giovedì 25/08/2022 • 06:00
La riforma del processo tributario cerca di dare nuova linfa all’istituto della sospensione giudiziale che, attualmente, rappresenta una vera chimera sull’intero territorio nazionale. Tuttavia, intervenendo su una disposizione di natura ordinatoria, non genererà effetti concreti sui procedimenti che verranno.
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Nel processo tributario la sospensione dell'atto impugnato, disciplinata dall'art. 47 D.Lgs. 546/92, dovrebbe rivestire un'importanza fondamentale.
Infatti, in un sistema che sostanzialmente attribuisce, ab origine, una qual certa fondatezza alla pretesa tributaria, da cui la previsione a mio avviso “arcaica” della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, il diritto del contribuente di sospendere la riscossione delle imposte provvisoriamente iscritte a ruolo dovrebbe essere ampiamente tutelato.
Il che non deve certo tradursi in un diritto “indiscriminato” alla sospensione dell'esecutività dell'atto ma, perlomeno, ne dovrebbe derivare il dovere per i giudici aditi di esaminare le istanze di sospensione e, conseguentemente, di deciderle.
Numeri della (in)giustizia tributaria
Purtroppo, non è così e i numeri sono spietati: i giudici tributari non amano le istanze di sospensione.
La relazione sul monitoraggio dello stato del contenzioso tributario e sull'attività delle Commissione tributarie edita dal MEF per il 2021 mostra una situazione inverosimile per uno Stato di diritto: basti pensare che su 29.839 istanze di sospensione presentate ne sono state decise soltanto 10.388, con la conseguenza che due istanze su tre presentate dai contribuenti vengono completamente ignorate.
Delle circa 10 mila esaminate, poi, soltanto 3.804 hanno incontrato i favori dei giudici: vale a dire, in sostanza, che circa il 13% delle istanze complessivamente avanzate centrano l'obiettivo della sospensione.
Il tutto, si badi bene, in un periodo flagellato dagli effetti della pandemia per un ampio ventaglio di attività economiche con le conseguenti ricadute in termini di disponibilità finanziarie.
Ma i professionisti devono averci fatto il callo, atteso che dal 2019 al 2021 il tasso di ricorsi presentati corredati da un'istanza di sospensione è passato dal 44,4% al 38,1% e consapevolmente non si prospetta al cliente una soluzione che ha le fattezze di una chimera.
Perché, solo per fare qualche esempio, ad Arezzo, ad Ascoli Piceno, a Foggia, a Crotone, a Latina, a Perugia, a Pesaro, a Pordenone e a Rieti le istanze presentate sono risultate “invisibili”: trattazioni zero, da parte dei collegi giudicanti nei distretti appena citati.
Beninteso, non è che nelle città in cui “si discute” vada molto meglio: solo per fare qualche esempio, a Napoli su 4.807 istanze presentate ne hanno decise 8; a Roma su 3.724 soltanto 2; a Catania su 1.073, decise solo 73; a Cosenza su 1.814 soltanto 2.
Numeri da inchiesta, che tuttavia non sembrano destare alcun interesse per le autorità competenti: nel caso di specie, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria.
Modifiche nella riforma del processo tributario
Nel pot-pourri della legge di riforma della giustizia tributaria fa capolino anche qualche modifica all'istituto in esame.
Segnatamente si dispone che la trattazione delle istanze di sospensione debba avvenire “comunque non oltre il trentesimo giorno dalla presentazione della medesima istanza” e che la comunicazione alle parti possa essere data almeno cinque giorni liberi prima.
Intento encomiabile, ma che senso ha una disposizione che interviene su una norma avente natura ordinatoria e non perentoria? Quale effetto concreto potrà derivare al contribuente dalla novella legislativa in un “sistema” che ammette pacificamente anche la completa assenza di tutela in alcune aree, anche a buona densità economica, del Paese?
Spero proprio di essere smentito e che, con l'avvento delle Corti di Giustizia tributaria e dei Magistrati chiamati a presiederle e a comporle, venga ripristinato a pieno il diritto, oggi pressoché silentemente conculcato, del contribuente.
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