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giovedì 09/06/2022 • 11:45

Fisco Ruolo dei giudici

Processo tributario in cerca d’identità (amministrativa)

La legge delega per la riforma del processo tributario si limita a reclutamento, trattamento economico e status giuridico dei giudici, intervenendo solo su alcuni aspetti secondari del rito processuale. Dalla sua lettura emerge una forte carenza analitico-progettuale sul ruolo dei giudici nel controllo dell’attività amministrativa degli uffici tributari. Viene infatti mantenuta la determinazione dell’imposta da parte dei giudici, la c.d. “impugnazione merito”, del tutto anomala rispetto all’annullamento-rinvio, che caratterizza il processo amministrativo.  

di Raffaello Lupi - Professore ordinario di diritto tributario all’Università di Roma “Tor Vergata”

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  • Tempo di lettura 1 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Il disegno di legge delega sulla riforma del processo tributario prende le mosse da un’insoddisfazione profonda degli operatori, stratificatasi nei decenni. Questo malessere si traduce in una istanza riformatrice rivolta alla politica, che si sente quindi in dovere di intervenire. Dal punto di vista della politica, qualsiasi intervento è meglio di un “non intervento”, anche quando mancano spiegazioni sociali del problema da regolamentare e tra gli addetti ai lavori ci sono istanze molto confuse ed eterogenee.  

C’erano però alcuni punti fermi, come la necessità di un giudice dedicato in via esclusiva alla materia tributaria, senza altre parallele occupazioni. Sui modi per raggiungere quest’obiettivo ci sono stati invece molti dissensi. La delega si prefigge il superamento dell’attuale magistratura onoraria part time, istituendo una nuova magistratura a tempo pieno con proprio reclutamento e  status.  Vediamo i pro e i contro di questa scelta. 

Serve davvero un’altra magistratura per il tempo pieno?  

E’ da chiedersi in quale misura una nuova magistratura a tempo pieno sia conciliabile con le disposizioni costituzionali ordinarie sull’ordinamento giudiziario, ordinario, amministrativo, contabile e militare. Il giudice tributario a tempo pieno, con autonomo reclutamento,  pone cioè alcuni interrogativi di ordine costituzionale  che le precedenti commissioni non ponevano, proprio in quanto onorarie, formate cioè da appartenenti ad altri ordini giudiziari o da estranei all’ordine giudiziario.  

La relazione alla bozza di legge delega mette in risalto la frequenza e l’importanza delle controversie tributarie, fino al punto di creare un’altra apposita giurisdizione. Ma la salute, l’attività produttiva, la famiglia, il lavoro e tanti altri settori della socialità sono altrettanto e forse più importanti, senza avere un ordine giudiziario dedicato.  

E’ anche da chiedersi se la tradizione del diritto tributario, la sua esperienza professionale, la sua accademia, la sua manualistica, la sua pubblicistica tecnica, siano un retroterra culturale per una magistratura dedicata. Mi chiedo cioè se la cultura attuale del diritto tributario consenta oggi prove d’accesso che garantiscano l’auspicata padronanza delle controversie sottoposte al neo-giudice. L’attuale diritto tributario, nella sua parte generale e speciale, non mi pare abbia inquadrato la centralità della determinazione amministrativa dei presupposti economici delle imposte, rappresentati da  reddito, consumo, ricavi, costi, determinati combinando criteri documentali e valutativi. In altri termini, come ho scritto ai parr.1.7 e 1.10 de  "La funzione amministrativa d’imposizione tributaria", reperibile in rete, il settore non è abbastanza messo a fuoco, né consapevole di se stesso, per potervi fondare una quarta giurisdizione. Si può cioè dubitare che i giudici tributari a tempo pieno vincitori dell’ipotizzato concorso d’ingresso, possano essere messi in condizione di possedere, tramite la prova d’ingresso, la preparazione specialistica desiderata; all’importanza del diritto tributario, affermata nel disegno di legge delega, non corrisponde cioè un’adeguata consapevolezza accademica sul c.d. oggetto economico della funzione tributaria, e sulla sua matrice amministrativistica. L’oggetto economico suddetto non comporta rinvii all’economia, generale o aziendale, ma richiede riflessioni giuridiche oggi non adeguatamente approfondite, sia dall’accademia sia dal disegno di legge delega, sul ruolo del giudice in questo settore del diritto amministrativo. Il diritto tributario è infatti diritto amministrativo speciale come l’istruzione, l’urbanistica, l’ambiente, i beni culturali, la sanità ed altre funzioni pubbliche non giurisdizionali; esse traggono la propria giuridicità dall’esercizio di incarichi pubblici, da esercitare in modo socialmente valutato, facendosi interpreti del proprio ruolo secondo valori e regole. E’ questo lo sfondo, non valorizzato dal disegno di legge delega, in cui si inserisce l’intervento dei nuovi giudici tributari. Di questi ultimi viene oggi progettata la riforma, ma per riformare bisogna capire il ruolo sistematico degli organi su cui si interviene, cosa su cui il disegno di legge delega non lascia trasparire riflessioni di sorta.  

Carenze di spiegazione sul ruolo dei giudici 

Nella delega manca infatti qualsiasi riflessione sul posto del giudice in una funzione non giurisdizionale, come quella tributaria; ciò conferma la già indicata solitudine culturale dell’accademia tributaristica rispetto alla discussione generale sui rimedi verso il cattivo esercizio dei pubblici poteri. La relazione al disegno di legge lascia trasparire un appiattimento sull’intervento sostitutivo del giudice rispetto all’ufficio tributario. Non ci si rende conto che è un’idea atipica rispetto al ruolo del giudice amministrativo, derivante  dall’evoluzione di rimedi politico-gerarchici sul cattivo esercizio delle  funzioni pubbliche.  Tali rimedi, com’è confermato dall’attuale assetto del processo amministrativo, non sostituiscono la funzione amministrativa di volta in volta censurata, ma ne stigmatizzano i vizi, stimolandone un nuovo corretto esercizio. Anche il giudice tributario indipendente, dalla politica è  il punto d’arrivo, come quello amministrativo, di un percorso di reclami gerarchico politici in cui si è evoluto pian piano il sistema di controlli e contrappesi (checks and balances)  che caratterizza la ripartizione di competenze di uno stato moderno. Il  giudice delle funzioni non giurisdizionali controlla una diversa funzione pubblica, non la sostituisce, come attualmente avviene col processo tributario, con la sua singolare definizione di impugnazione merito.  

L’oggetto primario del processo tributario, come tutti quelli amministrativi, non è quindi l’imposta dovuta, ma la correttezza dell’agire amministrativo, e l’accertamento al suo interno di un vizio. E’ la stessa amministrazione, non il giudice, a dover eliminare tale vizio, in esecuzione della sentenza del giudice. Per quest’ultimo capire che la funzione sottostante è stata esercitata male è un primo passaggio, effettuabile anche  senza avere idea di come sostituirvisi, esercitandola di nuovo al posto dell’ufficio. L’operato del giudice tributario andrebbe quindi riportato all’alveo del controllo generale sul cattivo esercizio di pubbliche funzioni, con una fase rescindente e una rescissoria, che può e deve essere svolta dalla stessa amministrazione in sede di rinvio.  

L’interazione con gli uffici tributari oltre l’impugnazione merito     

Si tratta quindi di superare la fuorviante impugnazione merito eredità del contenzioso amministrativo, col suo ruolo sostitutivo; quest’ultimo è invece tipico del contenzioso amministrativo come accertamento con adesione e conciliazione giudiziale, ma anomalo rispetto ai principi generali della giurisdizione amministrativa. L’importante è che il giudice non si trovi costretto a sostituirsi all’ufficio nei lavori complessi da cui l’amministrazione ha abdicato, per scaricare sul processo la decisione finale.  

Si tratta anche qui di un punto di partenza, in quanto si può migliorare anche rispetto al processo amministrativo. Quest’ultimo, al di là della correttezza delle sue sentenze conformative, di rinvio all’amministrazione, e non sostitutive del provvedimento, è ancora sfasato rispetto all’attività amministrativa, già nel sistema Tar-Consiglio di Stato. Troppo spesso il giudice amministrativo, sospettando gravi patologie, usa qualche ragione formale per l’annullamento, rinviando giustamente all’amministrazione, senza però realmente  guidarla in positivo. Anche nel diritto amministrativo generale, pur in assenza di interventi sostitutivi del giudice, manca una cinghia di trasmissione tra lui e le amministrazioni, prima di tutto in termini di approfondimenti istruttori e dialettica processuale. Manca soprattutto, sia nel processo amministrativo, sia in quello tributario, la cooperazione istituzionale per la soluzione del problema, il c.d. bene della vita. Già nel corso del processo l’interlocuzione coi giudici potrebbe suggerire vie di uscita senza arrivare alla sentenza; si osservi che ciò sarebbe possibile già oggi; ad esempio il giudice, dopo aver capito il vizio dell’atto impugnato, potrebbe formulare ipotesi di conciliazione giudiziale che rimuovano il vizio, ma che sarebbero perfezionate dall’ufficio.  Una volta riformato l’atto, in modo condiviso dal ricorrente, la materia del contendere potrebbe in genere cessare, senza arrivare neppure alla sentenza. Benchè inadatto a completare l’attività amministrativa, il giudice tributario andrebbe valorizzato per supervisionarla e indirizzarne l’azione, contrastando la tendenza degli uffici verso l’attuale e deresponsabilizzata amministrazione per sentenza , connessa al suddetto equivoco dell’impugnazione merito.  

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