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giovedì 14/12/2023 • 06:00

Lavoro Dalla Cassazione

Auto aziendale usata per fini personali: illegittimo il licenziamento

La Cassazione, con la sentenza n. 34107 del 6 dicembre 2023, ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un lavoratore che aveva utilizzato l’auto aziendale per fini personali, ma con il permesso dei superiori. I giudici hanno escluso che il lavoratore avesse abusato della propria posizione o tradito la fiducia del datore di lavoro.

di Gianluca Pillera - Consulente del lavoro - Monza

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  • Tempo di lettura 6 min.
  • Ascolta la news 5:03

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La sentenza n. 34107 del 6 dicembre 2023 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha respinto il ricorso contro l'annullamento del licenziamento di un dipendente dell'Agenzia Regionale, ritenendo la sua condotta non sufficientemente grave. Tale sentenza dimostra la tutela che il nostro ordinamento giuridico offre ai lavoratori, che non possono essere licenziati per motivi arbitrari o ingiustificati. Il licenziamento disciplinare rappresenta il punto di incontro, spesso conflittuale, tra l'autorità gestionale e i diritti del lavoratore. È un atto che il datore di lavoro adotta in risposta a quello che percepisce come un inadempimento contrattuale grave da parte del dipendente. Tuttavia, è un terreno su cui la legge si muove con precisione chirurgica, richiedendo che ogni decisione sia calibrata sulla bilancia della giustizia e della ragionevolezza. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 34107 del 6 dicembre 2023 ha ribadito la centralità della proporzionalità, respingendo il ricorso contro l'annullamento del licenziamento di un impiegato dell'Agenzia Regionale. La Corte ha sancito che, sebbene il comportamento del dipendente fosse criticabile, esso non raggiungeva la soglia di gravità tale da legittimare il licenziamento. Questo pronunciamento riafferma un principio cardine: il licenziamento disciplinare non può essere utilizzato come uno strumento punitivo generico, ma deve essere l'ultima ratio, il punto di non ritorno al termine di un percorso valutativo ponderato. La decisione richiama l'attenzione dei datori di lavoro sulla necessità di un'analisi accurata della condotta del lavoratore, sottolineando che ogni azione correttiva deve essere intrapresa con equilibrio e giustizia. La sentenza interpella anche il tessuto sociale e normativo nel quale si inseriscono queste dinamiche, rimarcando come le garanzie previste dalla legge e dai contratti collettivi non siano mere formalità, ma pilastri di un sistema che cerca di bilanciare le asimmetrie intrinseche nel rapporto di lavoro. Si apre così una finestra critica sull'importanza del dialogo e della mediazione nel contesto lavorativo, elemento spesso trascurato nell'urgenza di risolvere situazioni di conflitto. L'approccio della Corte, inoltre, invita a una più ampia consapevolezza delle ripercussioni che un licenziamento può avere sulla vita di una persona. Al di là del legame contrattuale, si riconosce implicitamente che il lavoro è una componente fondamentale dell'identità e del benessere individuale, e che decisioni drastiche come quella del licenziamento vanno ponderate con estrema cautela. Uso dell'auto aziendale per fini personali: quando è legittimo? In questo caso, un dipendente bagnatosi sul lavoro aveva chiesto e ottenuto dal superiore il permesso di utilizzare l'auto aziendale per tornare a casa e cambiarsi. Durante il tragitto, si era fermato brevemente al mercato. La Corte ha ritenuto tali circostanze non costituissero una grave violazione degli obblighi lavorativi. Il dipendente aveva agito sulla base di un'autorizzazione del superiore e per una motivazione legittima come cambiarsi i vestiti bagnati. Inoltre, la sosta al mercato era stata di breve durata e non aveva pregiudicato l'attività lavorativa. Per questi motivi, i giudici hanno escluso che il lavoratore avesse abusato della propria posizione o tradito la fiducia del datore di lavoro. Ne consegue che in determinate situazioni, come per esigenze personali urgenti e con il permesso dei superiori, l'uso dell'auto aziendale per fini extra-lavorativi può ritenersi ammissibile e non costituire motivo di licenziamento. Assenza di frode o negligenza grave Il secondo aspetto che la Corte ha valutato è stato quello dell'eventuale alterazione dolosa dei sistemi di rilevamento della presenza o di comportamenti fraudolenti e gravemente negligenti da parte del dipendente. La Corte ha osservato che non vi erano prove di tali condotte, in quanto il dipendente aveva regolarmente timbrato il cartellino all'uscita e al rientro e non aveva falsificato i dati relativi al suo orario di lavoro. La Corte ha quindi escluso che il dipendente avesse violato i principi di correttezza e buona fede, che sono alla base del rapporto di lavoro. Decisione della Corte d'Appello di Bari Il terzo aspetto che la Corte ha considerato è stato quello della decisione della Corte d'Appello di Bari, che aveva annullato il licenziamento e ordinato la reintegrazione del dipendente con il pagamento di dodici mensilità a titolo indennitario. La Corte ha riconosciuto la correttezza della valutazione della Corte d'Appello, che aveva ritenuto il licenziamento sproporzionato alla gravità della condotta del dipendente. La Corte ha infatti affermato che il licenziamento è la sanzione più grave che il datore di lavoro possa infliggere al dipendente e che deve essere riservata ai casi di inadempimento grave e definitivo del rapporto di lavoro. La Corte ha quindi confermato la sentenza della Corte d'Appello, rilevando che il dipendente aveva mantenuto un comportamento sostanzialmente diligente e fedele e che il suo allontanamento non aveva causato danni o pregiudizi all'Agenzia Regionale. Rigetto del ricorso e costi legalità Il quarto e ultimo aspetto che la Corte ha trattato è stato quello del rigetto del ricorso dell'Agenzia Regionale e della copertura delle spese legali. La Corte ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato e privo di motivazioni valide. La Corte ha infatti ritenuto che il ricorso fosse volto a contestare il merito della decisione della Corte d'Appello, che invece era stata adeguatamente motivata e basata su una corretta interpretazione delle norme e dei principi applicabili. La Corte ha quindi condannato l'Agenzia Regionale al pagamento delle spese legali, in quanto soccombente nella causa. Licenziamenti ingiustificati: la Cassazione ribadisce il principio di proporzionalità Con la sentenza 34107/2023, la Cassazione torna a ricordare come il licenziamento disciplinare debba rappresentare l'extrema ratio a fronte di condotte effettivamente intollerabili. Nel caso di specie, la Corte d'Appello di Bari aveva annullato il licenziamento inflitto da un'Agenzia Regionale a un proprio dipendente. I giudici di secondo grado avevano ritenuto che, seppur censurabile, il comportamento del lavoratore non presentasse i connotati di gravità tale da integrare una giusta causa. La Cassazione ha confermato tale valutazione, respingendo il ricorso dell'Agenzia e ordinando il pagamento delle spese legali. Si tratta di una pronuncia che ribadisce un principio cardine in materia di rapporti di lavoro: la reazione disciplinare al comportamento del dipendente dev'essere proporzionata all'entità dell'inadempimento contestato. Ne consegue che, in assenza di violazioni particolarmente gravi dei doveri contrattuali, il licenziamento appare misura eccessiva e priva del requisito di proporzionalità. La sentenza va salutata con favore, poiché contribuisce a rafforzare le garanzie dei lavoratori, che non possono vedersi privati ingiustamente del proprio impiego. Allo stesso tempo, essa invita le aziende a un uso più equilibrato e ponderato dei propri poteri sanzionatori. Fonte: Cass. 6 dicembre 2023 n. 34107 ...

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