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sabato 08/11/2025 • 06:00

ODCEC MILANO ETS

Dalla rendicontazione al valore: la valutazione d’impatto sociale

La valutazione di impatto sociale diventa criterio giuridico e strumento di governance. Basata sui principi dell'economia civile, misura la capacità di generare valore pubblico, coesione e sostenibilità secondo l'Agenda 2030 trasformando risorse in fiducia, relazioni e benessere condiviso.

di Maria Concetta Rizzo - Dottore commercialista e revisore legale ODCEC Milano

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  • Tempo di lettura 2 min.
  • Ascolta la news 5:03
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La valutazione di impatto sociale (VIS) ha assunto un ruolo centrale nel nuovo scenario dell'economia sociale italiana, evolvendo da riferimento metodologico a criterio giuridico e amministrativo per la selezione dei progetti del Terzo Settore. Con l'atto di indirizzo del Ministero del Lavoro e il DM 23 luglio 2019, la VIS è diventata uno strumento vincolante per i progetti a rilevanza nazionale, segnando un cambio di paradigma nella gestione delle risorse pubbliche e nella legittimazione degli Enti del Terzo Settore (ETS). 

L'impatto sociale si afferma come strumento essenziale per garantire che le risorse destinate al Terzo Settore siano impiegate in modo efficace, trasparente e coerente con le finalità di interesse generale. 

Non è un mero esercizio contabile, ma un passaggio sostanziale che consente di: 

  • rendere visibile il valore aggiunto prodotto dagli ETS; 
  • permettere ai cittadini di comprendere come le risorse pubbliche e private si traducano in benefici collettivi; 
  • rafforzare la dimensione fiduciaria che lega enti, comunità e istituzioni. 

Questa evoluzione normativa si inserisce pienamente nel quadro del Piano Nazionale per l'Economia Sociale, promosso dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, che mira a rafforzare l'ecosistema dell'economia sociale attraverso un approccio integrato. Il Piano riconosce la valutazione dell'impatto sociale come leva strategica per: 

  • promuovere la trasparenza e la rendicontazione verso i cittadini e le istituzioni; 
  • orientare le decisioni di investimento pubblico e privato; 
  • valorizzare il contributo degli ETS al benessere collettivo; 
  • costruire una cultura diffusa della valutazione, anche attraverso la definizione di standard comuni, la diffusione di buone pratiche e la creazione di piattaforme pubbliche per la condivisione dei dati. 

Ma il Piano rappresenta anche un'occasione più ampia: quella di riconoscere l'economia sociale come “infrastruttura di sviluppo”. Come sottolineato nel documento in consultazione pubblica, l'economia sociale non è un settore marginale, ma un paradigma produttivo che genera valore economico, coesione sociale e capitale umano. Tuttavia, affinché il Piano non si riduca a un mero esercizio di ricognizione amministrativa, è fondamentale che sia permeato da un autentico principio di integrazione. L'economia sociale deve essere pienamente riconosciuta come parte integrante delle filiere produttive, dei processi di transizione ecologica e digitale, e dei programmi di investimento pubblico. Non si tratta di aggiungere un elemento etico a posteriori, ma di affermare l'economia sociale come terzo pilastro dell'economia reale, al pari del settore pubblico e di quello privato. Solo così sarà possibile valorizzare appieno il suo potenziale generativo e trasformativo.

In questo contesto, la finanza a impatto assume un ruolo chiave. Il Piano ne promuove lo sviluppo come strumento innovativo per sostenere la crescita e la sostenibilità delle organizzazioni dell'economia sociale. La finanza a impatto si distingue per: 

  • intenzionalità: l'obiettivo esplicito di generare impatti sociali e ambientali positivi, oltre al ritorno economico; 
  • misurabilità: l'adozione di metriche affidabili per valutare e migliorare l'efficacia degli interventi; 
  • addizionalità: il sostegno a progetti che affrontano bisogni sociali non soddisfatti, garantendo che le risorse raggiungano chi ne ha più bisogno. 

Economia civile e Agenda ONU 2030: un'alleanza per il bene comune 

L'introduzione della VIS come criterio giuridico può essere letta anche alla luce dei principi dell'economia civile, che interpreta l'attività economica come luogo di relazioni, fiducia e cooperazione, in grado di generare beni comuni oltre che beni privati. 

Integrare la valutazione di impatto con i principi dell'economia civile significa: 

  • orientare i progetti non solo all'efficienza misurando non solo output e outcome, ma alla generatività sociale; 
  • considerare il valore delle relazioni di fiducia, che costituiscono capitale sociale e precondizione per uno sviluppo sostenibile; 
  • rafforzare la capacità degli ETS di contribuire al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell'Agenda ONU 2030. 

Infatti, la VIS ben strutturata permette di misurare come gli interventi degli ETS incidano su obiettivi globali quali la lotta alle disuguaglianze (SDG 10), la riduzione della povertà (SDG 1), l'istruzione di qualità (SDG 4), il lavoro dignitoso (SDG 8), la coesione sociale e le partnership per gli obiettivi (SDG 17). 

In questa prospettiva, la valutazione diventa un ponte tra la dimensione locale degli interventi e gli impegni globali di sostenibilità. 

I domini della VIS – economico, sociale, ambientale, istituzionale e culturale – permettono di restituire una visione integrata dell'impatto, coerente con la logica sistemica dell'Agenda 2030 e con le raccomandazioni europee (13287/23), che riconoscono la VIS come condizione necessaria per lo sviluppo dell'economia sociale. 

Questi domini permettono di andare oltre la rendicontazione numerica e di restituire una visione multidimensionale dell'impatto, coerente con l'idea di valore integrale promossa dall'economia civile. 

In questo equilibrio tra rigore giuridico e valore sociale, la valutazione di impatto si conferma uno strumento essenziale per connettere le finalità del Terzo Settore con le priorità strategiche nazionali ed europee, rafforzando il ruolo degli ETS come attori centrali nella generazione di beni comuni e benessere condiviso. 

In definitiva, il Piano invita a “agire come sistema”, a condividere obiettivi e responsabilità, a misurare i risultati non in base alle risorse spese, ma agli effetti reali sul lavoro, sui territori, sulle persone. Significa ripensare la governance pubblica in chiave collaborativa, con una regia nazionale capace di tenere insieme i diversi livelli di governo e di garantire un dialogo stabile con chi opera quotidianamente nel settore. Solo così sarà possibile trasformare l'economia sociale in una leva strutturale per uno sviluppo equo, sostenibile e generativo. 

Verso una cultura nazionale della valutazione

Il Piano riconosce che le radici dell'economia sociale italiana affondano nella tradizione dell'economia civile, nata nel Settecento con Antonio Genovesi, che pone al centro la persona, la reciprocità e il bene comune. Proprio questi principi costituiscono la chiave per interpretare la valutazione di impatto come strumento culturale prima ancora che tecnico, capace di misurare non solo gli esiti economici, ma anche la generatività relazionale, educativa e istituzionale degli interventi.

Valutare l'impatto significa quindi riconoscere e rendere visibile ciò che l'economia civile chiama valore plurale: fiducia, capitale sociale, partecipazione, cultura della legalità, inclusione e benessere condiviso

Il Piano d'Azione per l'Economia Sociale sottolinea la necessità di promuovere una vera e propria cultura della valutazione, attraverso standard comuni, formazione per gli operatori e piattaforme pubbliche di condivisione dei dati.

L'obiettivo è duplice: da un lato migliorare la capacità di misurare e comunicare l'impatto, dall'altro rafforzare la credibilità e la visibilità del settore, rendendo evidenti i benefici collettivi generati dalle attività degli enti.

Conclusioni 

La scelta del Ministero del Lavoro di inserire la valutazione di impatto tra i criteri giuridici segna un punto di maturazione normativa: l'impatto non è più accessorio, ma requisito sostanziale per l'accesso alle risorse. 

La sfida è duplice: 

  1. evitare che la VIS degeneri in adempimento burocratico; 
  2. farne uno strumento di apprendimento e generatività, capace di coniugare rigore metodologico e valore relazionale. 

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