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mercoledì 10/09/2025 • 06:00

Lavoro DALLA CGUE

Mobilità interna e obblighi di consultazione: sotto la lente della Direttiva CE 59/1998

La CGUE, con sentenza C-249/24 del 4 settembre 2025, si è pronunciata sull'interpretazione delle norme europee sui licenziamenti collettivi: i recessi seguiti al rifiuto dei dipendenti di applicare le norme di un contratto collettivo sulla mobilità interna possono essere considerati tali? E le consultazioni svolte per la negoziazione di tale contratto possono soddisfare gli obblighi di informazione previsti?

di Marcello Buzzini - Avvocato in Milano - Studio Legale Failla & Partners

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  • Tempo di lettura 8 min.
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La controversia oggetto della causa C-249/24, decisa dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea con sentenza del 4 settembre 2025, trae origine dal licenziamento di due dipendenti, RT ed ED, impiegati presso la società francese Ineo Infracom, attiva nel settore delle infrastrutture per telecomunicazioni. In seguito alla decisione di France Télécom di non rinnovare un contratto di appalto, la società aveva proposto ai lavoratori interessati nuove assegnazioni geografiche temporanee, che RT ed ED rifiutavano.

Successivamente, Ineo Infracom e le organizzazioni sindacali avevano concluso un contratto collettivo di mobilità interna, in base al quale venivano formulate nuove offerte di lavoro, anch'esse respinte dai due dipendenti.

Di conseguenza, la società ha proceduto al loro licenziamento individuale per motivi economici, ai sensi dell'articolo L. 2242-23 del codice del lavoro francese.

RT ed ED hanno impugnato tali licenziamenti dinanzi al tribunale del lavoro, con alterne vicende processuali, fino a giungere dinanzi alla Corte di cassazione francese, la quale ha sottoposto alla CGUE la questione pregiudiziale se tali risoluzioni contrattuali debbano essere considerate “licenziamenti” ai sensi della Dir. CE 59/1998 e se le consultazioni effettuate prima della conclusione del contratto collettivo di mobilità interna possano ritenersi conformi all'art. 2 della medesima direttiva.

Autonomia della nozione europea di licenziamento

La CGUE, ha innanzitutto riformulato i quesiti per offrire al giudice nazionale una risposta utile.

In relazione alla prima domanda, il punto centrale riguarda la qualificazione delle risoluzioni dei contratti di lavoro fondate sul rifiuto dei dipendenti di applicare un contratto collettivo di mobilità interna. Secondo la CGUE, la nozione di “licenziamento” ai sensi dell'art. 1 p. 1 Dir. CE 59/1998, costituisce un concetto autonomo del diritto dell'Unione, non definibile attraverso il rinvio alle legislazioni nazionali e non suscettibile di interpretazione restrittiva. Essa ricomprende qualsiasi risoluzione del contratto non voluta dal lavoratore, senza il suo consenso.

In questa prospettiva, la modifica unilaterale da parte del datore di un elemento essenziale e sostanziale del contratto è idonea ad integrare un licenziamento, mentre il rifiuto del lavoratore di accettare una modifica non sostanziale non esclude che la conseguente risoluzione debba comunque essere computata come risoluzione su iniziativa del datore di lavoro per motivi non inerenti al singolo dipendente.

Spetta pertanto al giudice del rinvio accertare, in primo luogo, se, alla luce del contratto collettivo e dei contratti individuali, i dipendenti fossero tenuti ad accettare la nuova assegnazione geografica: in caso affermativo, il rifiuto costituirebbe una violazione contrattuale con causa loro imputabile.

Sostanzialità della modifica contrattuale

Se invece tale obbligo non sussiste, il giudice deve verificare se il mutamento del luogo di lavoro costituisse una modifica sostanziale di un elemento essenziale del contratto. A tal fine, rileva il carattere temporaneo o meno della nuova assegnazione, la distanza fra i luoghi e le eventuali misure di accompagnamento. Il luogo di lavoro, osserva la CGUE, può rappresentare un elemento essenziale, dato l'impatto economico e organizzativo per il lavoratore.

Qualora la modifica sia qualificata come sostanziale ed essenziale, il rifiuto del dipendente comporta un licenziamento ai sensi dell'art. 1 par. 1 c. 1 lett a) della Direttiva, da computare nel numero complessivo dei licenziamenti collettivi. Se invece non si tratta di una modifica sostanziale, la risoluzione rimane comunque imputabile al datore di lavoro per motivi economici e deve essere considerata come risoluzione del contratto su sua iniziativa ai sensi del secondo comma della disposizione citata, purché ricorrano almeno cinque casi.

Effettività dell'informazione e della consultazione delle parti sindacali

Passando alla seconda questione, la CGUE ha chiarito anzitutto che la finalità della direttiva è far precedere i licenziamenti collettivi da un' effettiva informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori , nonché dalla notifica all'autorità pubblica .

Tali obblighi sorgono già quando il datore di lavoro prevede o pianifica licenziamenti collettivi, anche in ragione del prevedibile rifiuto dei lavoratori di accettare modifiche contrattuali. Le informazioni elencate all'art. 2 par. 3 della Direttiva possono essere fornite nel corso delle consultazioni, purché in tempo utile per consentire ai rappresentanti di formulare proposte costruttive.

Ne consegue che le trattative di un accordo di mobilità interna concluse “senza piano di riduzione del personale” non rientrano in sé nell'ambito della direttiva, poiché in tale fase il datore non ha ancora in programma licenziamenti. Tuttavia, qualora durante tali trattative il datore possa ragionevolmente attendersi il rifiuto di un numero rilevante di dipendenti, con conseguente risoluzione dei contratti, egli è tenuto ad avviare tempestivamente la procedura di consultazione prevista dall'art. 2, fornendo le informazioni richieste e notificando il progetto all'autorità competente. In tal senso, l'informazione e la consultazione svolte prima della conclusione di un contratto collettivo di mobilità interna possono essere considerate conformi alla direttiva, a condizione che siano rispettati integralmente gli obblighi informativi e procedurali stabiliti dall'art. 2 par. 3.

La pronuncia in commento conferma dunque l'ampiezza della tutela assicurata dalla Dir. CE 59/1988, chiarendo che anche le risoluzioni del rapporto di lavoro connesse al rifiuto di applicare un accordo di mobilità interna possono essere qualificate e computate come licenziamenti collettivi. Al tempo stesso, la CGUE ribadisce che gli obblighi di informazione e consultazione costituiscono un presidio imprescindibile, da attivare già nella fase in cui il datore di lavoro preveda modifiche idonee a determinare un numero rilevante di risoluzioni contrattuali, così da garantire un effettivo coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori.

Fonte: CGUE sentenza 4 settembre 2025 (causa C-249/24)

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