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venerdì 12/09/2025 • 06:00

Lavoro DALLA CASSAZIONE

Posta personale su pc aziendale: vietato l’accesso del datore di lavoro

L'accesso alla posta elettronica personale dei lavoratori non è consentito al datore di lavoro per finalità difensive, neppure se le email sono state rinvenute su server e PC aziendali: lo ha stabilito Cassazione con la pronuncia n. 24204 del 29 agosto 2025.

di Marcella de Trizio - Avvocato - Studio ArlatiGhislandi

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Il giudizio culminato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 24204 del 29 agosto 2025 veniva attivato da parte datoriale avverso ex dipendenti accusati di aver violato, in corso di rapporto, i doveri di fedeltà e diligenza.

A fondamento della propria domanda, al fine di provare la condotta dei propri dipendenti, il ricorrente allegava delle email private dei lavoratori, presenti nel sistema informatico aziendale.

In primo grado, il ricorso dell'azienda veniva in parte accolto, avendo il Tribunale di Milano accertato condotte poste in essere dai dipendenti che davano luogo alla fattispecie della concorrenza sleale ex art. 2598 e 2043 c.c. e della violazione dei doveri di diligenza e fedeltà ex artt. 2104 e 2105 c.c.. Condannava, quindi, i dipendenti al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni ricevute nell'ultima fase dei rapporti di lavoro, comprensive delle competenze di fine rapporto.

La pronuncia veniva riformata dalla Corte d'appello che aveva ritenuto inutilizzabili le predette e-mail, in quanto recuperate dal datore di lavoro attraverso un accesso ad account privati di posta del lavoratore, coperti da password, benché inseriti sul server aziendale. Tale ultima condotta avrebbe comportato la violazione del diritto di “vita privata” e di “corrispondenza”.

L'art. 8 della Convenzione Europea e le nozioni di vita privata e corrispondenza

La norma principale posta alla base della decisione della Corte di Cassazione è l'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, che recita:

“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

La Cassazione, nel confermare la pronuncia della Corte d'Appello, rimarca che le comunicazioni dei dipendenti tramite l'account privato, anche se su pc aziendale, ricadono nelle nozioni di “vita privata” e di “corrispondenza” ex art. 8 anche se sono trasmesse dai locali aziendali.

Quanto alla nozione di "vita privata" in ambito professionale, si richiama la giurisprudenza europea, secondo cui le limitazioni alla vita professionale di una persona possono rientrare nell'art. 8 “se hanno ripercussioni sulle modalità con cui la stessa costruisce la sua identità sociale mediante lo sviluppo di rapporti con gli altri”. A tale riguardo la sentenza rileva che “per la maggior parte delle persone la vita lavorativa rappresenta una significativa, se non la più importante, possibilità di sviluppare rapporti con il mondo esterno.”

Quanto alla nozione di "corrispondenza", la Corte osserva che nella formulazione dell'art. 8 tale termine non è qualificato da un aggettivo, a differenza del termine "vita", pertanto la giurisprudenza ha ritenuto rientrare nella nozione di corrispondenza, ad esempio, anche le telefonate svolte presso i locali aziendali, o la corrispondenza con gli avvocati.

Si applicherebbe lo stesso principio, pertanto, anche “alle e-mail inviate dal luogo di lavoro, che godono di analoga tutela ai sensi dell'articolo 8, così come le informazioni tratte dal controllo dell'utilizzo di internet da parte di una persona ".

Controlli e privacy

La Corte affronta anche il tema del rispetto dei principi:

  • della finalità legittima, secondo cui il controllo nelle sue varie forme deve essere giustificato da gravi motivi;
  • della proporzionalità, per cui il datore di lavoro deve scegliere, nei limiti del possibile, tra le varie forme e modalità di adeguato controllo (ad es. sul flusso di comunicazioni o sul loro contenuto; con predeterminazione dei tempi di durata; etc. , quelle meno intrusive)
  • e della preventiva dettagliata informazione ai dipendenti sulle possibilità, forme e modalità del controllo, in modo tale che, in ossequio alla necessità di contemperare le esigenze datoriali di controllo con quelle di tutela della privacy del dipendente. Non è consentita un'attività di controllo massivo, mentre sono state considerate indispensabili le opportune informative in merito alla possibile attività di controllo, con esclusione, in tale ottica, di controlli preventivi proprio perché si esulerebbe dal piano "difensivo".

Peraltro, eventuali controlli dovrebbero essere assoggettati alla procedura ex art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

Infine, la circostanza che i lavoratori non fossero più dipendenti al momento delle indagini, fa ritenere che il datore di lavoro avrebbe violato le regole sulla conservazione e la categorizzazione dei dati personali dei dipendenti, relativi alla navigazione in Internet, all'utilizzo della posta elettronica ed alle utenze telefoniche da essi chiamate. Il trattamento di quei dati si traduce, infatti, nella violazione dell'art. 8 della menzionata legge, che vieta lo svolgimento di indagini sulle opinioni e sulla vita personale del lavoratore, anche se le informazioni raccolte non siano in concreto utilizzate (Cass. n. 18302/2016).

La società non aveva dimostrato di avere impartito specifiche disposizioni finalizzate a regolamentare le modalità di controllo e/o di duplicazione della corrispondenza dei lavoratori.

Fonte: Cass. n. 24204 del 29 agosto 2025

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