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sabato 09/08/2025 • 06:00

Lavoro DALLA CASSAZIONE

Ferie residue: onere a carico del datore di lavoro

Il datore di lavoro ha l'onere di allegare e di provare di aver messo il lavoratore in condizione di fruire di tutte le ferie residue prima della cessazione del rapporto di lavoro: a ribadirlo è la Corte di Cassazione, con ordinanza 18 luglio 2025 n. 20035.

di Elena Cannone - Avvocato

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  • Tempo di lettura 4 min.
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Nel caso oggetto dell'ordinanza n. 20035 del 18 luglio 2025 della Corte di Cassazione, un lavoratore - in forza presso una società per azioni concessionaria di un servizio pubblico sino al 17 settembre 2011, quando era stato collocato in quiescenza – si rivolgeva al Tribunale, affinché emettesse (ottenendolo) decreto ingiuntivo per l'importo di 35.868,68 euro a titolo di indennità sostitutiva di 46,35 giorni di ferie non godute, di 9 giorni di permessi maturati e non goduti nonché della quota dell'indennità sostitutiva del preavviso ai sensi del CCNL di settore.

La società proponeva opposizione avverso detto decreto che veniva parzialmente accolta dal Tribunale. Quest'ultimo riteneva che non fosse stata adeguatamente provata la mancata fruizione delle ferie per causa non imputabile al lavoratore. Ciò in quanto egli era rimasto inerte a fronte del formale invito della società a fruire delle ferie, formulato con lettera del 19 luglio 2011 e pervenutagli il successivo 26 luglio, quando residuavano circa 50 giorni di ferie arretrate.

Il Tribunale riteneva, altresì, non provati la richiesta di fruizione dei permessi maturati ed il rifiuto della società per esigenze di servizio. Ad avviso del Giudice di prime cure era, invece, dovuta la c.d. indennità ex fissa, pari a 19.293,40 euro. Di conseguenza, il decreto ingiuntivo veniva revocato e condannata la società al pagamento di tale minor somma.

In appello, la Corte distrettuale, investita della questione, rigettava sia il gravame principale proposto dal lavoratore che quello incidentale proposto dalla società.

Avverso la sentenza di secondo grado, il lavoratore ricorreva in cassazione, affidandosi a 4 motivi che la Corte di Cassazione riteneva di esaminare congiuntamente per la loro connessione

Normativa di riferimento

Per quanto di precipuo interesse, l'art. 5 c. 8 DL 95/2012, così come integrato dall'art. 1 c. 55 L. 228/2012, dispone che “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche (…) sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi”.

Quanto prescritto si applica anche “in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età (…)” e la sua violazione, “oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile”.  

L'art. 7 p. 2 Dir. CE 88/2003 prevede che il periodo minimo di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane “non può essere sostituito da un'indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro”.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, investita della causa, osserva che l'art. 5 c. 8 DL 95/2012, così come integrato dall'art. 1 c. 55 L. 228/2012, deve essere interpretato in senso conforme all'art. 7 p. 2 della Dir. CE 88/2003. Questa disposizione normativa, secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e dell'indennità sostitutiva senza la previa verifica che il lavoratore sia stato adeguatamente informato e posto nelle condizioni di esercitare effettivamente tale diritto prima della cessazione del rapporto di lavoro (cfr. sentenze del 6 novembre 2018, cause riunite C-569/16 e C-570/16, nonché cause C-619/16 e C-684/16).

Orbene, la perdita del diritto alle ferie e alla relativa indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può avvenire solo quando il datore di lavoro dimostri di aver invitato il lavoratore a fruire delle ferie maturate - anche mediante atto formale, se necessario - e di averlo, contestualmente, avvisato in modo chiaro, preciso e tempestivo del rischio di decadenza del diritto. Tale informazione deve essere fornita con sufficiente anticipo, affinché le ferie possano ancora assolvere alla loro funzione di garantire al lavoratore il necessario riposo e recupero psico-fisico. Solo in presenza di questi presupposti può configurarsi una legittima perdita del diritto, sia alle ferie non godute sia alla relativa indennità compensativa (cfr. Cass. n. 21780/2022).

Nella fattispecie in esame, a fronte di una specifica deduzione circa la sussistenza di oltre 80 giorni di ferie accumulate negli anni precedenti, la Corte di Cassazione ritiene che la Corte d'appello abbia omesso ogni accertamento, ritenendo erroneamente nuova la deduzione del lavoratore.

Ad avviso della Corte di Cassazione, la Corte d'appello avrebbe dovuto verificare, innanzitutto, il numero esatto di giorni di ferie ancora spettanti al lavoratore alla data della comunicazione del 26 luglio 2011, e, poi, valutare la tempestività dell'invito ivi riportato, considerata l'imminente cessazione del rapporto di lavoro prevista per il successivo 17 settembre.

In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso presentato dal lavoratore e cassa la sentenza rinviando alla Corte d'appello in diversa composizione.

Principio di diritto

La Corte di Cassazione perviene a tale decisione ribadendo il seguente principio di diritto a cui deve conformarsi il giudice del rinvio: “grava sul datore di lavoro l'onere di allegare e di provare di aver messo in condizione il lavoratore di fruire di tutte le ferie residue”.

Fonte: Cass. Ord. n. 20035 del 18 luglio 2025

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