lunedì 29/09/2025 • 06:00
Il lavoratore che si obbliga a non svolgere attività in concorrenza con il datore di lavoro per un periodo successivo alla cessazione del rapporto ha diritto alla liquidazione di un compenso equo e proporzionato al sacrificio imposto e non può, in ogni caso, essere obbligato ad una sostanziale inattività nel campo della sua professionalità.
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Un lavoratore è stato assunto in data 1° gennaio 2024 alle dipendenze di una società attiva nello sviluppo di software per la gestione dei dati e ha sottoscritto un patto di non concorrenza ai sensi dell'art. 2125 c.c.. In forza del patto di non concorrenza, è inibito al lavoratore, per un periodo di 24 mesi dopo la cessazione del rapporto di lavoro, di svolgere attività – a qualunque titolo, in qualsiasi forma e attraverso qualsivoglia tipologia contrattuale – nel settore dello sviluppo di software per la gestione dei dati sull'intero territorio nazionale.
Come corrispettivo del patto di non concorrenza, la società datrice di lavoro ha corrisposto al dipendente, sin dalla costituzione del rapporto di lavoro, un importo lordo mensile di 200 euro (per 13 mensilità annue).
Il dipendente si è successivamente dimesso in data 30 aprile 2025 e la società datrice di lavoro ha contestato la violazione del patto di non concorrenza per avere il dipendente avviato in data 1° settembre 2025 una nuova collaborazione con una società concorrente durante la vigenza del vincolo di non concorrenza, chiedendo la restituzione degli importi percepiti come corrispettivo del patto di non concorrenza e il versamento di una penale.
Il dipendente contesta la pretesa della società datrice di lavoro ritenendo nullo il patto di non concorrenza, sia sotto il profilo della ind...
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Giuseppe Gentile
- Avvocato e Professore di diritto del lavoro Università di Napoli Federico IIRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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