mercoledì 16/11/2022 • 06:00
La corte di giustizia UE, con la sentenza dell'8 novembre 2022, ha annullato la pronuncia della Commissione Europea, che aveva dichiarato che l’Advanced pricing Agreement (“APA”) concluso dall’amministrazione finanziaria lussemburghese, per determinare il corrispettivo di operazioni di finanziamento in cui era parte una delle società di una nota casa automobilistica, costituiva un aiuto di Stato.
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A conclusione dei giudizi riuniti (C.Giust. UE 8 novembre 2022 C-885/19 e C-898/19, Fiat Chrisler Finance Europe c/ Commissione Europea) la Corte di Giustizia ha annullato la pronuncia con la quale la Commissione Europea aveva dichiarato che l'Advanced pricing Agreement (“APA”) concluso dall'amministrazione finanziaria lussemburghese, per determinare il corrispettivo di operazioni di finanziamento in cui era parte una delle società di una nota casa automobilistica, costituiva un aiuto di Stato ai sensi dell'art. 107 TFUE.
Nello specifico, nel 2012 la società lussemburghese addiveniva con l'Amministrazione finanziaria ad un accordo (“la decisione anticipata controversa”), la quale confermava che il prezzo applicato ai finanziamenti infragruppo operati dalla società era conforme al principio di libera concorrenza di cui all'art. 164 Codice delle imposte lussemburghese e alla Circ. 28 gennaio 2011 n. 164/2, che rappresentano le fonti di riferimento per la determinazione dei corrispettivi delle transazioni intracompany.
Successivamente nel 2014, a seguito di uno scambio epistolare tra la Commissione Europea e il Granducato di Lussemburgo, l'istituzione europea avviava il procedimento di indagine formale di cui all'art. 108 TFUE, il quale si concludeva con la declaratoria della violazione dell'art. 107 TFUE e, quindi, dell'APA quale aiuto di Stato.
La società ed il Granducato di Lussemburgo inoltravano ricorso al Tribunale di primo grado (Trib. UE 29 settembre 2019 cause riunite T-755/15 e T-759/15), deducendo:
I motivi appena riepilogati erano integralmente rigettati dall'Organo giudiziario di primo grado.
Con riguardo in particolare al secondo ordine di motivi, il Tribunale rilevava che, nell'ambito delle società che operano intracompany, i prezzi delle operazioni non sono stabiliti a condizioni di mercato. Riteneva che, per determinare l'eventuale esistenza di un vantaggio ai sensi dell'art. 107 par. 1 TFUE, la Commissione può confrontare l'onere fiscale derivante, per la società, dall'applicazione di detta misura fiscale con l'onere fiscale derivante dall'applicazione delle norme del diritto nazionale ad una società che esercita le proprie attività a condizioni di mercato, qualora il diritto tributario nazionale non distingua tra le società appartenenti al gruppo e le società autonome ai fini dell'imposta sulle società e intenda così tassare gli utili delle prime come se fossero il risultato di operazioni effettuate a prezzi di mercato.
Secondo il Tribunale, il principio di libera concorrenza costituiva il “criterio di riferimento” che consente di verificare se i prezzi delle operazioni infragruppo accettati dalle autorità nazionali corrispondano ai prezzi praticati a condizioni di mercato, al fine di stabilire se una società integrata benefici, in forza di una misura fiscale che ne determina i prezzi di trasferimento, di un vantaggio ai sensi dell'art. 107 par. 1 TFUE.
Nel caso di specie, la decisione verteva sulla determinazione degli utili imponibili della società del gruppo in base al codice delle imposte, il quale mirava a tassare l'utile derivante dall'attività economica di tale società integrata come se fosse il risultato di operazioni effettuate a prezzi di mercato. Su tale base, il Tribunale aveva ritenuto che la Commissione potesse effettivamente confrontare l'utile imponibile della società, derivante dall'applicazione della decisione, con l'utile imponibile, derivante dall'applicazione delle norme fiscali del diritto lussemburghese, di una società che si trovasse in una situazione fattuale analoga e che esercitasse le proprie attività in condizioni di libera concorrenza.
In primo luogo, per quanto riguarda gli argomenti secondo i quali la Commissione non aveva dedotto alcun fondamento giuridico per il principio di libera concorrenza applicato nella decisione controversa e non ne aveva specificato il contenuto, il Tribunale dichiarava che la Commissione aveva effettivamente precisato che il principio di libera concorrenza costituiva necessariamente parte integrante dell'esame, ai sensi dell'art. 107 par. 1 TFUE, delle misure fiscali concesse alle società di un gruppo e che tale principio era un principio generale di parità di trattamento in materia tributaria ricompreso nell'ambito di applicazione di detto articolo. Quanto al contenuto del principio di libera concorrenza, il Tribunale ha ritenuto che dalla decisione controversa risultasse che si trattava di uno strumento che consentiva di controllare se le operazioni infragruppo fossero remunerate come se fossero state negoziate da imprese indipendenti.
In secondo luogo, per quanto riguarda l'argomento secondo il quale il principio di libera concorrenza applicato nella decisione controversa era un criterio estraneo al diritto tributario lussemburghese e consentiva così alla Commissione di realizzare, in definitiva, un'armonizzazione dissimulata in materia di imposte dirette in violazione all'autonomia fiscale degli Stati membri, il Tribunale ha ritenuto che tale argomento non fosse fondato, in quanto il ricorso a tale principio era autorizzato dal fatto che le norme tributarie lussemburghesi prevedono che le società del gruppo siano tassate allo stesso modo delle società indipendenti.
Sia la società che il Granducato di Lussemburgo hanno impugnato la pronuncia di primo grado, così incardinando la causa dinanzi la Corte di Giustizia. Altresì anche l'Irlanda, in quanto parte del giudizio C-898/18, riunito al giudizio C-889/19, impugnano la pronuncia di primo grado.
La società lussemburghese, seguita dall'Irlanda ed al Granducato di Lussemburgo, propongono i seguenti motivi di impugnazione:
Le conclusioni dell'AG e della CGUE
L'esame della Corte di giustizia si concentra sul primo dei motivi di ricorso sopra riepilogati: in proposito, occorre ricordare che la qualificazione di una misura nazionale come “aiuto di Stato” ai sensi dell'art. 107 par. 1 TFUE richiede che siano soddisfatti i seguenti requisiti: in primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato effettuato mediante risorse statali. In secondo luogo, tale intervento deve essere idoneo a incidere sugli scambi tra gli Stati membri. Ulteriormente, esso deve concedere un vantaggio selettivo al suo beneficiario. In quarto luogo, esso deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza.
Sull'argomento l'Autorità giudiziaria, nelle conclusioni rassegnate all'udienza del 16 dicembre 2021, sembra convenire con il Tribunale circa la irrilevanza della trasposizione del principio di libera concorrenza nell'ordinamento interno, a condizione che sia possibile constatare che il regime tributario nazionale che disciplina l'imposta sulle società tratti, ai fini fiscali, le società appartenenti ad un gruppo allo stesso modo di quelle indipendenti.
In tale contesto, la determinazione dell'ambito di riferimento assume un'importanza maggiore nel caso delle misure fiscali, dato che l'esistenza di un vantaggio economico, ai sensi dell'art. 107 par. 1 TFUE, può essere accertata solo con riferimento a un livello di tassazione definito “normale”. L'errore in cui incorre la Commissione prima, ed il Tribunale in sede di ricorso, è quello di ritenere che, in presenza di un sistema tributario che persegue l'obiettivo di tassare gli utili di tutte le società residenti, facenti parte di un gruppo o meno, l'applicazione del principio di libera concorrenza ai fini dell'applicazione dell'art. 107 par. 1 TFUE è giustificata indipendentemente dall'incorporazione di tale principio nel diritto nazionale.
Infatti, la Commissione avrebbe applicato un principio di libera concorrenza distinto da quello definito dal diritto lussemburghese. Essa si è quindi limitata a individuare, nell'obiettivo perseguito dal sistema generale dell'imposta sulle società in Lussemburgo, l'espressione astratta di tale principio e a esaminare la decisione senza prendere in considerazione il modo in cui detto principio è concretamente incorporato in tale diritto per quanto riguarda, in particolare, le società appartenenti ad un gruppo.
Così facendo, sarebbe stato violato il requisito del conseguimento del vantaggio selettivo, la cui prova richiede che sia svolto un raffronto con il sistema di tassazione normalmente applicabile nello Stato membro interessato, al termine di un esame obiettivo del contenuto, dell'articolazione e degli effetti concreti delle norme applicabili in forza del diritto nazionale di detto Stato.
La Corte di Giustizia conclude deducendo che un siffatto errore non può che inficiare tutto il ragionamento relativo all'esistenza di un vantaggio selettivo, annullando così la sentenza impugnata.
Le indicazioni per gli Stati membri
Quanto sopra riportato ed affermato nella pronuncia in esame porta a concludere che una misura in materia di imposizione diretta non possa costituire, qualora ricorrano i relativi presupposti, un aiuto di Stato incompatibile con il diritto dell'UE.
Infatti, gli interventi degli Stati membri nei settori che non sono stati oggetto di armonizzazione nel diritto dell'Unione non sono esclusi dall'ambito di applicazione delle disposizioni del TFUE relative al controllo degli aiuti di Stato.
Così, gli Stati membri che recepiscano il principio di libera concorrenza, devono rispettare le disposizioni di cui al TFUE sugli aiuti di Stato: devono dunque astenersi, nell'esercizio di tale competenza, dall'adottare misure che possano costituire, appunto, aiuti di Stato incompatibili con il diritto dell'UE.
In tale contesto, il compito della Commissione è quello di stabilire se i parametri previsti dal diritto nazionale in materia siano incoerenti con l'obiettivo di tassazione non discriminatoria di tutte le società residenti, facenti parte di un gruppo o meno, perseguito dal sistema tributario nazionale, in quanto sfociano sistematicamente in una sottovalutazione dei prezzi di trasferimento applicabili alle società appartenenti ad un gruppo o ad alcune di esse, come le società di finanziamento, rispetto a prezzi di mercato per operazioni analoghe effettuate da società indipendenti.
Fonte: C.Giust. UE 8 novembre 2022 C-885/19 e C-898/19
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Diego Avolio
- Dottore commercialista (Studio di Consulenza Giuridico-Tributaria - S.C.G.T), LL.M.Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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