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mercoledì 24/09/2025 • 06:00

Fisco DALLA CASSAZIONE

Reverse charge in assenza dei requisiti sostanziali: confermata l'indetraibilità IVA

Anche nelle operazioni sottoposte al regime del reverse charge, il diritto alla detrazione IVA viene meno quando le operazioni sono soggettivamente inesistenti, se accompagnate dalla consapevolezza del cessionario circa la natura fraudolenta dell'operazione (Cass. 15 settembre 2025 n. 25256).

di Gabriele Damascelli - Avvocato

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I fatti di causa

Una società era destinataria di un avviso di accertamento per aver detratto illegittimamente l'IVA, in quanto riferibile a fatture emesse per operazioni inesistenti, emesse dai propri fornitori che, seppur titolari di partita IVA, risultavano privi di ogni struttura operativa, in quanto non avevano mai istituito scritture contabili obbligatorie, non presentavano dichiarazioni fiscali, non effettuavano versamenti con modelli F24 e soprattutto mancavano di organizzazione contabile, di dipendenti, di mezzi di trasporto nonché di risorse finanziarie per movimentare le notevoli quantità di merci fatturate.

La CTR aveva rigettato l'appello dell'Ufficio, ritenendo (erroneamente) che l'applicazione del meccanismo del reverse charge rendesse neutre le operazioni ai fini IVA, impedendo quindi qualsiasi contestazione dell'Erario di operazione in frode all'IVA, ma tale orientamento è stato poi smentito dalla Cassazione in ordinanza.

Le argomentazioni della Cassazione.

La Cassazione ha quindi ribadito che l'imposta concernente le operazioni di cessione compiute in regime d'inversione contabile (c.d. reverse charge), ancorché effettuate sotto l'apparente osservanza dei requisiti formali, è indetraibile in caso di violazione degli obblighi sostanziali, ove venga meno la corrispondenza, anche soltanto soggettiva, dell'operazione fatturata con quella in concreto realizzata.

Tale consolidato orientamento (v. anche Cass. 19652/2020, par. 2.4, p. 4; Cass. 2862/2019; Cass. 16679/2016) trova il suo fondamento giuridico nel principio stabilito dalla Corte di giustizia UE nel leading case Ferimet in C-281/20, riguardante la contestazione della detrazione IVA nei confronti di una società spagnola che aveva acquistato materiali di recupero applicando il regime dell'inversione contabile, ma indicando sulla fattura un fornitore che, pur dotato di partita IVA, mancava dei mezzi materiali e delle risorse umane necessarie per l'esecuzione della fornitura.

La Corte UE ha lì stabilito che a un soggetto passivo deve essere negato l'esercizio del diritto a detrazione IVA relativa all'acquisto di beni che gli sono stati ceduti, qualora tale soggetto passivo abbia consapevolmente indicato un fornitore fittizio sulla fattura che egli stesso ha emesso per tale operazione nell'ambito dell'applicazione del regime dell'inversione contabile, se, tenuto conto delle circostanze di fatto e degli elementi forniti da tale soggetto passivo, mancano i dati necessari per verificare che il vero fornitore aveva la qualità di soggetto passivo.

Le condizioni formali e sostanziali per la detrazione IVA

Aspetto cruciale della sentenza Ferimet, ripresa dalla Cassazione in ordinanza, è la distinzione tra condizioni sostanziali e formali del diritto alla detrazione, laddove al riguardo la Corte UE ha chiarito che il diritto a detrazione è subordinato al rispetto di entrambe le condizioni.

Circa le prime, si richiede (v. art. 168, lett. a), Direttiva IVA 2006/112) che l'interessato sia un soggetto passivo, che a monte i beni o i servizi siano ceduti o forniti da un altro soggetto passivo e che, a valle, siano utilizzati dal soggetto passivo ai fini di sue operazioni soggette ad imposta (inerenza).

Circa le seconde, l'art. 178, lett. a), di tale direttiva prevede che il soggetto passivo debba detenere una fattura redatta in conformità agli artt. da 220 a 236 e agli artt. da 238 a 240 della direttiva stessa (v. C‑518/14, punti 28 e 29; C‑664/16, punti 39 e 40, C‑610/19, punto 43).

Ne consegue, quindi, che se l'indicazione del fornitore sulla fattura costituisce una condizione formale per l'esercizio di tale diritto, per contro la qualità di soggetto passivo del fornitore dei beni o dei servizi rientra invece nelle condizioni sostanziali di quest'ultimo, colorando di sé il diritto a detrazione.

Tale distinzione, calata nel caso in commento, assume rilevanza decisiva quando la violazione dei requisiti formali impedisce di fornire la prova del rispetto dei requisiti sostanziali, nell'ipotesi dell'indicazione consapevole di un fornitore fittizio, ostacola di fatto l'identificazione del vero fornitore e, conseguentemente, la verifica della sua qualità di soggetto passivo.

L'elemento psicologico nella frode

L'ordinanza n. 25256/2025 ha quindi escluso la detrazione IVA a monte, ponendo l'enfasi sull'elemento psicologico del contribuente (sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una frode IVA, v. il leading case Optigen Ltd in C-354/03) ed evidenziando come la frode operi quale limite generale al principio fondamentale di neutralità dell'IVA, per effetto altresì delle argomentazioni della Corte UE secondo la quale quando un'operazione di acquisto di un bene o di un servizio è inesistente (la Corte non ha mai ragionato in termini di inesistenza soggettiva piuttosto che oggettiva), essa non può avere alcun collegamento con le operazioni del soggetto passivo tassato a valle, per cui è inerente al meccanismo dell'IVA il fatto che un'operazione fittizia non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta (C-712/17, p. 24 e C-459/17, p. 36). 
Fonte: Cass. 15 settembre 2025 n. 25256

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