Ciò che non rigenera, degenera. E' quello che accade anche alla sicurezza sul lavoro di fronte ai cambiamenti dei contesti produttivi.
In questa prospettiva, si è mosso il legislatore che, complice il trend crescente di infortuni sul lavoro, ha provato a “rigenerare”, perché non “degenerasse” in una di utilità scarsa, la figura del preposto. Trattasi del lavoratore che, ai sensi dell'art. 2 lett. e) D.Lgs. n. 81/2008 “in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende all'attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.
La legge n. 215/2021 ha modificato gli articoli 18,19,26 e 37 D.Lgs. n. 81/2008. Tre le novità più importanti.
Anzitutto, l'articolo 18 viene arricchito della lettera b-bis) secondo cui il datore di lavoro e i dirigenti, pena l'arresto da due a quattro mesi e l'ammenda da € 1.500 a 6.000, devono “individuare il preposto o i preposti per l'effettuazione delle attività di vigilanza di cui all'art. 19” ed “i contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l'emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività…” di competenza”.
L'obbligo di individuazione, giusto il comma 8bis del successivo articolo 26, vale anche per l'appaltatore e il subappaltatore in favore del committente.
Giova sottolineare che non si tratta di un obbligo di nomina ma di pubblicità, ad esempio nell'organigramma, del nominativo del preposto. Con buona pace dei preposti c.d. “di fatto”.
Almeno due interrogativi solleva, invece, la previsione del compenso. Come proporzionarlo all'attività svolta secondo le regole che governano la materia lavoristica? Un compenso ulteriore presuppone la configurabilità di un'attività lavorativa ulteriore?
A noi pare che tale compenso costituisca una sorta di retribuzione premiale per l'impegno che il preposto assume per la medesima attività ma, come vedremo, di maggiore complessità.
Seconda novità. E' modificata la lett. a) del primo comma dell'art. 19 D.Lgs. n. 81/2008. Il preposto non è più soltanto obbligato a “sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione”.
Egli, in caso di non conformità comportamentali rispetto alle istruzioni impartite, deve anche “intervenire per modificare il comportamento non conforme” e “in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza della inosservanza, interrompere l'attività del lavoratore e informare i superiori diretti”.
A tale modifica, fa eco il nuovo comma f -bis) del medesimo articolo 19 secondo cui il preposto “in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere temporaneamente l'attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate”.
L'attività del preposto sembra assumere, dunque, una diversa qualità. Evidente il potenziamento del suo potere organizzativo, con riflessi sul piano del suo corretto inquadramento.
Ed invero, la scelta dell'intervento correttivo o, ancor più, dell'interruzione dell'attività lavorativa richiede una differente “cognizione di causa”: anzitutto, preliminari valutazioni strategiche in ordine all'opportunità e alle conseguenze di detta scelta.
Come distinguere, ad esempio, i casi in cui la violazione delle regole sulla sicurezza dipenda da un momentaneo stato di inidoneità fisica del lavoratore, o da una qualsiasi altra forza maggiore? In virtù di quali criteri, valutare se l'interruzione del processo produttivo non determini un pregiudizio ingiustificato rispetto all'atteggiamento momentaneamente erroneo del lavoratore o a una momentanea deficienza del mezzo di produzione?
D'altro canto, il preposto potrebbe rispondere anche sul piano disciplinare e per i danni arrecati alla produzione per un'ingiustificata interruzione.
Come bilanciare questa valutazione con la responsabilità penale per violazione dell'obbligo di intervento e di interruzione (arresto fino a due anni o con l'ammenda da € 400 a 1.200)?
La formazione del preposto
Queste considerazioni suggeriscono di riflettere sulla terza importante novità.
In ragione della delicatezza del ruolo, il legislatore, all'art. 37 D.Lgs. n. 81/2008 ha confermato la necessità per il preposto di un'adeguata e specifica formazione e di un aggiornamento periodico in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tale formazione, tuttavia, non potrà più svolgersi anche in forma telematica ma solo con modalità in presenza, dovrà articolarsi con cadenza almeno biennale e, ad ogni modo, tenersi “ogni qualvolta sia reso necessario in ragione dell'evoluzione dei rischi o all'insorgenza di nuovi rischi”. La declinazione del nuovo assetto formativo è rimessa all'accordo della Conferenza Stato-Regioni, con la deadline del 30 giugno 2022.
Si tratta, a ben vedere, di formazione simile a quella di figure in ambito human resources preordinata, anche all'acquisizione di alcune c.d. soft skills tra cui: la capacità di lavorare in team, la gestione di momenti di stress, la capacità di gestire le risorse umane.
Alla luce di questo scenario, residua una riflessione di ordine più generale. La modifica alla disciplina del preposto impone uno scatto di maturità per la scelta di un definitivo modello di sicurezza sul lavoro.
Coerenza vuole, infatti, che all'appesantimento, sulle spalle del preposto, degli obblighi di “vigilanza comportamentale” faccia da pendant un alleggerimento della responsabilità delle imprese per l'eventuale violazione di essi con, per contro, intatta la loro responsabilità per errori nell' “alta vigilanza”. In questo senso, si fa strada anche un importante orientamento giurisprudenziale (tra tutte, Cass. nn. 22271 e 37564/2021).
Smart working
Le modifiche legislative non possono rivelarsi nemmeno un alibi per invertire la marcia sul terreno dell'art. 20 D.Lgs. n. 81/2008, che impone al lavoratore di cooperare per la garanzia della propria sicurezza e di quella dei colleghi. Un rischio che ha evidenziato Confindustria con la Nota di aggiornamento del 12 gennaio 2022, giudicando quello della riforma un modello fondato sul controllo e non sulla collaborazione tra le parti.
Del resto, le sfide del diritto del lavoro, come lo smart working, impongono un inedito protagonismo del lavoratore anche nella scelta degli atteggiamenti cautelativi per la sua salute. Come potrebbe il datore di lavoro rispondere rispetto a spazi e ad abitudini che, da remoto, non può governare?
Ed allora, “rigenerare”, perche' non “degeneri”, il modello di sicurezza su lavoro significa definire i contorni di uno di tipo “misto”. Con tre categorie di soggetti protagonisti: l'impresa deputata alla “scelte di fondo” sulla sicurezza, il lavoratore che contribuisce alla loro attuazione ed, infine, i “controllori”, tra cui il preposto, che esercitano una vigilanza nei limiti della necessità e dell'opportunità.
Le riforme possono produrre buoni frutti. E' sempre questione di buon senso. E di fiducia nell' “altro”.