
venerdì 21/11/2025 • 14:21
Con il comunicato stampa del 20 novembre 2025, l’AIDC ha evidenziato le perplessità circa l’eliminazione della dividend exemption per le partecipazioni sotto al 10% attualmente prevista dal DDL Bilancio 2026.
redazione Memento
Nell’attuale testo del DDL Bilancio 2026 è presente una norma (art 18 c. 1 lett. b n. 1) che, se approvata negli attuali termini, escluderà dalla Dividend Exemption le società partecipanti che detengono nella società che distribuisce il dividendo una partecipazione inferiore al 10% del capitale sociale. Per effetto di tale modifica normativa, per tali soggetti, i dividendi percepiti sulla base di delibere assunte dal 1° gennaio 2026 costituiranno per intero componente positivo del reddito d’esercizio, finendo così per essere sottoposti a imposizione IRES integrale con aliquota del 24%.
La prospettata eliminazione della Dividend Exemption per le partecipazioni sotto al 10% suscita molte perplessità, che AIDC, con il comunicato stampa del 20 novembre 2025, ha evidenziato nei seguenti punti:
1) l’attuale previsione normativa della Dividend Exemption risponde a criteri di equità e ragionevolezza: evitare una doppia imposizione del medesimo reddito. Si può quindi affermare che la disposizione attuale non rappresenti una agevolazione, ma una previsione di sistema che, se eliminata, produrrebbe conseguenze distorsive. Ad esempio, proprio nel caso di distribuzione finale del dividendo ad una persona fisica, il carico fiscale sfiorerebbe il 60% complessivo (con effetti anche più rilevanti nelle strutture partecipative più articolate). Inoltre, l’aggravio fiscale si produrrebbe anche sugli utili accumulati prima della modifica normativa in assenza di una specifica disposizione transitoria;
2) la prospettata modifica alla soglia di partecipazione oltre la quale la norma non troverebbe applicazione non risolverebbe in sé il problema di fondo. Posto che da un punto di vista tecnico, alcuni ordinamenti europei contengono una previsione simile a quella che si vuole introdurre in Italia, va infatti rilevato come la struttura produttiva e di investimento del nostro Paese è ancora profondamente diversa, composta in buona parte di partecipazioni detenute da investitori non istituzionali, sui quali, alla fine, graverebbe in concreto la modifica in questione con una ulteriore possibile contrazione nella circolazione della liquidità. Un piano di lettura che, dunque, deve necessariamente tenere conto di una valutazione di opportunità e che deve essere coordinato con norme che, al contrario, incentivano la costituzione di holding “familiari”. Peraltro, si potrebbe anche porre un problema di competitività rispetto ad investimenti effettuati all’estero.
La norma è già oggetto di numerosi emendamenti in fase di discussione parlamentare. Secondo l’AIDC, una soluzione equa e rispettosa dei principi sopra detti potrebbe essere non già quella di agire sulla percentuale di partecipazione ma bensì quella di modificare il regime della Dividend Exemption nel senso di escluderne l’operatività per le partecipazioni che sono detenute per meno di un certo periodo di tempo, indipendentemente dalla percentuale di partecipazione detenuta, fissando dunque un principio di “holding period” minimo, come attualmente previsto dall’art. 87 TUIR in materia di PEX, eventualmente modulato anche su un arco temporale differente.
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Piero Bertolaso Brisotto
- Dottore commercialista e revisore contabileRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione

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