lunedì 18/07/2022 • 06:00
E’ punito con la reclusione il percettore di Reddito di cittadinanza (RdC) che omette volontariamente di dichiarare le variazioni reddituali o la nuova occupazione intervenuta anche a seguito di rapporto di lavoro irregolare.
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Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione
Un cittadino percettore di reddito di cittadinanza ricorreva al giudice di legittimità dopo essere stato condannato nei primi due gradi di giudizio rispettivamente alla pena della reclusione di anni 1 e 8 mesi (in primo grado con rito abbreviato) e ad anni 1, mesi 1 e 10 gg ( nel giudizio di appello) a seguito di omessa comunicazione di nuova occupazione. Il motivo alla base del ricorso si sarebbe fondato sulla gratuità della prestazione pur in presenza di rapporto irregolare.
I requisiti per beneficiare del reddito di cittadinanza
La Legge n. 26/2019 dal notevole impatto sociale ed economico, si prefigge come scopo quello di fornire un sostegno al cittadino sprovvisto di occupazione, ovvero di sostegno ai redditi più bassi, associandoli (nelle intenzioni) ad un percorso di reinserimento nel mondo del lavoro. Affinché un soggetto possa beneficiare di tale misura, la norma prevede una serie di requisiti (soggettivi, reddituali e patrimoniali) di cui il presunto beneficiario deve essere in possesso. A titolo esemplificativo e non esaustivo, il richiedente dovrà essere cittadino italiano o dell' UE, di soggiornare da almeno 10 anni in Italia e di godere di protezione internazionale; di possedere un valore di indicatore ISEE inferiore a 9360 euro, un patrimonio immobiliare inferiore ai 30.000 euro ed un valore del patrimonio mobiliare inferiore ai 6000 euro.
Così, al fine di prevenire che soggetti possano indebitamente percepire somme a detto titolo, la norma (L. 26/2019) prevede una serie di sanzioni di carattere penale in caso di violazione di specifiche fattispecie; più in particolare, si prevede infatti che (art. 7 della l. 26/2019):
Il caso di specie fa esplicito riferimento alla seconda sanzione indicata, poiché in fase di merito il Giudice aveva accertato che la prestazione svolta dall'imputato, anche se priva di retribuzione, era da considerarsi ad ogni modo onerosa in virtù del rilascio di diverse regalie da parte del datore, ancorchè irregolare nella costituzione del rapporto.
Premesso ciò, il punctum dolens si è rappresentato nella corretta qualificazione della prestazione offerta dall'imputato nel rapporto intercorso tra lo stesso ed il suo datore. In questo caso, il Giudice adito ha correttamente applicato l'orientamento giurisprudenziale consolidato (su tutti valga Cass. Civ. n. 1833 del 26 gennaio 2009) secondo cui “ogni attività lavorativa è presunta a titolo oneroso salvo che si dimostri la sussistenza di una finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa e fermo restando che la valutazione al riguardo compiuta dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità se immune da errori di diritto e da vizi logici”.
Le dichiarazioni rese dall'imputato e dai test escussi in fase istruttoria hanno infatti evidenziato l'insussistenza del fine solidale, non potendo essere sufficiente qualificare come gratuita la prestazione in presenza di regalie offerte nel tempo.
Valga la pena ricordare, infatti, che la retribuzione ex art. 2099 c.c. può essere stabilita secondo diverse modalità e che lo stesso prestatore può essere retribuito (in tutto o in parte) anche con prestazioni in natura; il rilascio di alcune regalie da parte del datore di lavoro, a parere di chi scrive configura giustamente il requisito dell'onerosità della prestazione resa, con conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro, ovvero di attività irregolare, e come tale da riferirsi alla specifica fattispecie di cui al co. 2 dell'art. 7 L. n. 26/ 2019.
Conclusioni
Al fine di non incorrere in una sanzione penale in caso di intervenuta attività lavorativa, ancorchè irregolare, sarà necessario non solo dare immediata comunicazione della stessa, ma che prestazione offerta sia carente del requisito dell'onerosità.
Fonte: Cass. 4 luglio 2022, n. 25306
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