venerdì 24/06/2022 • 06:00
In caso di grave inadempimento del lavoratore il datore di lavoro può risolvere il contratto attraverso il licenziamento disciplinare. E’ necessario che il datore di lavoro contesti il comportamento illegittimo nei modi e tempi definiti dallo Statuto del lavoratori. Ci sono delle differenze tra le piccole aziende e le grandi organizzazioni? Chi è il soggetto titolato ad irrogare il licenziamento? Entro quando va irrogata la sanzione dall’infrazione?
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Il licenziamento rappresenta una delle cause di cessazione del rapporto di lavoro e può essere determinato in presenza di un giustificato motivo oggettivo o soggettivo ovvero di giusta causa.
Gli ambiti strettamente riconducili al giustificato motivo soggettivo ed alla giusta causa, in particolare, hanno un fondamento disciplinare scaturente da un grave inadempimento del lavoratore. Fermo restando che il giudizio sulla proporzionalità o adeguatezza tra fatto addebitato e sanzione è rimesso al giudice di merito ed è insindacabile se sorretto da adeguata motivazione, in tale ambito, talvolta, si riscontrano talune criticità da cui può derivare successivamente l'illegittimità dell'atto. A tal fine, dunque, si ritiene utile chiarire, attraverso l'analisi di specifiche sentenze della Corte di Cassazione, alcune casistiche legate a tale fattispecie.
Contestazione e provvedimento disciplinare
Il potere disciplinare, attribuito al datore di lavoro dall'art. 2106 c.c., è funzionale ad ottenere l'esatto adempimento della prestazione contrattuale secondo le mutevoli esigenze nel tempo dell'attività d'impresa. Il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell'illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell'impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost..
Sul tema, si precisa, inoltre, la sanzione disciplinare è irrogabile a condizione che vengano preventivamente contestati gli addebiti al lavoratore in modo che lo stesso possa esporre le proprie difese (art. 7 L. n. 300/70).
Nella formulazione del provvedimento derivante da mancanza disciplinare del dipendente, dunque, si riscontra un principio garantista contenuto all'articolo 7 della legge n. 300/1970, che impone al datore di lavoro l'onere di contestare, preventivamente e per iscritto, a pena di nullità, l'addebito. In proposito, si precisa che la contestazione deve essere precisa, puntuale ed immodificabile. Ciò premesso, si ricorda che il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare senza aver dato la possibilità al lavoratore di difendersi e che, in ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale, non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.
Codice disciplinare aziendale
Ai sensi dell'art. 7 co. 1 della Legge n. 300/1970 le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro dove esistano. Sul tema, la Corte di Cassazione, con la sentenza 27 maggio 2004 n. 10201, ha affermato che, pena l'illegittimità della sanzione irrogata, al fine di far conoscere al lavoratore il codice disciplinare a cui deve sottostare è necessario che venga apposto in un luogo facilmente accessibile.
Tempestività della contestazione
La tempestività della contestazione deve essere collegata al momento in cui il datore di lavoro individua la mancanza disciplinare.
In modo inevitabile, dunque, nelle strutture aziendali di grosse dimensioni il tutto può verificarsi con tempistiche più o meno distanti rispetto a quando il fatto è avvenuto. In particolare, il concetto di immediatezza dell'azione disciplinare va inteso in senso relativo, tenuto conto di diversi aspetti, tra cui la complessità dell'organizzazione aziendale e delle indagini ispettive, nonché l'effettiva cognizione di tutti gli elementi che hanno caratterizzato la condotta oggetto di contestazione e l'imputabilità della stessa al lavoratore.
Sul tema giova ricordare che la Corte di Cassazione, con la sentenza 1° marzo 2018 n. 4881, ha affermato che, nell'ambito di un licenziamento disciplinare, il requisito necessario della immediatezza della contestazione deve essere interpretato in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più lungo, allorquando il ritardo sia giustificato dalla sussistenza di specifiche circostanze fattuali, la cui valutazione è riservata al giudice di merito.
Parimenti, tuttavia, la medesima Corte di Cassazione, con la sentenza 10 agosto 2004 n. 15467, ha precisato che la contestazione deve essere tempestiva nel momento in cui viene accertato l'addebito, non essendo una valida scusante che i diretti superiori gerarchici del lavoratore abbiano omesso di riferire tempestivamente agli organi titolari del potere disciplinare in ordine all'infrazione commessa.
Soggetto titolato ad irrogare il licenziamento
Nei casi di un datore di lavoro di una piccola azienda non sorgono particolari problemi in quanto lo stesso coinciderà normalmente con il titolare dell'impresa, con l'amministratore unico etc.
Invece, qualora si analizzino casi riguardanti organizzazioni più strutturate con dimensioni significative, in cui le deleghe vengono attribuite a più soggetti, è di rilevante importanza individuare il soggetto che ha il potere di irrogare il licenziamento.
Sul tema giova evidenziare che la Suprema Corte, con sentenza 4 luglio 2019 n. 17999, ha affermato come il licenziamento di un lavoratore intimato da soggetto privo del relativo potere “realizza una situazione soggettivamente complessa a formazione successiva, destinata a perfezionarsi con la ratifica del dominus, in mancanza della quale l'atto di recesso non è né nullo, né annullabile, ma temporaneamente privo di effetti e soltanto nei confronti dell'ente irregolarmente rappresentato”.
Efficacia del recesso
La lettera di licenziamento ha natura di atto unilaterale recettizio e come tale, ai sensi dell'art. 1334 c.c., produce effetto dal momento in cui perviene a conoscenza della persona a cui è destinata. In ogni caso, così come disposto dall'art. 1335 c.c., tali dichiarazioni si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia.
Sul tema si evidenzia come la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22717 del 6 novembre 2015, abbia affermato che il rifiuto da parte del dipendente di ricevere la lettera di licenziamento consegnata a mano non vada ad inficiare la validità della comunicazione e, dunque, l'efficacia del provvedimento, risultando legittimo il ricorso alla prova testimoniale per la verifica circa l'effettiva cognizione del recesso e delle connesse motivazioni da parte del lavoratore.
Altresì rilevante è la sentenza n. 23589 del 28 settembre 2018, attraverso cui la Suprema Corte ha ribadito che il licenziamento si presume conosciuto – ai sensi dell'art. 1335 c.c. – nel momento in cui è recapitato all'indirizzo del destinatario e non nel diverso momento in cui questi ne prenda effettiva conoscenza. Pertanto, qualora il licenziamento sia intimato con lettera raccomandata a mezzo del servizio postale, non consegnata al lavoratore per l'assenza sua e delle persone abilitate a riceverla, la stessa si presume conosciuta alla data in cui è rilasciato l'avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale, restando irrilevante il periodo legale del compimento della giacenza e quello intercorso tra l'avviso di giacenza e l'eventuale ritiro da parte del destinatario.
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