mercoledì 20/08/2025 • 06:00
Non può essere intimato un licenziamento quando per l’infrazione commessa esso rappresenta una sanzione più grave di quella prevista dalla fonte collettiva: a ribadirlo è la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 21 luglio 2025 n. 20394.
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Nel caso oggetto dell'ordinanza della Cassazione n. 20394 del 21 luglio 2025, una società avviava un procedimento disciplinare nei confronti di un proprio dipendente reo di aver rivolto gravi frasi minacciose ad un collega più giovane e privo di stabilità contrattuale, durante lo svolgimento dell'attività lavorativa. All'esito del procedimento la società disponeva il suo licenziamento per giusta causa che veniva dal lavoratore impugnato giudizialmente.
Il provvedimento espulsivo veniva ritenuto legittimo sia in primo che in secondo grado, seppur “derubricato” a licenziamento per giustificato motivo soggettivo, con il riconoscimento del periodo di preavviso.
Secondo la Corte d'appello le espressioni utilizzate dal lavoratore erano particolarmente gravi, in quanto aventi un duplice intento “diseducativo”, da un lato miravano a rendere il collega infedele al datore di lavoro intimandogli di ridurre il suo standard di produttività e, dall'altro, perseguivano la finalità di sottrarsi al controllo datoriale, determinando così un'inammissibile interferenza con l'organizzazione aziendale.
Avverso la sentenza di merito il lavoratore proponeva ricorso per cassazione a cui resisteva la società con controricorso.
La decisione della Corte di Cassazione
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Giuseppe Gentile
- Avvocato e Professore di diritto del lavoro Università di Napoli Federico IIRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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