lunedì 29/05/2023 • 06:00
I fondi pensione convengono ancora? Questa la domanda a cui cerca di rispondere uno studio commissionato dal fondo di previdenza complementare ASTRI a MEFOP in occasione dell’ultima sua Assemblea svoltasi in un anno particolarmente negativo per gli investimenti economici. Nonostante tutto, la risposta è ancora che vale la pena mettere i soldi nei fondi pensione.
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Il 2022 sarà ricordato come un anno particolarmente nero per i fondi pensione. I dati medi sono implacabili: i fondi negoziali hanno perso il 9,8 %, quelli aperti il 10,7%.
Da un punto di vista macroeconomico l’anno appena trascorso presenta ancora un numero particolarmente significativo, che ci riporta agli anni 1970/80 (nel periodo tra il 1973 e il 1984 non scese mai sotto il 10%): il tasso di inflazione si è attestato all’11,3%.
Per i lavoratori che non hanno investito il proprio trattamento di fine rapporto in previdenza complementare, al contrario, almeno sotto questo punto di vista (visto che l’inflazione pesa per tutti), la rivalutazione del TFR è stata eccezionale: il 9,97%. Ricordiamo che la legge prevede che il TFR ogni anno venga incrementato su base composta, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati (i 3/4 quindi del tasso di inflazione accertato dall’ISTAT).
Anche sotto la spinta e le domande dei lavoratori che hanno visto erodere in maniera significativa i propri risparmi investiti nei fondi pensione e che si sono interrogati sulla validità dello strumento, lo studio MEFOP commissionato dal Fondo di previdenza complementare ASTRI risponde in dettaglio alla domanda: Il fondo Pensione conviene ancora?
L’analisi MEFOP è piena di tabelle che comparano i rendimenti dei fondi -sia negoziali che aperti – dal 2007 al 2022, andando in dettaglio su tutte le variabili che vanno considerate affinché sia logico paragonare i fondi pensione con il TFR e che spesso si tende a non ricordare: la rivalutazione netta e non lorda del TFR, la tassazione in fase di erogazione dei fondi particolarmente vantaggiosa, il contributo datoriale che si perde se non si aderisce al fondo pensione negoziale.
Particolarmente significative due tabelle.
La prima analizza il differenziale di prestazione netta del fondo pensione rispetto alla liquidazione netta del TFR, mettendo in correlazione l’anno di adesione al fondo con il montante retributivo annuo del lavoratore. L’analisi dimostra che solo gli aderenti al fondo recenti (a partire dal 2014), per retribuzioni fino a 35.000 euro lordi, subiscono un rendimento negativo nella comparazione.
La seconda però non dimentica la contribuzione del datore di lavoro. Immaginando tale valore al 3,5 della retribuzione, sempre mettendo in correlazione l’anzianità di adesione e le retribuzioni annue, in tutti i casi, il dato premia l’investimento nei fondi di previdenza complementare.
Le conclusioni dello studio sono:
L’analisi MEFOP termina con una giusta considerazione: sarebbe importante che il legislatore si interroghi e si occupi di come tutelare i lavoratori più fragili nei momenti di alta inflazione e di bassi rendimenti.
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Francesca Zucconi
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