mercoledì 17/05/2023 • 06:00
La Regione Emilia-Romagna ha contestato l’abuso del diritto connesso alla residenza di una società di autonoleggio formalmente residente a Trento, a fronte di una sede effettiva nella zona di Bologna, facendole elusivamente perdere la Tassa Automobilistica Regionale (TAR)e l’IPT alla provincia.
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Il federalismo fiscale e l'abuso del diritto: lo strano caso delle società di noleggio migrate in massa nelle province autonome
Il federalismo fiscale porta, talvolta, anche dei problemi di concorrenza fiscale tra regioni ordinarie e regioni/province a statuto speciale. Tale fenomeno si è particolarmente sentito per alcune imposte connesse all'iscrizione dei veicoli, che si pagano nella regione (per la tassa automobilistica regionale - TAR) e nella provincia (Imposta Provinciale di Trascrizione - IPT) in cui ha la sede legale la società che provvede all'iscrizione del veicolo. Quando le iscrizioni sono numerose, perché la società ha come core business il noleggio di auto a lungo o breve termine, oppure il leasing finanziario, questa imposizione non è più marginale, ma diventa invece un elemento di costo rilevante per la gestione imprenditoriale, tanto da spingere il contribuente verso strategie fiscali aggressive.
Nelle prime fasi del federalismo fiscale, queste due imposte locali hanno avuto una evoluzione diversa tra le regioni e province a statuto ordinario rispetto a quelle a statuto speciale, poiché le prime hanno inasprito l'imposizione, mentre le seconde hanno applicato politiche di contenimento. In particolare, per l'IPT il Legislatore è intervenuto rendendola proporzionale alla potenza del veicolo (calcolato in kilowatt), mentre le seconde hanno lasciato una stazione fissa indipendentemente dalle caratteristiche del veicolo da iscrivere. Fisiologicamente, queste forme di “paradiso fiscale nostrano” hanno finito per attrarre molte società di autonoleggio, quasi fosse l'equivalente tributario della pubblicità a favore del turismo italiano, che non ha nulla da invidiare alle spiagge delle Cayman o quelle di Panama (tipici Stati black list): il paradiso (fiscale) è dietro l'angolo. Si è, quindi, innescata una concorrenza fiscale (sleale) tra province e regioni italiane. In questo contesto si è inserita una dinamica tipica delle contestazioni di diritto tributario internazionale, in cui la società italiana formalmente residente in qualche paese a fiscalità privilegiata viene considerata “esterovestita”, ossia solo formalmente residente all'estero, ma di fatto stabilizzata nel territorio italiano.
Anche la sentenza n. 229/2023 della CGT di primo grado di Bologna – Sez. 1 affronta un problema praticamente identico a quello suddetto, ma tutto in ambito nazionale. La Regione Emilia-Romagna ha contestato, infatti, l'abuso del diritto connesso ad una asserita residenza della società di autonoleggio nella provincia di Trento, quando invece la sede effettiva della società rimaneva ben ancorata nella provincia di Bologna, la quale però vedeva perdere la relativa imposizione fiscale provinciale, al pari della Regione Emilia Romagna. Non a caso l'atto impositivo, per come ricostruito in fatto dalla sentenza, sembra aver fatto riferimento al criterio dell' “effective place of management”, argomentazione tipica nelle contestazioni di localizzazione della residenza ed esterovestizione.
L'esterovestizione “intra-nazionale” di una società formalmente residente di altra provincia come forma di abuso del diritto
Dal punto di vista della questione di fatto, la CGT di I grado di Bologna considera non effettiva la residenza in Trento della ricorrente, le cui difese sono state considerate non convincenti per giustificare l'improvviso cambio di sede legale, in un'ottica di decentramento operativo nazionale - invocato dalla società - che mal si concilia con uno nuovo accentramento nella provincia autonoma di Trento al posto della provincia bolognese. L'aspetto più interessante riguarda la questione di diritto affrontata nella stessa sentenza, poiché la Corte applica la norma antielusiva dell'abuso del diritto anche per i tributi locali, ritenendo utilizzabile l'articolo 10 bis dello statuto del contribuente anche alla tassazione di tributi non erariali, se dall'operazione posta in essere derivano comunque “benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario” (comma 2, lett. b). I Giudici bolognesi confermano che la norma antiabuso fiscale rappresenta una disposizione di carattere generale, valida per tutti i tributi e finalizzata a reprimere operazioni prive di spessore economico che l'impresa mette in atto con l'obiettivo principale di ottenere illeciti risparmi di imposta attraverso l'utilizzo distorto di strumenti giuridici, come – nel caso di specie – la residenza fiscale nella sede legale priva di effettiva attività d'impresa.
Inoltre, la CGT si è espressa anche sull'esimente delle valide ragioni extrafiscali (mutuata dalla precedente norma antielusiva art. 37 bis del dpr 600/1973), la quale è stata ritenuta parimenti invocabile anche nel caso dei tributi locali, sebbene sia stata giudicata come non provata nel caso di specie. Pertanto, la di Corte giustizia di Bologna ha valutato pienamente applicabile l'intero regime antiabusivo alla tassazione locale, riconoscendo nel caso in esame esistenza di un comportamento privo di valide ragioni economiche e finalizzato solo a ottenere un risparmio d'imposta contrario allo spirito della legge.
L'inapplicabilità del limite del vantaggio fiscale netto quando il comportamento abusivo va a erodere la base imponibile di imposte locali
Altro aspetto particolarmente interessante della sentenza in commento riguarda la clausola di salvaguardia contenuta nell'articolo 10 bis, che prevede la ripresa a tassazione dei comportamenti abusivi nel limite del vantaggio fiscale netto ottenuto dall'impresa; in altre parole, esiste l'obbligo in capo alla società sanzionata per comportamento abusivo di riversare le imposte risparmiate, tenuto conto però delle imposte già versate in attuazione delle operazioni elusive. In questo modo l'ordinamento tributario ha voluto evitare che, in caso di operazione ritenuta fiscalmente abusiva, il contribuente fosse tenuto a pagare complessivamente più del vantaggio fiscale ricevuto, limitando quindi la pretesa fiscale alle somme dovute a netto di quelle già pagate, richiedendo solo “i tributi dovuti sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni” – art. 10 bis). Tuttavia, questa norma è stata scritta pensando ai tributi erariali, dove le imposte pagate in un primo momento “per effetto” delle operazioni elusive si vanno a confondere con le imposte richieste in sede di contestazione antiabusiva. Le casse dello Stato riceveranno in due tempi tutte le imposte dovute, prima in sede di operazione elusiva poi in sede di contestazione fiscale per vantaggio fiscale indebito, ottenendo complessivamente tutto il carico fiscale dovuto.
Il problema è che, nel caso di specie, i sistemi tributari chiamati in causa sono locali e non centralizzati, perché il comportamento abusivo aveva visto un primo versamento nelle casse della provincia di Trento, mentre la contestazione fiscale ex art. 10-bis era stata portata avanti dalla Regione Emilia-Romagna, che si riteneva danneggiata dal contegno della società. In questo contesto, la Corte giustizia di Bologna ritiene non applicabile la limitazione del vantaggio fiscale netto, perché in questo modo la Regione Emilia-Romagna si vedrebbe decurtata una parte di imposta dovuta (quella appunto connessa alle imposte già versate), che però non è nella sua disponibilità in quanto ricevuta da altro ente territoriale (Trento). Infatti, la tutela di quest'ultimo ente locale, quale “terzo incolpevole”, non può “esser fatta ricadere esclusivamente sul soggetto attivo del tributo, che ha subito il danno della perdita dell'intero gettito di propria spettanza”, come correttamente afferma la sentenza.
In ultimo, appare interessante soffermarsi su un ulteriore aspetto, non toccato dalla pronuncia in argomento, che riguarda il diritto al rimborso di quanto pagato dalla società ricorrente verso la provincia di Trento. Sul punto, preso anche atto che la stessa provincia è stata chiamata in causa, come “terzo” interessato, in questo giudizio presso la Corte di Bologna, tale ente locale non potrà negare il diritto al rimborso a favore della società, in applicazione del generale principio di divieto di doppia imposizione. In altre parole, se è vero che è inapplicabile il limite del vantaggio fiscale netto, è altrettanto evidente che non si può chiedere alla società di pagare due volte il tributo dovuto, a fronte di un'unica manifestazione di capacità contributiva.
Fonte: CGT I grado Bologna maggio 2023 n. 229
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Diego Avolio
- Dottore commercialista (Studio di Consulenza Giuridico-Tributaria - S.C.G.T), LL.M.Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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