Ponendosi come obiettivo quello di creare un'Europa pronta per l'era digitale e per le sfide economiche del futuro, il legislatore comunitario ha voluto fornire una cornice normativa di riferimento per i cripto-asset e per la negoziazione dei medesimi sui mercati, che troverà diretta applicazione all'interno degli stati membri dell'Unione Europea.
Punto di partenza quindi nell'analisi del regolamento sono le definizioni generali contenute nello stesso, e questo per analizzare le possibili ricadute in termini di disciplina concretamente applicabile alle criptovalute negli stati in cui troverà applicazione.
Le definizioni
L'articolo 3 del regolamento MiCA (regolamento che modifica la direttiva (UE) 2019/1937) ci dà una serie di definizioni importanti, tra cui quella di "cripto-attività", di “tecnologia di registro distribuito (DLT)”, di "emittente di cripto-attività", di "token collegati ad attività", "token di moneta elettronica", "fornitore di servizi per le cripto-attività", "utility token" e altre.
I cripto-asset vengono definiti come una “rappresentazione digitale di un valore o di un diritto che può essere trasferito e conservato elettronicamente utilizzando la tecnologia a registro distribuito o una tecnologia simile”, mentre la tecnologia DLT come “un tipo di tecnologia che supporta la registrazione distribuita di dati cifrati”.
Di primo acchito, si capisce che il legislatore europeo, prima ancora di stabilire nel dettaglio cosa e quali sono le varie tipologie di cripto-attività, ha preferito fornire una definizione di ampio respiro, una definizione cioè comprensiva di tutte le tipologie di cripto-attività in circolazione.
E che questo fosse l'intento, in realtà, lo si legge nel considerando n. 8 del regolamento, nel quale viene precisato che “le "cripto-attività" e la "tecnologia di registro distribuito" dovrebbero essere definite nel modo più ampio possibile, in modo tale da comprendere tutti i tipi di cripto-attività che attualmente non rientrano nell'ambito di applicazione della legislazione dell'Unione in materia di servizi finanziari.”
Ciò posto, il regolamento fornisce poi una - seppur macro – distinzione tra tre sottocategorie di cripto-attività che dovrebbero essere soggette a requisiti più specifici e cioè:
gli e-money tokens (EMT), un tipo di cripto-asset, simile alla moneta elettronica, che mira a mantenere un valore stabile facendo riferimento al valore di una valuta ufficiale;
gli asset-referenced Token (ART), un tipo di cripto-asset che non è un token di moneta elettronica e che mira a mantenere un valore stabile facendo riferimento a qualsiasi altro valore o diritto o una combinazione di questi, incluse una o più valute ufficiali;
gli utility Token, definiti come un tipo di cripto-asset che ha il solo scopo di fornire l'accesso a un bene o un servizio fornito dall'emittente di quel token.
Invece, la categoria di cripto-attività che presenta incertezze circa l'inclusione o meno nel MiCA è quella degli NFT, non-fungible tokens, e cioè token caratterizzati da un codice identificativo unico e collegati ad asset digitali o fisici e infungibili.
L'attuale contesto normativo delle criptovalute
Data una definizione così ampia fornita dal legislatore europeo, è senza dubbio utile fare una panoramica di quella che è ad oggi la situazione normativa europea (e non) nel settore delle criptovalute.
Per classificare le criptovalute, alcuni stati hanno deciso di creare un regime ad hoc, altri invece hanno ritenuto di inserire la categoria entro fattispecie normative già esistenti.
In particolare, la Francia ha adottato un regime specifico - le ICO (Initial Coin Offering) - a partire dal 2018, mentre la Germania e gli Stati Uniti hanno preferito ricondurre le criptovalute entro la già nota nozione civilistica di bene. Diversamente, il Regno Unito ha preferito identificarle come attività finanziarie. In Italia, invece, la recente Legge di Bilancio 2023 ha introdotto per la prima volta una disciplina in materia di cripto-attività sia per il loro trattamento fiscale che per la loro regolarizzazione, scegliendo di seguire il legislatore europeo e quindi mutuando l'ampia definizione fornita dal regolamento MiCA.
Il quadro è quindi fortemente frammentato e sicuramente di difficile armonizzazione.
Se da un lato quindi la definizione europea così ampia può in un certo senso ricomprendere le varie situazioni normative dei singoli paesi, dall'altro una equiparazione di cripto-asset differenti tra loro potrebbe portare a problematiche sotto il profilo della loro tassazione.
Qualificazione giuridica
Come si intuisce dal quadro normativo europeo, sotto il profilo giuridico – e quindi di conseguenza fiscale - non è stata ancora trovata una classificazione che metta tutti d'accordo a livello globale. D'altro canto, anche in Italia il dibattito è vivace.
Nel tentativo di estendere alle criptovalute qualificazioni giuridiche già esistenti, così come succede in Germania, è stata avanzata la tesi (giustamente preferibile) secondo cui le criptovalute sono qualificabili dal punto di vista giuridico come “beni”, ai sensi dell'art. 810 c.c. secondo cui “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti.”
La stessa giurisprudenza (Trib. di Firenze, sez. Fallimentare, sent. n. 18/2019) ha ipotizzato questo inquadramento giuridico, sostenendo appunto che le criptovalute sono oggetto di diritti e mezzo di scambio in un sistema pattizio e non regolamentato in cui i soggetti che vi partecipano accettano volontariamente tale funzione con tutti i rischi che ne derivano.