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giovedì 06/07/2023 • 06:00

Fisco Sequestro dei bonus fiscali

Crediti fiscali: problematiche in tema di circolazione e tutela del cessionario

In tema di sequestrabilità del credito quale prodotto e profitto del reato, la Cassazione analizza il concetto di buona fede del cessionario. L’eventuale sequestro frena sensibilmente il mercato della cessione dei crediti fiscali ed impone l’utilizzo di schemi contrattuali ad hoc per tutelare il cessionario.

di Andrea Mifsud - Avvocato patrocinante presso la Corte di Cassazione

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  • Tempo di lettura 7 min.
  • Ascolta la news 5:03

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La buona fede del cessionario: le disposizioni del legislatore di cui al DL n. 11/2023

La sentenza della Cassazione Penale del 21 settembre 2022, n. 40867 ha affrontato questioni relative alla buona fede del cessionario e alla violazione delle norme antiriciclaggio.

La Suprema Corte è intervenuta sulla base di un ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Parma contro l'ordinanza del riesame che aveva disposto il dissequestro dei crediti d'imposta precedentemente sequestrati ad un importante player finanziario di interesse nazionale, che aveva acquistato dei crediti, successivamente rivelatisi inesistenti.

In primo luogo, la Corte ha rilevato che l'acquisto del credito d'imposta deve considerarsi a titolo derivativo e non originario. La puntualizzazione non è di poco momento in quanto solo nel secondo caso il cessionario (acquisto a titolo originario) potrebbe godere di un credito “completamente nuovo”, privo di rischi e sempre garantito dallo Stato, a prescindere dalle vicende che possano riguardare il cedente.

Il cessionario non può considerarsi esente dai rischi connessi all'utilizzo di un credito originariamente inesistente per il cedente, poiché l'acquisto non sanerà le irregolarità precedenti. Al contrario, il cessionario dovrà dimostrare di averlo acquistato in assoluta buona fede e di non aver contribuito alla violazione.

Il Legislatore ha recepito sostanzialmente i principi fatti propri dalla Corte di Cassazione nell'art. 121, comma 6 bis lett. i) del D.L. 34/2020 (modifiche introdotte alla norma dal DL n. 11 del 2023).

La norma richiede al cessionario di possedere un'attestazione rilasciata dalla controparte che attesti l'osservanza degli obblighi antiriciclaggio. Questa attestazione deve essere rilasciata da una società di revisione quando la controparte è una società quotata o appartenente a una società quotata non obbligata ai sensi dell'art. 3 del D.lgs. 231/2007.

Anche se questa disposizione si applica solo ai soggetti obbligati per legge, ci sono fondati motivi per ritenere che, nell'ambito delle operazioni di cessione del credito, tali controlli debbano essere effettuati in ogni caso anche per le aziende non soggette agli obblighi antiriciclaggio.

La dimostrazione dell'esecuzione dei controlli, secondo le prescrizioni volute dal legislatore in materia di antiriciclaggio (e gli indici di anomalia di cui ai provvedimenti dell'UIF che si sono succeduti nel tempo), preserva il cessionario da eventualità problematiche legali (penali a titolo di concorso) connesse ad eventuali attività illecite commesse dal soggetto cedente “consolidando” la sua buona fede.

La sentenza della Corte di Cassazione, sez. II, n. 16728 del 12 gennaio 2023

Come accennato il possesso di un'attestazione antiriciclaggio, fornita dal cedente e relativa all'esecuzione dei controlli antiriciclaggio (sia da un punto di vista soggettivo – società cedente – che oggettivo – natura e modalità di circolazione del credito d'imposta) consente al cessionario di rimanere estraneo ad eventuali vicende giudiziarie che vadano ad interessare il cedente.

L'esonero da responsabilità (ad esempio a titolo di concorso nella commissione dell'illecito penale) non esclude, comunque, la possibilità che l'Autorità Giudiziaria proceda al sequestro del credito (già nel cassetto fiscale del cessionario a fronte dell'operazione di cessione).

È questa la pozione fatta propria dalla Suprema Corte nella pronuncia del 12 gennaio 2023, n. 16728.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dai legali della società che aveva patito il sequestro del credito acquistato, sulla scorta delle seguenti considerazioni.

Il reato contestato al cedente è stato individuato nella disposizione di cui all'art. 10 quater del Dlgs. n. 74 del 2000 “Indebita compensazione”.

La Corte specifica che il profitto del reato consiste nell'importo del credito di imposta inesistente utilizzato per la compensazione non consentita, che nel caso di specie ammontava a svariate centinaia di migliaia di euro. Secondo la giurisprudenza, il profitto dei reati tributari è di diversa natura a seconda dei casi. Nel caso del cedente, corrisponde a una riduzione della base imponibile e dell'imposta dovuta, mentre per il cessionario corrisponde all'omissione del pagamento di un debito per un importo pari al credito inesistente o non spettante. La nozione di profitto si riferisce al vantaggio patrimoniale derivante dalla condotta illecita, rappresentato dal risparmio economico ottenuto attraverso l'evasione fiscale. Questa definizione si applica a tutte le tipologie di reato previste dal D.Lgs. n. 74/2000, richiamate dalla Legge n. 244/2007 per l'estensione della confisca per equivalente.

A tale proposito, già dal 1996 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (pronuncia richiamata dalla sentenza della Corte di Cassazione, sez. II, n. 8429 del 25 gennaio 2023 sempre in tema di compravendita di crediti fiscali) hanno sancito che "in tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l'interessato a commettere il reato”.

Affidandosi ad un'operazione di sintesi, volta ad esplicitare i concetti fatti propri dalle Sezioni Unite, preme evidenziare che:

  • il prodotto è il risultato dell'azione criminosa, ovvero la cosa materiale creata, trasformata o acquisita mediante l'attività delittuosa, che con quest'ultima abbia un legame diretto e immediato. È il frutto diretto ed immediato dell'attività criminosa, ossia del risultato ottenuto direttamente con l'attività illecita;
  • il profitto comporta invece un accrescimento del patrimonio dell'autore del reato ottenuto attraverso la acquisizione la creazione o la trasformazione di cose suscettibili di valutazione economica, corrispondente all'intero valore delle cose ottenute attraverso la condotta criminosa;
  • il prezzo, infine, è il compenso dato o promesso per indurre istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato, quale fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l'interessato a commettere il reato.

Nelle operazioni di cessione/acquisto di crediti fiscali, la Corte di Cassazione, a prescindere dalla buona fede del cessionario, ammette il sequestro o la confisca sia del prodotto che del profitto del reato: identificando il primo nel credito illecitamente generato e, il secondo, in quanto ricavato dalla cessione del credito.

Il credito generato a fronte della commissione di un illecito penale è sequestrabile e confiscabile a prescindere da qualsiasi operazione di cui sia stato fatto oggetto e “ovunque si trovi” al momento dell'esecuzione del provvedimento dell'Autorità Giudiziaria.

Ultimo argomento di primaria importanza (sempre nell'ottica della tutela del cessionario in buona fede), alla luce dell'orientamento giurisprudenziale sopra analizzato, riguarderà la scelta della forma contrattuale che dovrà legare cedente/cessionario nell'operazione che vedrà il passaggio del credito dal cassetto fiscale dell'uno al cassetto fiscale dell'altro.

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