la dinamicità, da intendersi come capacità del codice di comportamento di fornire indicazioni non eccessivamente rigide, bensì in grado di intercettare un ampio novero di casistiche e di risultare adeguati al mutamento della realtà organizzativa e di operatività di riferimento, nonché ai rischi di commissione di illeciti.

Struttura e componenti dei codici di comportamento

Quadro normativo e finalità generali della disciplina ex D.Lgs. 231/2001

Elementi della c.d. “parte generale” del modello organizzativo:

- l'organizzazione e le caratteristiche operative delle singole realtà;

- l'individuazione dei destinatari del modello organizzativo;

- la metodologia seguita per la individuazione e gestione dei rischi;

- il Codice etico;

- il sistema disciplinare;

- l'Organismo di Vigilanza, previsto dall'art. 6 D.Lgs. 231/2001 (composizione, ruolo, funzioni, poteri, flussi informativi, rapporti con gli altri organi di controllo);

- i canali di segnalazione interna (whistleblowing);

- la comunicazione al personale e la sua formazione;

- il sistema di monitoraggio, i principi di controllo sul modello organizzativo e l'aggiornamento dello stesso.

Elementi della c.d. “parte speciale” del modello organizzativo:

- la elencazione dei reati presupposto previsti dalla normativa e le correlate attività sensibili;

- la metodologia per la costruzione della parte speciale del modello organizzativo;

- esempi di protocolli di riferimento e controlli preventivi in rapporto alle attività sensibili.

Fonte: Criteri guida Ministero della Giustizia 10 febbraio 2025

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