martedì 15/11/2022 • 16:35
Il Codice della crisi d'impresa disciplina la transazione su crediti fiscali e contributivi, così confermando la previsione contenuta nella Legge Fallimentare. Una complessa dialettica fra l'imperativo del risanamento delle imprese in difficoltà e la salvaguardia dei crediti erariali. Sta alla prudenza di chi giudica e all'indipendenza del professionista incaricato (che pur non vincola il decidente) approdare ad una virtuosa sintesi tra le poste in gioco.
Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza conferma, del diritto concorsuale previgente, anche l'istituto della transazione su crediti fiscali e contributivi.
Il contenuto dell'articolo 182- ter della Legge Fallimentare viene, infatti, con modificazioni, traslato negli articoli 63 e 88 D.Lgs. 14/2019.
Se l'articolo 63 ambienta la transazione fiscale nel contesto degli accordi di ristrutturazione ex artt. 57, 60 e 61, è l'articolo 88 che dà giuridica consistenza al trattamento dei crediti fiscali e contributi nell'ambito del concordato in continuità aziendale.
La procedura ha natura speciale ed esclusiva: se il debitore intende proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali (nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti obbligatorie e dei relativi accessori), deve presentare la proposta nelle sole forme delineate dal disposto in commento.
L'ampio tenore della norma autorizza la “falcidia” di tutti i tributi gestiti direttamente dall'Agenzia delle entrate e dalle altre amministrazioni centrali e dei contributi amministrati principalmente da INPS e INAIL.
Altrettanto ampie appaiono le possibili modulazioni del “trattamento”; la norma apre, infatti, sia alla transazione di carattere remissorio sia a quella di natura dilatoria sia a eventuali combinazioni delle specie del genere.
È, tuttavia, essenziale che il piano concordatario preveda la soddisfazione dei crediti in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista indipendente.
Se si considera che l'articolo 88 consente il c.d. cram down erariale, ossia la possibilità per il giudice di considerare come espresso positivamente il silenzio (o – come sembra potersi ritenere – persino il dissenso) dell'amministrazione e così di omologare il concordato anche senza l'adesione di quest'ultima (quando l'adesione è determinante e se – anche sulla base delle indicazioni del professionista indipendente – la proposta è conveniente o non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria), si tocca con mano la complessità della dialettica tra ragioni del debitore (nell'ottica dell'imperativo del risanamento) e salvaguardia dei crediti erariali.
Sta alla prudenza di chi giudica e all'indipendenza del professionista incaricato (che pur non vincola il decidente) approdare a virtuose sintesi tra i valori in gioco.
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