mercoledì 12/07/2023 • 06:00
Ad avviso della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma, l’art. 37, d.l. n. 21/2022, nell’istituire il contributo straordinario contro il caro bollette, è incostituzionale per violazione dei principi di legalità tributaria e di ragionevolezza, nonché del principio di uguaglianza.
Ascolta la news 5:03
La vicenda a quo
Con l'Ordinanza n. 2437 del 27 giugno 2023, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale sull'art. 37, d.l. 21 marzo 2022, n. 21.
Il giudizio a quo vede coinvolti, da un lato, una società operante nel mercato petrolifero, in qualità di ricorrente, e, dall'altro, l'Agenzia delle Entrate, in qualità di resistente. Il giudizio prendeva avvio con il ricorso con cui la società impugnava il silenzio-rifiuto emesso dall'Amministrazione finanziaria a fronte di un'istanza di rimborso per la restituzione delle somme versate dalla società a titolo di «contributo straordinario contro il caro bollette», istituito dall'art. 37, d.l. n. 21/2022.
La società, nell'istanza, deduceva l'illegittimità costituzionale del contributo, per diverse ragioni. Le medesime doglianze sono state poi riproposte nel ricorso e avvalorate dalla Corte di Roma, la quale, giudicando rilevante e non manifestamente infondata la questione di incostituzionalità, ne ha disposto la trasmissione alla Corte costituzionale.
I profili di incompatibilità con il principio di legalità tributaria
Con ricorso, la società ha dedotto l'incostituzionalità dell'art. 37, d.l. n. 21/2022 in relazione al principio di legalità tributaria, adducendo la mancata predeterminazione del presupposto del tributo.
La società evidenzia come la disposizione censurata si [pre]occupi soltanto di specificare, quali elementi essenziali del contributo straordinario, i soggetti passivi, i criteri di determinazione della base imponibile, l'aliquota e le ipotesi di esenzione, mentre nulla specificherebbe con riguardo al fatto economico espressivo di capacità contributiva.
Che il contributo debba fungere da onere impositivo aggiuntivo a carico delle imprese operanti nel mercato dei prodotti energetici che nel periodo 2021-2022 abbiano realizzato degli extra-profitti si evince solo dai Lavori preparatori, ma non se ne trova riscontro nel testo della norma.
Ebbene, l'indeterminatezza del presupposto, per la ricorrente, si porrebbe in contrasto sia con il principio di legalità tributaria, posto a garanzia dei valori della trasparenza e della prevedibilità delle fattispecie impositive, che con i principi di capacità contributiva e di uguaglianza, che vietano l'introduzione di tributi infondati, cioè tesi a colpire forze economiche inesistenti, e discriminatori. E a buona ragione, si direbbe, dal momento che la mancata specificazione del presupposto, non solo rappresenta l'occasione per l'istituzione di tributi arbitrari o discriminatori, ma impedisce altresì ai contribuenti di verificarne la conformità con i valori dell'uguaglianza, della solidarietà e della perequazione tributaria.
I profili di incompatibilità con i principi di ragionevolezza
La società ha altresì rilevato l'incompatibilità del contributo con il principio di ragionevolezza. L'incostituzionalità deriverebbe dall'inidoneità della norma a soddisfare lo scopo cui è preposta, cioè l'imposizione degli extra-profitti in seno alle imprese operanti nel mercato dei prodotti energetici, avvantaggiatesi dell'aumento dei prezzi e delle tariffe conseguente allo scoppio della Guerra Russia-Ucraina nel febbraio 2022. La struttura del tributo tradirebbe la ratio giustificatrice del medesimo.
Nell'Ordinanza si dice che, se la ratio è colpire in via eccezionale e con oneri impositivi aggiuntivi quelle imprese che, in un momento congiunturale, si sono avvantaggiate del rialzo dei prezzi e delle tariffe dei prodotti energetici, il modello di tassazione da seguire era soltanto uno, cioè quello delineato dalla Consulta nella sentenza n. 10/2015. Qui si era chiarito che «un'imposta sui sovraprofitti è, in linea di principio, equa e costituzionale a condizione che sia idonea ad incidere sui “profitti” in un'accezione “incrementale” in relazione alla “particolare congiuntura economica”».
In primo luogo, si dice che l'inidoneità della norma ad intercettare degli extra-profitti è dovuta all'erroneità delle componenti di calcolo della base imponibile. Il comma 2 dell'art. 37 prevede che «[l]a base imponibile [...] è costituita dall'incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive, riferito al periodo dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022, rispetto al saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021».
Ebbene, la società ha rimarcato come le operazioni incidenti nel calcolo del contributo da versare coincidono con quelle rilevanti ai fini Iva. Sennonché, nel loro complesso, le operazioni che, per legge, devono concorrere alla liquidazione dell'Iva manifestano uno spessore economico-finanziario incapace far emergere e risaltare la realizzazione di profitti e, a maggior ragione, l'esistenza di extra-profitti. Tra le operazioni rilevanti ai fini Iva rientrano, infatti, operazioni come la cessione di partecipazioni, di fusione e di scissione di società. Viceversa, nel novero delle operazioni rilevanti ai fini Iva non rientrano «rilevantissimi elementi di costo» che, anche in maniera significativa, generalmente influiscono sulla produzione degli utili. Si pensi, ad esempio, ai costi del personale e ai costi di ammortamento, che non partecipano del calcolo dell'Iva, ma che, proprio perché incidenti sulla capacità produttiva dell'impresa, non possono essere estromessi dal calcolo della base imponibile del contributo. Secondo la ricorrente, le componenti di calcolo individuate dall'art. 37, cit., proprio perché fuorvianti, darebbero luogo ad una rappresentazione distorta della capacità contributiva che la norma vuole colpire.
In secondo luogo, l'inidoneità della base imponibile ad esprimere gli eventuali extra-profitti si dovrebbe alla previsione di un meccanismo di calcolo non ispirato, come accade per le imposte sul reddito d'impresa, alla correlazione tra le componenti attive e le corrispondenti componenti passive. In particolare, si dice che solo la correlazione tra i ricavi realizzati e i costi sostenuti per il conseguimento di essi in un determinato periodo d'imposta potrebbe condurre ad un risultato realmente espressivo dell'andamento economico dell'impresa.
Da qui, come il saldo tra il complesso delle operazioni attive e la totalità delle operazioni passive riconducibili ad un'impresa e realizzate in un certo arco temporale non potrebbe far emergere gli eventuali profitti di un'impresa, così la differenza tra il saldo riferibile ad un periodo e il saldo riferibile ad un altro non potrebbe far luce sugli extra-profitti conseguiti da un periodo ad un altro. Anche per questo motivo, quindi, la norma si rivela inidonea a colpire gli extra-profitti dei soggetti passivi.
In ultimo luogo, l'irragionevolezza dell'art. 37 è stata dalla ricorrente ravvisata nei riferimenti temporali imposti per il calcolo della base imponibile. Al comma 2 si dice che la base imponibile è data dalla differenza positiva tra, da un lato, il saldo delle operazioni attive e di quelle passive perfezionate nel periodo tra il 1° ottobre 2020 e il 30 aprile 2021 e il saldo delle operazioni attive e di quelle passive realizzate nel periodo tra il 1° ottobre 2021 e il 30 aprile 2022.
Ebbene, la società ha fatto notare come, almeno per alcune delle imprese appartenenti al mercato dei prodotti energetici, l'incremento del saldo è derivato, non tanto da una crescita dei margini di prezzo delle categorie di prodotti, quanto dall'aumento del numero delle vendite conseguente all'alleggerimento delle misure di contenimento della pandemia da Covid-19.
Le restrizioni alla circolazione dei cittadini introdotte nel 2020 hanno comportato a danno dei produttori e commercianti di prodotti petroliferi un decremento vertiginoso dei profitti rispetto agli anni precedenti. Poi, con l'allentamento delle restrizioni tra il 2021 e il 2022, i profitti sono aumentati, ma non [solo] grazie ad un incremento delle tariffe, bensì [anche] in ragione dell'incremento delle quantità di prodotto vendute. Il confronto tra il saldo riferibile al periodo a cavallo tra il 2020 e il 2021 e il saldo relativo al periodo tra il 2021 e il 2022 non è idoneo a far emergere una capacità contributiva qualificabile alla stregua di extra-profitto, proprio perché il raffronto riguarda due situazioni economiche entrambe, seppur per motivi diversi, circostanziali.
I profili di incompatibilità con il principio di uguaglianza
La società ricorrente, infine, ha lamentato la portata discriminatoria dell'art. 37, d.l. n. 21/2022 e la sua incompatibilità con il principio di uguaglianza formale nella parte in cui elenca i soggetti passivi del contributo.
Ad avviso della società, le disparità di trattamento emergono tanto dal confronto tra i soggetti economici operanti nel settore energetico, quanto dal raffronto tra questi ultimi ed alcune imprese estranee a tale mercato.
Dal punto di vista delle relazioni interne al mercato dei prodotti energetici, la portata discriminatoria censurata dal ricorrente in seno al campo applicativo dell'art. 37, cit. trova origine negli aspetti che seguono.
In primo luogo, la norma, nonostante intenda colpire gli extra-profitti realizzati dalle imprese avvantaggiate dal rialzo dei prezzi e delle tariffe conseguente allo scoppio della Guerra Russa-Ucraina nel 2022, nell'elencare i soggetti passivi, include solo le imprese esercenti attività di produzione o commercio dei prodotti energetici, mentre esclude completamente quelle operanti in diversi ambiti merceologici che, tuttavia, nello stesso periodo, hanno parimenti realizzato ingenti extra-profitti.
In secondo luogo, l'art. 37, cit. individua, quali condizioni di non imponibilità, l'aver realizzato nel periodo di riferimento degli extra-profitti per un importo pari o inferiore ad euro 5.000.000 ovvero per un ammontare inferiore al 10%. In questo modo, però, introdurrebbe due ipotesi di esenzione non giustificate da ragioni extra-fiscali e, pertanto, puramente arbitrarie.
In terzo luogo, la norma, mentre non vieta agli operatori economici intrattenenti rapporti commerciali con altre imprese del settore energetico di traslare su queste ultime l'onere contributivo sotto forma di maggiorazione dei corrispettivi delle vendite, al comma 8 vieta la traslazione quando i rapporti intercorrono con i consumatori finali. Dunque, le imprese esercenti a valle della catena produttiva rimarrebbero definitivamente incise dall'onere impositivo. Per questo, ad avviso della ricorrente, la dinamica applicativa del tributo si ridurrebbe ad un vero e proprio aiuto di Stato a vantaggio dei soggetti economici operanti a monte della catena produttiva.
In quarto ed ultimo luogo, l'art. 37, cit. annovera tra i soggetti passivi anche le imprese dedite all'attività di produzione o commercio dei prodotti petroliferi. Sennonché, come rimarca la società, i maggiori introiti conseguiti da queste ultime nel periodo tra il 1° ottobre 2021 e il 30 aprile 2022 sono riconducibili, non ad un incremento dei prezzi delle merci vendute, bensì all'aumento delle operazioni di vendita tra il 2021 e il 2022. Nel periodo dell'immobilismo dovuto alla pandemia da Covid-19, le imprese petrolifere, al contrario delle imprese di produzione o commercio dell'energia elettrica, hanno subito una vertiginosa diminuzione dei consumi a causa delle restrizioni o dei divieti imposti alla circolazione stradale dei cittadini. Pertanto, i sovra-profitti, proprio perché conseguenti [anche] ad un innalzamento della quantità delle vendite e non [soltanto] ad una crescita dei prezzi di ciascuna, non sono qualificabili alla stregua di veri e propri extra-profitti. Da qui, anche l'inclusione tra i soggetti passivi delle imprese del settore petrolifero conferirebbe carattere discriminatorio alla norma.
Dal punto di vista, poi, del rapporto tra gli operatori economici appartenenti e quelli non partecipanti al mercato dell'energia, la ricorrente rileva il carattere discriminatorio della norma nella parte in cui pone l'onere impositivo solo a carico delle imprese di produzione o commercio dei prodotti energetici, mentre esclude quelle operanti in altri settori merceologici, che pure, nello stesso periodo, hanno registrato consistenti extra-profitti, come il settore bancario, il settore finanziario e il settore farmaceutico.
Fonte: CGT I Roma 27 giugno 2023 n. 2437
© Copyright - Tutti i diritti riservati - Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A.
Vedi anche
Il Fisco, in sede di risposta a interpello, ha chiarito come determinare il contributo una tantum contro il caro bollette in caso di fusione tra due societ..
redazione Memento
Approfondisci con
Il Quadro CS, di nuova istituzione, è diretto all'assolvimento degli adempimenti dichiarativi relativi al contributo straordinario contro il caro bollette dovuto, per l'anno 2022, dalle imprese energetiche il cui volume..
Marco Peirolo
Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
Per continuare a vederlo e consultare altri contenuti esclusivi abbonati a QuotidianoPiù,
la soluzione digitale dove trovare ogni giorno notizie, video e podcast su fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti e mondo digitale.
Abbonati o
contatta il tuo
agente di fiducia.
Se invece sei già abbonato, effettua il login.