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martedì 02/09/2025 • 06:00

Lavoro PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Utilizzare il TFR per anticipare la pensione: pro e contro

Addio alla liquidazione al termine del rapporto di lavoro? Forse non nell'immediato, ma, in un futuro non troppo lontano, è assai probabile che questa “minaccia” diventi realtà. In tema di TFR, si analizzano le opportunità e le criticità nella sua devoluzione alla previdenza complementare.

di Noemi Secci - Consulente del lavoro - Direttore tecnico-scientifico di PrevidAge

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  • Tempo di lettura 7 min.
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A venir meno non sarebbe il diritto all'accantonamento a favore del lavoratore, sancito dal Codice civile (art. 2120 c.c.): il TFR rappresenta infatti parte integrante della retribuzione del dipendente, anche se differita, ossia non erogata, di regola, a cadenza mensile.

Verrebbe invece meno la possibilità di lasciare il TFR in azienda, destinandolo obbligatoriamente alla previdenza complementare: ad oggi, la devoluzione della liquidazione ad un fondo pensionistico integrativo è una mera facoltà, rafforzata però dalla previsione della destinazione automatica alla previdenza complementare nell'ipotesi in cui il lavoratore non effettui alcuna scelta in merito entro 6 mesi dall'assunzione (cd. silenzio-assenso, art. 8 D.Lgs. 252/2005).

Ma come mai, negli anni, il rafforzamento delle forme pensionistiche integrative è diventato cruciale e perché lavoratori e imprenditori sono generalmente restii alla devoluzione del TFR?

Che cos'è e come si calcola il TFR?

Il Trattamento di fine rapporto fa parte, a pieno titolo, della retribuzione del dipendente: si parla di retribuzione differita in quanto, di norma, non è erogato mensilmente, ma al termine del rapporto di lavoro.

Si tratta di una quota di retribuzione accantonata anno per anno (retribuzione annua diviso 13,5) e rivalutata in base a un tasso composto dall'1,5% fisso più il 75% dell'aumento dell'indice FOI. Alla cessazione del rapporto viene liquidato al dipendente, con tassazione separata (art. 17 TUIR).
In alcuni casi, il lavoratore può ottenere un'anticipazione fino al 70% per spese sanitarie, acquisto della prima casa o congedi particolari (art. 7 l. 53/2000; circ. Min. lav. 85/2000).

TFR e previdenza complementare

Dal 2007, ogni dipendente deve scegliere se lasciare il TFR in azienda o destinarlo a un fondo pensione. In assenza di scelta, scatta la devoluzione automatica alla previdenza integrativa. La scelta ha conseguenze rilevanti. Nel fondo pensione il TFR può essere riscattato in parte o anticipato con maggiore flessibilità: ad esempio, dopo 8 anni di iscrizione è possibile ottenere fino al 30% per esigenze personali o fino al 75% per l'acquisto della prima casa o spese sanitarie.

Inoltre, grazie alla rendita integrativa temporanea anticipata (RITA), è possibile accedere fino a 10 anni prima della pensione di vecchiaia a una prestazione periodica, trasformando il TFR in un “ponte” verso il ritiro.

Dal punto di vista fiscale, i vantaggi non sono trascurabili: le prestazioni dei fondi pensione sono tassate con un'aliquota agevolata che scende progressivamente dal 15% fino al 9% in base agli anni di partecipazione, contro la tassazione separata del TFR lasciato in azienda (con aliquota minima al 23%).

Pro e contro delle due scelte

Lasciare il TFR in azienda significa avere la certezza di una liquidazione immediata e integrale alla cessazione del rapporto. I rendimenti, però, restano modesti e la tassazione più onerosa.

Destinarlo a un fondo pensione offre prospettive diverse: rendimenti mediamente superiori, anticipazioni più ampie, agevolazioni fiscali e, soprattutto, la possibilità di costruire un'integrazione previdenziale. Ma comporta un vincolo temporale: salvo particolari esigenze, non si può disporre liberamente delle somme prima del pensionamento.

Perché la devoluzione resta poco amata

Nonostante i benefici, molti lavoratori continuano a preferire il TFR in azienda. Le ragioni sono culturali oltre che pratiche. Gli imprenditori temono la perdita di liquidità, mentre i dipendenti diffidano della previdenza integrativa, convinti che significhi “perdere” il proprio capitale o riceverlo solo in forma di piccola rendita.

Questa resistenza è il riflesso di una scarsa consapevolezza della crisi del sistema pubblico: con il progressivo passaggio al calcolo contributivo, carriere frammentate e bassi redditi, la pensione Inps difficilmente potrà garantire livelli adeguati. In questo scenario, la previdenza complementare e l'utilizzo del TFR come motore per finanziarla appaiono strumenti essenziali.

Tuttavia, obbligare per legge alla devoluzione del TFR ai fondi pensione potrebbe essere una scorciatoia “a costo zero” per lo Stato, ma rischierebbe di alimentare diffidenza e conflitti.

Il vero nodo è comunque un altro: l'assenza di educazione finanziaria. Solo con una maggiore consapevolezza, sin dalla scuola, i lavoratori potranno valutare con cognizione di causa se lasciare la liquidazione in azienda o destinarla a un fondo, trasformando il TFR da semplice paracadute di fine carriera a strumento per costruire una pensione più dignitosa.

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