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mercoledì 22/10/2025 • 06:00

Lavoro RELAZIONI INDUSTRIALI

CCNL più applicati e intervento del Ministero: l'impatto della L. 144/2025 sui CCNL

La L. 144/2025 introduce, almeno in teoria, forti cambiamenti in ambito di relazioni industriali, permettendo al Governo di intervenire direttamente nella contrattazione collettiva: tra le principali novità il concetto di “CCNL maggiormente applicati” e l'intervento diretto del Ministero in caso di ritardo nei rinnovi.

di Marco Micaroni - Responsabile Relazioni Industriali di Autostrade per l'Italia s.p.a.

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  • Tempo di lettura 2 min.
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Non c'è dubbio che la L. 144/2025 (“Deleghe al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione”) spariglia fortemente il mondo delle relazioni industriali; per quanto ancora solo sulla carta, trattandosi al momento di poco più che di una serie di dichiarazioni di principio.

Dalla discussione portata avanti negli scorsi mesi sulla necessità di un salario minimo di legge per i lavoratori, improvvisamente, la legge sposta il focus su una possibile via contrattuale alla retribuzione minima, decidendo di delegare al Governo uno o più decreti legislativi  in materia di retribuzione e contrattazione collettiva.

In questo articolo, in particolare, ci soffermeremo su due aspetti:

  • il nuovo concetto di contratti collettivi maggiormente applicati introdotto in più parti dalla normativa;
  • la previsione di un ruolo diretto ed incisivo del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali nel caso di mancato rinnovo dei CCNL nei termini previsti.

Il concetto di "contratto collettivo maggiormente applicato"

Una delle principali finalità della nuova legge è quella di definire, per ciascuna categoria di lavoratori, i contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati in riferimento al numero delle imprese e dei dipendenti, con l'obiettivo di prevedere che il trattamento economico complessivo minimo di tali contratti costituisca, ai sensi dell'art. 36 della Costituzione, la condizione economica minima da riconoscere ai lavoratori appartenenti alla medesima categoria. Il medesimo concetto è esteso ai lavoratori non coperti da contrattazione collettiva, a cui verrà applicato il CCNL più affine.

La legge, in altre parole, utilizzando il metodo già adottato dai giudici del lavoro in diversi casi concreti, e cioè il concetto costituzionale del diritto del lavoratore di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente a garantire un'esistenza libera e dignitosa per sé e per la sua famiglia, manifesta la volontà di risolvere la questione italiana delle basse retribuzioni non con il salario minimo legale ma individuando nell'ambito dei contratti collettivi quelli “giusti”, scegliendo appunto la definizione di “maggiormente applicati”.

Chi si occupa di relazioni industriali, nel corso degli ultimi anni, ha imparato a conoscere la definizione di contratti collettivi stipulati da organizzazioni sindacali “maggiormente rappresentative”, introdotto, per il settore privato, dall'art. 51 del D.Lgs. 81/2015 (Jobs Act). Perché cambiare il riferimento?

La risposta più semplice ed immediata è perché finora, almeno sul punto in questione, non ha funzionato. E non ha funzionato, chiaramente, perché non esiste in Italia una legge o un sistema che faccia chiarezza sul principio della rappresentanza, sia delle associazioni sindacali che datoriali.

La domanda successiva è la seguente: Il nuovo concetto di contratti collettivi maggiormente applicati per definire i trattamenti economici minimi può funzionare e risolvere l'annoso problema delle basse retribuzioni?

L'idea del legislatore è quella di osservare i dati empirici e quantitativi, individuando come criterio di legittimazione il numero di lavoratori e imprese che applicano i singoli CCNL nei diversi settori economici.

Sul punto sarà interessante seguire concretamente la vicenda perché il rischio oggettivo di questa visione, l'altra faccia della medaglia, è quello di premiare contratti collettivi più diffusi ma meno tutelanti per i lavoratori, magari incentivando le imprese ad applicare o a spostarsi verso CCNL economicamente più bassi, favorendo in questo modo il dumping contrattuale, addirittura peggiorando il quadro complessivo. Alcuni commentatori segnalano come esistano già esempi in cui il contratto collettivo di gran lunga maggiormente applicato (vedasi CCNL guardiania o multiservizi) è stato dalla Corte di Cassazione - sul punto delle retribuzioni, ovviamente – dichiarato nullo perché non rispettoso dell'art.36 della Costituzione.

Ed allora, perché non provare ad applicare insieme sia il concetto di CCNL “comparativamente più rappresentativo” che quello “maggiormente applicato” o introdurre qualche ulteriore “fattore di qualità”?

L'intervento del Ministero del Lavoro nei casi di mancato rinnovo dei CCNL

Sull'argomento, l'intento della legge appare molto chiaro ed i primi segnali sono che il governo faccia sul serio.

Nei lavori alla manovra finanziaria 2026 il Ministero del Lavoro aveva proposto, oltre all'abbassamento dell'aliquota Irpef degli aumenti contrattuali al 10% (aliquota scesa addirittura al 5% nella bozza del DDL diffusa dopo il Consiglio dei Ministri di venerdì 17 ottobre), anche un adeguamento automatico all'inflazione Ipca fino al 5% annuo qualora il contratto collettivo rimanesse bloccato oltre 24 mesi dalla sua scadenza. Sebbene quest'ultima misura non sia stata (per ora) inclusa nel testo della legge di bilancio 2026, tali misure evidenziano l'intento del Governo di spingere le parti sociali a chiudere in tempi rapidi i rinnovi dei CCNL, impedendo stalli eccessivamente prolungati.

Stando a quanto al momento previsto, la L.144/2025 sancisce che il governo, nell'esercizio della delega:

  • introduca strumenti a sostegno dei rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro entro i termini previsti dalle parti sociali o di quelli già scaduti, anche attraverso l'eventuale riconoscimento ai lavoratori di incentivi volti a bilanciare e, ove possibile, a compensare la riduzione del potere di acquisto degli stessi;
  • preveda l'intervento diretto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che potrà adottare le misure necessarie (concernenti esclusivamente i trattamenti economici minimi complessivi) nei casi di contratti scaduti e non rinnovati nei termini o se in presenza di settori non coperti da contrattazione collettiva.

La questione è molto delicata, al confine di una possibile ingerenza verso l'autonomia della contrattazione collettiva e della libertà delle parti sociali.

Rispetto al tema, soprattutto verso i contratti collettivi più importanti, un ruolo di “mediazione indiretta” non è nuovo nel sistema delle relazioni industriali. Nel passato, per esempio nello stallo di alcuni rinnovi del CCNL dei metalmeccanici, a fronte di manifestazioni di piazza e scioperi reiterati, il Ministero interveniva cercando di spingere la mediazione.

Dalla lettura della norma, qui sembrerebbe trattarsi di uno scenario diverso: dipenderà ovviamente da come verranno concretamente attuati i decreti delegati ma è probabile che il ruolo immaginato dal legislatore sia di ben altra incisività rispetto al passato.

Un ultimo punto da segnalare, in stretta correlazione rispetto alla recente L. 76/2025 sulla partecipazione dei lavoratori, in qualche modo connessa alla nuova visione del lavoro e delle relazioni industriali del governo: la delega prevista dalla L. 144/2025 prevede espressamente che verranno disciplinati “modelli di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell'impresa, fondati sulla valorizzazione dell'interesse comune dei lavoratori e dell'imprenditore alla prosperità dell'impresa stessa”.

Le due nuove recenti leggi e i prossimi decreti legislativi porteranno sicuramente in futuro molte novità nel mondo del lavoro e delle relazioni industriali.

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