Pubblicata in GU n. 85 dell'11 aprile 2023 la legge n. 38 di conversione del DL 11/2023 recante misure urgenti in materia di cessione dei crediti, in cui è stata introdotta una norma interpretativa, che prevede espressamente la compensabilità tra crediti fiscali e debiti contributivi. L'intervento normativo riafferma una regola che appariva in realtà pacifica e consolidata, e lascia irrisolti i più gravi problemi che stanno emergendo nella prassi in merito alle modalità di recupero dei crediti di imposta indebitamente utilizzati per il pagamento di contributi previdenziali.
Dopo l'art. 2 è introdotto l'art. 2 quater, rubricato “Interpretazione autentica dell'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”, che così recita: “L' articolo 17, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, si interpreta nel senso che la compensazione ivi prevista può avvenire, nel rispetto delle disposizioni vigenti, anche tra debiti e crediti, compresi quelli di cui all'articolo 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nei confronti di enti impositori diversi”.
Compensazione orizzontale
Tale emendamento era stato introdotto in sede referente dalla Commissione Finanze nella seduta del 22 marzo 2023 ed approvato in quella del 27 marzo 2023, al dichiarato fine di “facilitare la compensazione dei crediti fiscali”.
Il dossier di documentazione che accompagna l'iter legislativo dinanzi al Senato, sottolinea che la norma fornisce un'interpretazione autentica sull'applicazione della cosiddetta "compensazione orizzontale".
Infatti, essa chiarisce come vada interpretato l'articolo 17, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, secondo cui i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche. Secondo la norma interpretativa, la compensazione ivi prevista può avvenire, nel rispetto delle disposizioni vigenti, anche tra debiti e crediti nei confronti di enti impositori diversi (e perciò, come recitava l'originario testo dell'emendamento, anche tra crediti tributari e debiti relativi ai contributi previdenziali e assistenziali) e si applica anche ai crediti di cui all'articolo 121 dell'articolo n. 34 del 2020 (e cioè ai vari bonus fiscali previsti da tale disposizione).
I primi commenti hanno considerato con favore la nuova norma, che – recependo una preoccupazione espressa anche da Assonime con il caso n. 3/2023 del 17 febbraio – intende arrestare una inopinata quanto anomala tendenza interpretativa recentemente espressa da alcuni giudici di merito che, facendo applicazione dei principi civilistici contenuti nell'art. 1341 c.c., hanno affermato che la regola della reciprocità delle posizioni debitorie e creditorie dovrebbe applicarsi anche alla compensazione prevista in ambito fiscale dall'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997. Di questa finalità dà conferma il citato dossier degli atti del Senato, il quale evidenzia che “alcune recenti sentenze di organi giurisdizionali di merito (Tribunale di Milano nn. 2207/2021 e 7823/2022) hanno manifestato un orientamento giurisprudenziale contrario alla possibilità di utilizzare i crediti d'imposta per pagare mediante compensazione i debiti contributivi, in quanto la compensazione, secondo quanto illustrato nelle citate pronunce, opererebbe solo tramite l'utilizzo di crediti omogenei”.
Ovviamente, ben venga un intervento legislativo che arresti queste oscillazioni a tutela della “certezza del diritto”, che costituisce uno dei fondamentali principi generali del diritto dell'Unione Europea, relativi ad ogni sistema giuridico degli Stati membri; ma sembra che tale intervento meriti di essere segnalato non tanto per la capacità del legislatore di porre rimedio alle dubbiosità emerse in giurisprudenza, quanto perché rileva l'esistenza di uno stato di incertezza su una questione che era risultata assolutamente pacifica ed aveva avuto generalizzata applicazione per quasi venticinque anni e che non avrebbe dovuto richiedere, in condizioni normali, un chiarimento legislativo del genere.
Si è già osservato che la compensabilità dei crediti tributari con i contributi previdenziali costituisce una regola di chiara evidenza, insita nel sistema dei versamenti “unitari” disciplinato dall'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997 e sempre riconosciuta nel passato dalle Amministrazioni interessate con i loro documenti di prassi ed i loro indirizzi operativi, dai professionisti del settore con la loro condotta contabile, e da tutta la dottrina che si è occupata della materia (che ha sempre unanimemente ritenuto che in ambito tributario la compensazione può riguardare anche prestazioni disomogenee nei confronti di enti impositori diversi, secondo gli schemi tipici della “delegazione di pagamento” e con l'uso dei meccanismi di ripartizione disciplinati dall'art. 22 del d.lgs. n. 241/1997). Nello stesso senso si è espressa l'Assonime. Lo stesso dossier del Senato pone in evidenza che la regola ora espressamente riaffermata dal legislatore era stata già espressa dalle prime istruzioni operative relative all'istituto della compensazione, adottate sia dall'Amministrazione finanziaria (circolare 101-E/2000) che dall'Inps (circolare 79/1998).
In realtà, l'intervento normativo in esame costituisce sintomo di un crescente disordine, a cui il legislatore cerca di porre rimedio con provvedimenti “tampone”, variamente disseminati in testi di natura eterogenea, come quello di conversione in legge del d.l. sulla cessione dei bonus edilizi. Per di più, la norma interpretativa non brilla sotto il profilo esegetico, e potrebbe suscitare più dubbi di quelli, del tutto inopinati ed artificiosi, che intende risolvere. Infatti, essa sente il bisogno di specificare che la regola della compensazione di crediti e debiti nei confronti di enti impositori diversi vale anche per i bonus di cui si occupa il d.l. n. 11/2023, che sono (impropriamente) assimilati a quelli tassativamente enunciati nell'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997; e questa specificazione potrebbe far sorgere il dubbio (in verità, mai esistito in passato) che la stessa regola possa risultare inapplicabile agli innumerevoli altri crediti di imposta di natura extra-fiscale previsti dalle svariate norme agevolative introdotte nel tempo dal legislatore (le cd. tax expenditures, come i crediti di imposta per attività di ricerca e sviluppo, investimenti in aree svantaggiate, formazione di personale, etc., di cui la norma in esame si disinteressa).
Il favore con il quale si può accogliere la disposizione di cui trattasi (perché cerca di risolvere un problema interpretativo che pure, in teoria, non avrebbe dovuto sussistere) non consente dunque di ignorare che essa si inserisce nel contesto di un ben più generale e preoccupante stato di crisi. Lo stesso fatto che l'anomalo indirizzo interpretativo che si è inteso correggere provenga dai giudici del lavoro, che non sono i giudici giurisdizionalmente competenti a decidere sui rapporti di natura tributaria (quali devono ritenersi quelli inerenti alla utilizzazione dei crediti fiscali), dovrebbe indurre a più attente ed approfondite riflessioni.
Come si è cercato di evidenziare in altro articolo il problema di fondo sembra rappresentato dalla mancanza di una disciplina organica della materia, che il legislatore si era impegnato ad adottare con l'art. 8, ultimo comma, della l. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente). In verità, l'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997, nell'introdurre la compensazione nell'ambito dei rapporti fiscali e para-fiscali, non si è preoccupato di disciplinare le ipotesi di uso abusivo dell'istituto, sebbene esso si presti a costituire uno dei più pericolosi veicoli di evasione. Solo successivamente il legislatore ha provveduto ad introdurre, in modo alluvionale, una serie di disposizioni di natura sostanziale e sanzionatorio, che potessero rafforzare le azioni di recupero che l'Agenzia delle Entrate ha dovuto intraprendere, con strumenti spesso inadeguati.
Compensazione di crediti tributari ritenuti inesistenti per il pagamento di contributi previdenziali
In questo contesto e con riferimento al caso di compensazione di crediti tributari ritenuti inesistenti per il pagamento di contributi previdenziali, l'Agenzia delle Entrate e l'INPS continuano ad elaborare strategie di azione che, ancorché finalizzate alla repressione delle frodi ed al recupero dei tributi evasi, non appaiono conformi ai principi generali dell'ordinamento ed alla disciplina specifica della materia e generano impropri conflitti di attribuzione; duplicazioni di pretese, di metodi di riscossione e di azioni esecutive; indebite attrazioni di questioni di carattere fiscale nelle sfere di competenza del giudice ordinario. Come già osservato, il vero problema non è dunque quello della legittimità della compensazione tra debiti e crediti di natura diversa nei confronti di diversi enti impositori, ma quello dei rimedi avverso le compensazioni indebite e, più in particolare, della legittimazione e degli strumenti per il recupero dei crediti indebitamente utilizzati.
Sotto questo profilo, non si tratta di rimediare ad indirizzi giurisprudenziali inopinati, ma di supplire al silenzio che la giurisprudenza continua a serbare su questi temi.
Si auspica che il legislatore si avveda di queste problematiche e che la norma in esame costituisca solo il primo passo nella direzione di una più profonda revisione dell'istituto della compensazione e delle modalità della sua applicazione, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento.