lunedì 01/08/2022 • 06:00
La Corte di Cassazione ha confermato che la deducibilità degli interessi passivi sopportati da una stabile organizzazione presuppone una corretta determinazione del “fondo di dotazione” della stessa: a tal fine, è necessario che quest’ultimo sia determinato sulla base dell’analisi funzionale prevista dalle Transfer Pricing Guidelines.
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La Corte di cassazione ha avuto modo di pronunciarsi circa la questione della deducibilità, o meno, degli interessi passivi sostenuti da una stabile organizzazione “sottocapitalizzata” nei confronti della “casa madre”.
In particolare, la Cass. 18 luglio 2022 n. 22545, origina dal recupero della maggiore IRES asseritamente non versata da parte della filiale italiana di una società straniera. Ritiene l'Ufficio che le spese per oneri finanziari corrisposti dalla stabile organizzazione alla “casa madre” austriaca non siano deducibili fiscalmente per via della situazione patrimoniale in cui la stabile organizzazione versa, in particolare a causa dell'assenza di un capitale proprio e del “disavanzo” del patrimonio netto che il relativo bilancio evidenzia.
Il ricorso avverso l'atto impositivo è rigettato dalla competente CTP, la quale evidenzia che la stabile organizzazione non possiede alcun “fondo di dotazione” e che, avendo una “situazione patrimoniale negativa”, non avrebbe potuto reperire alcun finanziamento sul libero mercato, al quale solo la “casa madre” ha accesso, pertanto gli interessi non sono deducibili.
Diversamente, l'appello della contribuente è accolto; evidenziano i giudici del gravame che l'avviso di accertamento non esplicita se gli interessi corrisposti si riferiscano ad un prestito puramente “interno”, ovvero ad un prestito assunto dalla “casa madre” e che l'assenza di un capitale proprio non è stato oggetto di contestazione. Conferma, infine, l'utilizzo di un capitale minimo di € 120.000,00 per il calcolo del “fondo di dotazione” minimo, previsto in Italia come capitale proprio minimo per la filiale italiana in base all'arm's length principle.
La Corte di cassazione, investita della questione a seguito del ricorso presentato dall'Ufficio, ha statuito che:
Tutto quanto appena riepilogato si traduce, secondo la Corte, nella conferma che i criteri di determinazione dei redditi attribuibili alla stabile organizzazione devono essere gli stessi di quelli applicati alle imprese residenti nel territorio dello Stato e che, affinché alla filiale italiana possa essere attribuito il reddito, la stessa deve possedere una “struttura patrimoniale appropriata” in relazione all'attività svolta, al pari di un'impresa indipendente che svolga attività analoghe, nelle medesime condizioni.
Pertanto, la corretta determinazione del “fondo di dotazione” della stabile organizzazione deve essere valutata di volta in volta, attraverso un'analisi dettagliata delle fattispecie, tenendo conto delle indicazioni fornite dall'OCSE. Così statuendo, la Corte ha cassato con rinvio la decisione, in quanto considerata priva di un'analisi dettagliata in merito alla determinazione del “fondo di dotazione” della stabile organizzazione.
“Authorized OECD Approach” ed il “fondo di dotazione” della stabile organizzazione
Va ricordato che l'attribuzione dei redditi alla stabile organizzazione si regge sul cd. “Authorized OECD Approach” (“AOA”), il quale concepisce la stessa come una “functional separate entity”, cioè un'impresa indipendente, separata e distinta dalla “casa madre” da cui promana, operante sul libero mercato, in condizioni identiche o similari (cfr. la Rel. Governativa D.Lgs. 147/2015). Tale principio è stato recepito nell'art. 152 c. 2 TUIR, secondo il quale “… la stabile organizzazione si considera entità separata ed indipendente, svolgente le medesime o analoghe attività, in condizioni identiche o similari, tenendo conto delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni utilizzati”. Il perimetro di tale “finzione” è determinato sulla base dell'analisi funzionale svolta sulla base delle Transfer Pricing Guidelines, volta ad individuare le funzioni svolte, i rischi assunti ed i beni impiegati dalla stabile organizzazione. Va anche detto che tale “finzione” opera esclusivamente ai fini dell'attribuzione dei redditi alla stabile organizzazione.
Per ciò che concerne il “fondo di dotazione”, i criteri definiti in sede OCSE per la sua determinazione sono i seguenti:
A livello interno, si applicano tutt'ora le disposizioni di cui al Provv. AE 5 aprile 2016 n. 49121.
Va ricordato che la disposizione di cui all'art. 152 TUIR ha la finalità di evitare spostamenti di reddito dallo stato di residenza della “casa madre” a quello della fonte in cui è situata la stabile organizzazione; qualora fossero qualificati come finanziamenti erogazioni eccessive rispetto all'attività concreta della stabile organizzazione, quest'ultima potrebbe ridurre il reddito imponibile grazie alla deducibilità degli interessi passivi su tali finanziamenti.
Tali ragioni rappresentano, appunto, la motivazione dell'esistenza del “fondo di dotazione”: la sua dotazione deve essere “congrua”, come detto, in relazione alle funzioni ed alle attività svolte, cosicché, se vengono qualificati come prestiti somme che in realtà sono destinate a tale fondo, la relativa remunerazione costituirebbe un costo indeducibile per la stabile organizzazione.
L'ordinanza della Corte di cassazione impone, quindi, di valutare l'adeguatezza del “fondo di dotazione” secondo il principio dell'arm's length (art. 110 c. 7 TUIR), che è prioritaria rispetto ai meccanismi dell'art. 96 TUIR, procedendosi, se del caso, successivamente a verificare la deducibilità degli interessi ai sensi dell'art. 96 TUIR.
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