Neutralità della forma giuridica nell'imposizione sui redditi di imprese non residenti
La Cassazione civile con sentenza n. 19862 depositata il 20 giugno 2022 sembra rimettere in discussione, pur essendo corretta nel dispositivo per la particolarità dei redditi in discussione, principi che si ritenevano ormai acquisiti da circa quarant'anni.
E' infatti dalla redazione dell'attuale testo unico delle imposte sui redditi che è stata bloccata la riqualificazione, come redditi d'impresa, dei redditi prodotti in Italia da società non residenti senza stabile organizzazione nel nostro paese. Per le società non residenti viene quindi reso inoperante il principio, che lascia già perplessi per la sua assolutezza nella normativa interna, secondo cui tutti i redditi prodotti da società commerciali perdono la propria natura oggettiva, diventando redditi d'impresa.
La conseguenza di tale trasformazione, da redditi di capitale, fondiari e d'altro tipo, nel regime previgente al testo unico, era vantaggiosa per le imprese non residenti.
Queste ultime, per la loro natura formale di società di capitali o per il loro esercizio sostanziale di attività d'impresa all'estero, avrebbero potuto modificare la qualificazione oggettiva di redditi isolati di fonte italiana, trasformandoli in redditi d'impresa. Questa trasformazione avrebbe avuto conseguenze rilevanti in assenza di una stabile organizzazione in Italia ed in presenza di trattati contro le doppie imposizioni.
Questi ultimi talvolta escludono infatti l'imponibilità di molti proventi isolati, percepiti da imprese non residenti, subordinandoli alla presenza in Italia di stabili organizzazioni. In assenza di queste ultime il reddito non è più imponibile nello stato della fonte, cioè in Italia, ma solo in quello della residenza dell'impresa estera.
Si concluse in questo modo, con una sentenza della Cassazione favorevole ai contribuenti (Cassazione n. 7184 del 30 novembre 1983) una vicenda quasi decennale sull'imponibilità delle royalties in capo a società madri di gruppi multinazionali aventi sede negli Stati uniti d'America. Al di là delle particolarità del trattato con quest'ultimo paese, il contenzioso riguardava una questione generale che venne affrontata in sede di testo unico del 1986 bloccando ogni riqualificazione del genere, e mantenendo i redditi delle società non residenti nella categoria reddituale cui appartengono per la loro natura oggettiva, senza che la forma societaria o la natura d'impresa del percettore ne determinassero la trasformazione in redditi d'impresa.
Correttezza del dispositivo ed equivocità della motivazione
La sentenza indicata in premessa sembra rimettere in discussione questo principio, avallando un accertamento che presupponeva la trasformazione in reddito d'impresa di una plusvalenza su cessione di terreni edificabili.
La società contribuente era risultata soccombente, nei primi due gradi di giudizio, evidentemente perché i giudici di CTP e CTR si erano resi conto che le specifiche plusvalenze, realizzate su terreni edificabili, sono comunque imponibili come redditi diversi, non come redditi di impresa. Lo conferma il corretto annullamento, da parte della CTR, come si comprende dalla narrazione degli atti di causa, della parte di accertamento relativa all'IRAP, mancando un'organizzazione d'impresa in Italia, ed essendoci invece solo redditi isolati da plusvalenza.
Questa parte della sentenza della CTR era tra l'altro passata in giudicato, non avendo l'ufficio impugnato la sentenza con ricorso incidentale, ma avendo solo presentato controricorso, per resistere all'impugnazione della società. Quest'ultima è stata giustamente rigettata dalla corte di Cassazione, senza però dare atto che l'imposizione era dovuta come reddito diverso, anziché come reddito d'impresa, senza modifiche quantitative sostanziali. La cassazione , con argomentazioni al tempo stesso perplesse e acrobatiche, preferisce tener ferma la qualificazione contenuta nell'accertamento dell'ufficio, senza impegnarsi in elaborate argomentazioni ulteriori, quali quelle sopra suggerite. Essa afferma quindi che i rinvii dell'art.151 del tuir alle categorie del titolo primo del medesimo testo unico consentono di affermare che anche società non residenti senza stabile organizzazione in Italia sono titolari di reddito d'impresa. La perplessa timidezza della motivazione della sentenza va ricercata verosimilmente in una analoga timidezza del ricorso per Cassazione, i cui redattori erano presumibilmente ben consapevoli dell'imponibilità della plusvalenza in Italia come reddito diverso, indipendentemente dalla qualifica come reddito d'impresa, operata dall'ufficio.
Se invece si fosse trattato, poniamo, di una plusvalenza su un fabbricato, anziché su un terreno, il difensore sarebbe stato molto meno in imbarazzo e avrebbe fatto valere esplicitamente che la eliminazione del reddito d'impresa avrebbe comportato l'esclusione da imposizione in Italia, trattandosi di plusvalenza c.d. ultraquinquennale , secondo le regole generali dei redditi diversi.
Le due funzioni nomofilattiche in materia tributaria
Tutto a posto, quindi, nel senso di sentenza comunque corretta nel dispositivo, ma impropria nella motivazione, che speriamo nessuno faccia valere in futuro per rimettere in discussione (spesso contra fiscum) il principio della tassazione isolata dei redditi prodotti in Italia da società non residenti senza stabile organizzazione.
n conclusione però viene da chiedersi se sentenze come quella in esame, estremamente numerose per via del congestionamento della quinta sezione della Cassazione, giovino alla funzione nomofilattica cui essa dovrebbe essere preposta.
Pur corrette nel dispositivo, infatti, molte sentenze rischiano di enunciare principi che, se generalizzati e decontestualizzati, possono dare luogo ad equivoci, diventando addirittura controproducenti sul piano della funzione nomofilattica attribuita alla cassazione in materia civile e penale.
La questione, molto più generale rispetto ai limiti di questa nota, è che in una funzione non giurisdizionale come quella tributaria la funzione nomofilattica non spetta alla corte di cassazione, come in materia civile e penale. Per il diritto tributario, in quanto diritto amministrativo speciale (per una motivazione in merito il mio "La funzione amministrativa d'imposizione tributaria"), l'interpretazione di riferimento è quella dell'autorità amministrativa. La giurisdizione , rappresentata dalla cassazione, gioca il ruolo tipico del giudice del potere amministrativo, cioè di correzione dell'interpretazione portata avanti dall'autorità amministrativa.
Solo con questa consapevolezza sarà possibile alleggerire la pressione sulla corte di Cassazione, sdrammatizzarne gli interventi e valorizzare gli sforzi interpretativi dell'agenzia delle Entrate, riconoscendoli e responsabilizzandoli quanto meritano.
Fonte: Cass. 20 giugno 2022 n. 19862