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sabato 04/10/2025 • 06:00

Fisco DALLA CASSAZIONE

Deducibilità delle spese di rappresentanza: necessario il requisito dell'inerenza

Le spese di rappresentanza sostenute dai liberi professionisti sono deducibili solo se il contribuente fornisce una documentazione analitica che ne dimostri l'effettiva destinazione a finalità promozionali dell'attività. La semplice ragionevolezza o l'uso di settore non bastano, e senza tracciabilità e prova dettagliata le spese non sono deducibili (Cass. 2 ottobre 2025 n. 26553).

di Andrea Carinci - Professore ordinario Università di Bologna e patrocinante in Cassazione

di Maira Nobili - Dottoressa, praticante Studio legale Carinci Rasia

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  • Tempo di lettura 7 min.
  • Ascolta la news 5:03
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La questione della deducibilità delle spese di rappresentanza - da intendersi come quelle sostenute dall'azienda o dal professionista per finalità di promozione dell'attività professionale o commerciale esercitata - continua a rivestire un ambito di particolare rilievo applicativo per liberi professionisti ed imprese. Con l'ordinanza n. 26553 del 2 ottobre 2025, la Corte di cassazione ha affermato che, ai fini della deduzione, è necessario fornire una prova concreta dell'inerenza delle spese alle finalità promozionali dell'attività svolta. L'inquadramento astratto del bene tra le spese di rappresentanza non legittima la deduzione, occorre fornire la dimostrazione concreta del nesso con la prestazione professionale svolta.

Il caso concreto: la posizione del professionista

Un libero professionista operante nel settore della consulenza fiscale è stato destinatario di un avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate in relazione all'anno d'imposta 2013. Con l'atto impositivo gli veniva contestata la deducibilità di spese per oltre 24.000 euro, comprendenti l'acquisto di oggetti di pregio e gioielli, che il contribuente giustificava come costi inerenti ad iniziative promozionali e attività di pubbliche relazioni.

A seguito dell'accertamento il professionista aveva presentato puntuale ricorso presso la Commissione Tributaria Provinciale, sostenendo la piena legittimità della deduzione effettuata, tuttavia il ricorso era stato respinto. Analogo esito negativo aveva avuto il successivo appello innanzi la Commissione Tributaria Regionale.

Non soddisfatto, il contribuente ha quindi impugnato la decisione davanti alla Corte di cassazione, fondando il proprio ricorso su tre motivi principali.

Le ragioni della Cassazione: focus su prova e requisito dell'inerenza

La Suprema Corte ha riaffermato l'esigenza di un riscontro probatorio concreto circa l'inerenza delle spese di rappresentanza rispetto all'attività professionale esercitata. Non è sufficiente invocare la natura astrattamente promozionale delle spese sostenute, né limitarsi a dichiarare che oggetti di valore o premi siano stati destinati a clienti o a iniziative di pubbliche relazioni.

La deducibilità, precisa la Corte, presuppone la puntuale dimostrazione della destinazione delle spese a finalità professionali e non personali. Nel caso di specie, a fronte dell'acquisto di oggetti di pregio, gioielli e persino di un vaso di valore, il contribuente non ha fornito alcun riscontro documentale, né tantomeno ha indicato i beneficiari effettivi degli omaggi, né, ancora, ha chiarito gli eventuali usi di settore che avrebbero giustificato tali spese. Il principio di diritto affermato dalla Cassazione è chiaro: “Non è sufficiente la dimostrazione dell'astratta possibilità di ricomprendere un bene tra le spese di rappresentanza per rendere deducibile l'onere. Occorre assicurare la prova che l'acquisto sia effettivamente destinato a finalità promozionali dell'attività e non personali, rispettando il requisito dell'inerenza.”

Il ruolo della prova: ragionevolezza e prassi non sono sufficienti

Il contribuente aveva cercato di fondare la propria difesa su due principali argomentazioni:

  • la ragionevolezza delle spese in relazione all'attività professionale svolta
  • la presunta conformità delle stesse agli usi del settore di riferimento

La Corte di cassazione, tuttavia, ha ritenuto entrambe le linee difensive inidonee. In primo luogo, ha osservato come la mera ragionevolezza della spesa, se non accompagnata da un riscontro documentale puntuale, non costituisca prova sufficiente dell'inerenza. In secondo luogo, ha sottolineato come non sia stata fornita alcuna documentazione valida a dimostrare l'effettiva sussistenza di prassi o consuetudini di settore che avrebbero potuto giustificare l'acquisto di beni di pregio. Altresì assente è stata l'indicazione dei destinatari effettivi degli omaggi o degli eventi specifici a cui gli stessi erano stati destinati. In tal modo, è mancata del tutto la prova della correlazione diretta delle finalità promozionali con l'attività professionale. Non basta quindi sostenere che le spese siano “verosimilmente” legate all'attività: la deducibilità richiede la dimostrazione concreta, tramite documenti, ricevute, elenchi di destinatari o eventi.

Sanzioni: distinzione tra violazioni formali e sostanziali

Un ulteriore motivo di ricorso riguardava la contestazione delle sanzioni irrogate dall'Amministrazione finanziaria. Il contribuente sosteneva l'inapplicabilità dell'art. 9 c. 1 D.Lgs. 471/97 (relativo alle violazioni formali), ritenendo invece che la contestazione riguardasse violazioni sostanziali. La Corte ha chiarito che può coesistere una violazione formale nella tenuta della contabilità anche se la questione riguarda la deducibilità di costi, e che la valutazione sulla natura della violazione spetta al giudice di merito.

Le conseguenze della decisione

Il ricorso, sulla base delle considerazioni sopra esposte, è stato definitivamente rigettato. Il contribuente è stato condannato al pagamento delle spese di lite per 2.500 euro nonché al versamento del cosiddetto “doppio contributo unificato”, previsto nei casi di soccombenza in Cassazione.

Questa pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, volto a rafforzare il principio dell'inerenza come condizione imprescindibile per la deducibilità dei costi. Ne emerge una concezione restrittiva delle spese di rappresentanza, precisando che la deducibilità delle stesse è ammessa solo se il contribuente è in grado di fornire prova rigorosa della destinazione delle spese a finalità promozionali. Non essendo sufficiente, a riguardo, una generica ricostruzione delle intenzioni o l'appello agli usi del settore di riferimento. Anche per omaggi di particolare valore (nel caso di specie, premi a studenti o opere d'arte) deve essere provata la connessione con l'attività professionale.

Tale interpretazione si pone in linea con l'esigenza di garantire certezza al sistema tributario e prevenire abusi nell'utilizzo di spese a carattere personale sotto forma di costi deducibili.

Fonte: Cass. 2 ottobre 2025 n. 26553

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